In via preliminare, va disattesa l’eccezione, formulata solo nella comparsa conclusionale, di invalidità delle garanzie fideiussorie prestate sul presupposto che il contratto di fideiussione omnibus sarebbe costituito da un modello corrispondente allo schema contrattuale proposto dall’ABI e, quindi, conformemente all’insegnamento della Suprema Corte (Cass. n.29810/2017), sarebbe affetto da nullità per violazione della disciplina anticoncorrenziale.
Si tratta, infatti, di eccezione tardiva, non superabile invocando la rilevabilità d’ufficio delle nullità. Infatti, la Suprema Corte, affrontando il problema dei limiti alla rilevazione officiosa della nullità del contratto, ha chiarito che la rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto in ogni stato e grado del processo opera solo se da parte dell’attore se ne richieda l’adempimento, essendo il giudice tenuto a verificare l’esistenza delle condizioni dell’azione e a rilevare d’ufficio le eccezioni che, senza ampliare l’oggetto della controversia, tendano al rigetto della domanda e possano configurarsi come mere difese del convenuto.
Ne consegue che, quando la domanda sia, invece, come nella fattispecie, diretta a far valere l’invalidità del contratto di fideiussione per sottrarsi alle obbligazioni da esso derivanti “non può essere dedotta tardivamente un’eccezione di nullità diversa da quelle poste a fondamento della domanda, essendo il giudice, sulla base dell’interpretazione coordinata dell’art. 1421 cod. civ. e 112 cod. proc. civ., tenuto al rispetto del principio dispositivo, anche alla luce dell’art. 111 Cost., che richiede di evitare, al di là di precise indicazioni normative, ampliamenti dei poteri d’iniziativa officiosa” (Cass. 27 aprile 2011 n. 9395).
Infatti, le parti opponenti hanno specificamente individuato, nei rispettivi atti introduttivi, il profilo cui ricollegano la nullità del contratto di fideiussione, cioè la nullità derivata dall’inesistenza dell’obbligazione principale, senza alcun riferimento alla violazione della disciplina antitrust.
Questo è il percorso motivazionale del Tribunale di Monza, Giudice Mirko Buratti, con la sentenza n. 2947 del 27.11.2018, che si riporta di seguito.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MONZA
Prima Sezione CIVILE
Giudice dott. Mirko Buratti
Il giudice unico ha pronunziato il giorno 27/11/2018 la seguente
SENTENZA
nelle cause civili di I Grado riunite promosse da:
SOCIETA’ e FIDEIUSSORI
ATTORE/I
contro
BANCA
CONVENUTO/I
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da fogli depositati telematicamente.
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Su ricorso di Banca, il Tribunale di Monza, in data 3 novembre 2015, emise decreto ingiuntivo n. omissis/2015 nei confronti di Società e fideiussori per il pagamento della somma complessiva di € 675.860,17, quanto alla società debitrice principale ed alle signore omissis, e la minor somma di € 475.000,00, quanto ai signori omissis, derivante da scoperto del conto corrente n.omissis, oltre interessi convenzionali e spese.
Società e fideiussori proposero opposizione avverso il decreto ingiuntivo e chiesero che venisse accertata la nullità, inefficacia o invalidità del contratto di conto corrente e delle collegate concessioni di credito a fronte dell’applicazione di interessi ultralegali ed anatocistici, spese e commissioni in assenza di pattuizioni scritte (difetto di forma), per mancanza di causa, per genericità ed indeterminatezza e per violazione di norme inderogabili di legge, oltre al superamento del tasso soglia usurario, con conseguente rideterminazione del saldo e compensazione dell’eventuale debito con gli importi indebitamente pagati. Chiesero, altresì, che venisse accertata la nullità o l’inefficacia delle fideiussioni e delle ipoteche iscritte per inesistenza dell’obbligazione principale, con conseguente condanna alla cancellazione ed alla restituzione delle somme indebitamente ricevute, oltre al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali ovvero al pagamento dell’indennità per ingiustificato arricchimento. Spiegarono di avere già proposto analoga azione con atto di citazione davanti al tribunale di Roma. Lamentarono che il contratto di conto corrente era privo delle contestuali sottoscrizioni delle parti e che le condizioni economiche riportate nel prospetto allegato erano state solo richiamate nel contratto, non potendo essere considerati parte integrante del contratto stesso. Analogamente, anche i due contratti di apertura di credito del 27 febbraio 2015 erano privi della firma del legale rappresentante della banca e gli ulteriori contratti di concessione di credito datati 8 maggio 2009, 6 aprile 2011, 18 aprile 2013 e 19 settembre 2013, collegato al conto corrente, erano privi di valide pattuizioni scritte relativamente alle condizioni economiche e di contestuale sottoscrizione ad opera dei contraenti, mentre nessun contratto scritto era stato concluso con riferimento ai rapporti di anticipazione su fatture. Affermarono, quindi, l’illegittimità di tutte le spese e competenze addebitate, della capitalizzazione trimestrale degli interessi, dell’applicazione di interessi in misura ultralegale e, comunque, in misura superiore al tasso soglia sull’usura. Evidenziarono che la perizia commissionata aveva rideterminato il saldo passivo del conto corrente nella minor somma di € 547.934, con una differenza a favore della società correntista di € 180.652. In particolare, segnalarono l’illegittimità di ogni forma di capitalizzazione degli interessi a partire dal 1° gennaio 2014, nonché delle commissioni di disponibilità fondi e di istruttoria veloce applicato in assenza di specifica pattuizione per iscritto e per assenza di una valida causa giustificatrice.
Banca si costituì ed evidenziò che il rapporto di conto corrente era stato stipulato in forma scritta e sottoscritto per accettazione dalla società correntista che aveva confermato di avere ricevuto e di accettare le condizioni economiche e normative contenute nella lettera di contratto, con i relativi allegati, cioè il foglio informativo analitico e le “norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e i servizi connessi”.
Precisò di aver prodotto la copia del contratto in suo possesso, cioè quella sottoscritta dal Cliente per accettazione, trattandosi di rapporto concluso per corrispondenza. In ogni caso, il documento di sintesi era stato sottoscritto anche dal funzionario della Banca. Contestò, inoltre, che vi fosse stata violazione delle disposizioni in materia di trasparenza con riferimento ai contratti di apertura di credito (docc. 8-9), osservando che i documenti di sintesi non costituiscono un mero “strumento di pubblicità”, dal momento che, per espressa volontà delle parti, “fanno parte integrante del contratto” (cfr. doc. 8 fasc. mon., p. 1) e le condizioni economiche ivi indicate erano state espressamente accettate da società. Inoltre, la Società correntista, con dichiarazione confessoria, aveva confermato di avere chiesto gli affidamenti e di avere ricevuto dalla Banca la comunicazione delle condizioni alle quali era disposta a concederlo, come attestato in calce ai contratti mediante espressa dichiarazione di ricezione della copia dei contratti e dei relativi allegati (doc. 8 p. 8; doc. 9 p. 7). Contestò, altresì, che le concessioni di credito difettassero della pattuizione dei tassi, evidenziando che, in ogni caso, erano state concesse sul conto corrente ordinario n. omissis, nell’ambito del quale era contenuta la relativa regolamentazione negoziale, analogamente ai rapporti di anticipo S.B.F. e fatture (art. 9). Negò che fossero stati applicati al conto corrente interessi debitori in misura superiore alla soglia antiusura ed il valore probatorio della perizia di parte allegata dagli opponenti in quanto basata su una metodologia di calcolo contraria alle istruzioni della Banca d’Italia: in ogni caso, l’eventuale superamento del tasso soglia darebbe luogo unicamente alla riduzione del tasso applicato entro la soglia, non già alla sua totale eliminazione. Ribadì che il contratto di conto corrente e quelli di apertura di credito specificavano analiticamente tutte le condizioni economiche applicate e la misura dei tassi debitori e creditori, nonché le spese, le commissioni e le valute (doc. 2 p. 9 e doc. 8-9), compresa la commissione di disponibilità fondi e la commissione di istruttoria veloce.
Con ordinanza del 26 maggio 2016, fu respinta l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione.
Con successiva ordinanza del giorno 11 novembre 2016, l’odierno giudicante, preso atto dell’intervenuta dichiarazione di fallimento della società opponente, dichiarò interrotto il rapporto processuale tra questa e la banca, disponendo la prosecuzione della controversia sulle opposizioni separatamente introdotte dai fideiussori, poi riuniti all’udienza del 22 novembre 2016.
Fallita una ipotesi conciliativa e ritenuta la competenza funzionale del giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo e l’anteriorità della domanda monitoria rispetto alla controversia introdotta davanti al tribunale di Roma, furono precisate le conclusioni all’udienza del giorno 12 luglio 2018, senza ammettere le prove orali perché relative a circostanze documentali o documentabili ed irrilevanti, né la consulenza tecnica d’ufficio, e la causa venne rimessa in decisione norma dell’art. 190 cod. proc. civ..
Preliminarmente, va rilevato che la presente controversia intercorre esclusivamente tra la banca ed i fideiussori, essendo stato dichiarato interrotto il rapporto processuale tra la banca e la società correntista per effetto dell’intervenuta dichiarazione di fallimento di quest’ultima, pronunciata con sentenza del tribunale di Monza n. 167 del 18 luglio 2016.
La controversia introdotta successivamente al deposito del ricorso monitorio è stata, nel frattempo, estinta a seguito della declaratoria di litispendenza da parte del tribunale di Roma successivamente adito.
Sempre in via preliminare, va disattesa l’eccezione, formulata solo nella comparsa conclusionale, di invalidità delle garanzie fideiussorie prestate sul presupposto che il contratto di fideiussione omnibus sarebbe costituito da un modello corrispondente allo schema contrattuale proposto dall’ABI e, quindi, conformemente all’insegnamento della Suprema Corte (Cass. n.29810/2017), sarebbe affetto da nullità per violazione della disciplina anticoncorrenziale.
Si tratta, infatti, di eccezione tardiva, non superabile invocando la rilevabilità d’ufficio delle nullità. Infatti, la Suprema Corte, affrontando il problema dei limiti alla rilevazione officiosa della nullità del contratto, ha chiarito che la rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto in ogni stato e grado del processo opera solo se da parte dell’attore se ne richieda l’adempimento, essendo il giudice tenuto a verificare l’esistenza delle condizioni dell’azione e a rilevare d’ufficio le eccezioni che, senza ampliare l’oggetto della controversia, tendano al rigetto della domanda e possano configurarsi come mere difese del convenuto.
Ne consegue che, quando la domanda sia, invece, come nella fattispecie, diretta a far valere l’invalidità del contratto di fideiussione per sottrarsi alle obbligazioni da esso derivanti “non può essere dedotta tardivamente un’eccezione di nullità diversa da quelle poste a fondamento della domanda, essendo il giudice, sulla base dell’interpretazione coordinata dell’art. 1421 cod. civ. e 112 cod. proc. civ., tenuto al rispetto del principio dispositivo, anche alla luce dell’art. 111 Cost., che richiede di evitare, al di là di precise indicazioni normative, ampliamenti dei poteri d’iniziativa officiosa” (Cass. 27 aprile 2011 n. 9395).
Infatti, le parti opponenti hanno specificamente individuato, nei rispettivi atti introduttivi, il profilo cui ricollegano la nullità del contratto di fideiussione, cioè la nullità derivata dall’inesistenza dell’obbligazione principale, senza alcun riferimento alla violazione della disciplina antitrust.
Nel merito, l’opposizione è parzialmente fondata.
La società aveva concluso con Banca, in data 7 maggio 2009, un contratto di conto corrente di corrispondenza n. omissis, presso la filiale di Monza. Successivamente, nel corso del rapporto, erano state concesse dalla banca varie forme di facilitazioni creditizie, sotto forma di anticipazione su titoli, fino alla conclusione, in data 27 febbraio 2015 (doc. 8) di un’apertura di credito per € 700.000,00, valida sino al 31 luglio 2016, per anticipi fatture e SBF e di un’apertura di credito per € 40.000,00, valida anch’essa sino al 31 luglio 2016, per elasticità di cassa (doc. 9).
In data 8 maggio 2009, Fideiussori si erano costituiti per l’adempimento delle obbligazioni assunte dalla suddetta società nei confronti della Banca in relazione ai rapporti in essere. L’importo della fideiussione risulta incrementato, in data 28 settembre 2011, fino a concorrenza della somma di € 475.000 per ciascuno, con atto sottoscritto e munito di data certa.
In data 12 settembre 2013, omissis si erano anch’esse rese fideiussori fino a concorrenza della somma di € 950.000.
Il contratto di conto corrente, che comprende le condizioni generali del servizio ed il documento di sintesi con alcune soltanto delle condizioni economiche ed operative, risulta debitamente sottoscritto in nome e per conto della società (circostanza documentale e non contestata).
Gli opponenti avevano affermato che i moduli contrattuali, unilateralmente predisposti dalla Banca e strutturati sotto forma di proposta di contratto, erano stati sottoscritti unicamente dalla Società correntista, con conseguente nullità per difetto di forma.
La documentazione prodotta dalla Banca non costituisce mera dichiarazione unilaterale ricognitiva del contratto concluso, bensì riproduce il testo con le condizioni ed i patti dell’accordo, posto in forma di lettera di risposta per ricezione ed accettazione da parte della Correntista della proposta negoziale della Banca, specificamente sottoscritta sia con riferimento alle condizioni generali di erogazione del servizio, sia relativamente alle condizioni economiche in concreto applicate al rapporto di conto corrente ed ai servizi correlati.
Pertanto, il contratto di conto corrente deve ritenersi perfezionato in forma scritta per effetto dello scambio delle “lettere contratto”, delle quali ciascun contraente conserva il documento sottoscritto dalla controparte.
Nella specie, peraltro, risulta apposta nell’ultima pagina dell’unitario documento contrattuale anche la sottoscrizione del funzionario della Banca.
Il contratto, dunque, è pienamente valido e vincolante per la società e le obbligazioni da esso nascenti sono altrettanto vincolanti per i fideiussori. Per quanto riguarda, in ogni caso, la validità del contratto bancario cosiddetto “monofirma”, da ultimo, la questione è stata definitivamente risolta dalla pronuncia delle Sezioni unite della Suprema Corte n.898 del 16 gennaio 2018.
Occorre considerare che la nullità per difetto di sottoscrizione dei contratti bancari è senza dubbio volta alla tutela del contraente debole, mirando a garantire a quest’ultimo la piena trasparenza delle condizioni economiche e normative del rapporto (cd. nullità di protezione). La ratio della norma sulla forma del contratto è, dunque, pienamente rispettata nel caso in cui le clausole negoziali siano recepite in documento scritto recante la sola firma del correntista, sicché quest’ultimo non può dolersi dell’assenza di sottoscrizione anche da parte del cosiddetto contraente forte, esorbitando una siffatta regola formale dagli scopi di protezione perseguiti dal legislatore.
I contratti di affidamento in data 8 maggio 2009 per la somma di € 50.000,00 e di € 500.000,00 a revoca (cfr. allegato 2 alla perizia sub doc. 9) sono, però, dei meri moduli non compilati, del tutto privi dell’indicazione dei tassi (nominali ed effettivi) e, più in generale, di pattuizioni economiche. Analoghe considerazioni valgono per il contratto di affidamento del 6 aprile 2011 per la somma di € 200.000,00 valido fino al 30 settembre 2011 (cfr. allegato 3 alla perizia sub doc. 9), per quanto, in calce allo stesso, sia riportato un documento di sintesi che non appare riconducibile a tale contratto e, comunque, non risulta sottoscritto, nonché per il contratto di affidamento del 18 aprile 2013 per la somma di € 700.000,00, a revoca (cfr. allegato 4 alla perizia sub doc. 9), e per il contratto di affidamento del 19 settembre 2013 per la somma di € 700.000,00, valido fino al 2 marzo 2015 (cfr. allegato 5 alla perizia sub. doc. 9)
Banca sostiene che troverebbe applicazione il contenuto dell’art. 1 delle condizioni generali del contratto di affidamento, secondo cui “si applicano all’Affidamento, per quanto non espressamente previsto o derogato dal presente contratto e/o dagli atti relativi alle singole richieste di utilizzo, le norme e condizioni che regolano il servizio di conto corrente e i sevizi ad esso connessi, già sottoscritte dal Cliente”.
In forza di tale clausola resterebbe garantito, secondo la Banca, il contenuto minimo del contratto di affidamento, atteso che le parti avevano concordato la sua automatica integrazione con le condizioni già pattuite per il conto corrente ordinario.
Tuttavia, va osservato che il contratto di c/c ordinario n. omissis del 7 maggio 2009 contiene l’espressa pattuizione del solo tasso debitore oltre al limite di fido concesso, fissandolo in misura pari al 12,824% (tasso effettivo annuo), mentre nessuna indicazione è esplicitata con riferimento ai tassi debitori entro il limite del fido ed in relazione alle diverse categorie di facilitazioni.
Né si può ritenere, come afferma la Banca, che il tasso applicabile al credito concesso dalla Banca anteriormente al febbraio 2015 sarebbe quello dell’extra fido, cioè il 12,824%, o comunque il tasso passivo tempo per tempo applicabile, in virtù del jus variandi, dal momento che, se così fosse stato, la circostanza avrebbe dovuto essere espressamente specificata, mentre il mero riferimento al tasso extra fido induce a ritenere, piuttosto, il rinvio, per i tassi debitori entro fido, alla determinazione interna ai singoli contratti delle diverse tipologie di affidamento.
Inoltre, di norma, i tassi debitori entro fido sono inferiori a quelli extra fido per evidenti ragioni connesse al rischio assunto dal finanziatore, come confermato, peraltro, nella specie, proprio dall’esame dei tassi di fatto applicati, desumibili dagli estratti conto.
La mancata pattuizione originaria del tasso passivo impedisce, per tali contratti, anche l’operatività del meccanismo del jus variandi.
Per il contratto di conto corrente e per gli altri contratti di apertura di credito del 2015 risultano debitamente formalizzate e dettagliate le condizioni economiche e normative applicate, comprese le decorrenze della valuta, le spese e commissioni, conformemente alle disposizioni sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari.
Inoltre, va osservato che il contratto di conto corrente è stato stipulato in data 7 maggio 2009, cioè in epoca successiva all’entrata in vigore della delibera CICR del 2000, e prevedono, conformemente alle direttive impartite dalla circolare, la stessa periodicità (trimestrale) per la capitalizzazione degli interessi attivi e passivi.
Si osservi che la delibera CICR è stata adottata in attuazione dell’art. 25, 2° comma, del D.Lgs. 342/1999, che ha integrato l’art. 120 del TUB, consentendo al CICR di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi nelle operazioni bancarie con identica periodicità tra saldi debitori e saldi creditori.
In particolare, la norma prevede che: “Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori”.
La deroga all’art. 1283 cod. civ. è stata operata mediante norma primaria – il decreto legislativo che ha formalmente introdotto una disciplina speciale in materia di anatocismo nell’ambito dell’attività bancaria – ed è, pertanto, pienamente legittima.
A nulla rileva l’ammontare del tasso creditore pattuito in origine, essendo anche questo tasso, come quello debitore, soggetto a variabilità nel corso del rapporto, con la conseguenza che la clausola sulla capitalizzazione degli interessi è funzionalmente destinata a regolare il fenomeno nel tempo.
Trattandosi di rapporto iniziato nel maggio 2009, cioè poco prima dell’entrata in vigore l’art. 2 bis del DL 185/2008, modificato dal DL 78/2009, non risultano pattuite né applicate le commissioni di massimo scoperto.
Solo successivamente al 30 giugno 2009, cioè dopo l’entrata in vigore dell’art. 2 bis del DL 185/2008, modificato dal DL 78/2009, che aveva introdotto il tetto massimo trimestrale dello 0,5% alla commissione di messa a disposizione fondi, nonché l’art. 117 bis TUB che prevedeva l’applicazione di compensi omnicomprensivi in relazione alle aperture di credito (CMDF) e agli sconfinamenti (Commissioni di gestione sconfinamenti), in luogo delle commissioni di massimo scoperto, risulta applicata la Commissione Disponibilità Immediata Fondi (DIF) con decorrenza dal 1° gennaio 2012, che appare collegata alla messa a disposizione da parte della Banca dei fondi e, come tale, alternativa alla remunerazione del credito, cosicché nessun dubbio di legittimità può sorgere in ordine a tale clausola.
Per quanto riguarda il preteso superamento dei limiti del tasso soglia antiusura, va osservato che gli opponenti si sono sottratti all’onere minimo di allegazione del fatto che gli interessi pattuiti al momento della conclusione dei singoli contratti superassero il tasso soglia in quel momento vigente.
Peraltro, i conteggi allegati con l’atto di opposizione, contenuti in una perizia di parte (doc. 9), nonostante l’applicazione di criteri di calcolo non condivisibili, evidenziano il superamento del tasso soglia solo nel corso del rapporto e per alcune trimestralità soltanto (quattro).
La questione della rilevanza del cosiddetto fenomeno dell’usura sopravvenuta è stata definita, di recente, dalla pronuncia della Suprema Corte, a sezioni unite, che ne ha negato la configurabilità enunciando la regola secondo cui: “Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell’usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l’inefficacia della clausola di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto” (Cass. S.U. 19 Ottobre 2017, n. 24675).
Ciò premesso, occorre procedere alla quantificazione del credito della Banca, tenuto conto della necessità di ricalcolare il costo degli affidamenti ante febbraio 2015 applicando il tasso sostitutivo alla sola esposizione intra fido e di escludere la capitalizzazione a partire dal 1° gennaio 2014.
In proposito, senza necessità di rimettere la causa in istruttoria per l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio contabile, va considerato che la perizia di parte aveva escluso qualsiasi “interesse passivo superiore a quelli previsti dal comma 7 dell’art. 117 TUB” e “spesa, commissione e/o onere di qualsiasi natura”, nonché “qualsiasi capitalizzazione degli interessi”, ottenendo un risultato in diminuzione dell’esposizione accertata dalla Banca di € 180.652, a fronte di un saldo debitore al 30 aprile 2015 di € – 728.586.
Si può ritenere applicabile equitativamente una riduzione del debito di € 90.000, pari alla metà di quanto prospettato dalla perizia di parte, rispetto al saldo banca al 30 settembre 2015, pari ad € – 673.587,64, rideterminando il saldo passivo nella minor somma di € 583.587,64.
L’assenza di incidenza causale degli illegittimi addebiti riscontrati sull’ammontare complessivo dell’ingente esposizione, esclude la risarcibilità di qualsiasi danno invocato dalla Società correntista.
Il parziale accoglimento dell’opposizione ha effetto solo nei confronti della posizione delle due maggiori garanti e determina la conferma del decreto ingiuntivo nei confronti degli altri.
Le spese di lite seguono la soccombenza, mentre possono essere compensate quella tra la Banca e omissis in considerazione della parziale fondatezza delle reciproche ragioni.
P.Q.M.
il Tribunale di Monza, definitivamente pronunciando, così provvede:
1) accoglie l’opposizione limitatamente alla posizione di due fideiussori e revoca il decreto ingiuntivo n. omissis/2015 emesso in data 3 novembre 2015 esclusivamente nei loro confronti;
2) conferma il decreto ingiuntivo n. omissis/2015 emesso in data 3 novembre 2015 esclusivamente nei confronti di 3 fideiussori;
3) condanna 2 fideiussori a pagare a Banca la minor somma di € 583.587,64, oltre interessi legali dal 1° ottobre 2015 al saldo;
4) condanna gli altri fideiussori a rimborsare a Banca le spese di lite che liquida in complessivi Euro 15.000 per competenze, oltre anticipazioni, spese generali (15%), I.V.A. e contributo c.p.a.;
5) compensa le restanti spese;
6) con sentenza esecutiva.
Monza, 27 novembre 2018.
Il Giudice
Dott. Mirko Buratti
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