In tema di nullità della fideiussione per conformità allo schema ABI, ritenuto dalla Banca d’Italia ritenuto contrastante con il divieto di intese anticoncorrenziali di cui all’art. 2, comma 2, lett. a della L. 287/1990, perché l’invalidità di un rapporto giuridico possa propagarsi, con effetti invalidanti, ad un altro rapporto è necessario dar prova della sussistenza, nel singolo caso, di un effettivo vincolo di dipendenza funzionale o, quantomeno, di un collegamento negoziale oggettivamente apprezzabile tra i due atti di cui si discute. Invero, affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia un requisito oggettivo – costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario – sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale. Proprio questo secondo requisito postula, alternativamente, o l’identità soggettiva tra le parti dell’uno e dell’altro accordo, oppure la consapevole e fattiva adesione del contraente del contratto dipendente all’accordo (rispetto al quale egli è terzo) che lo pregiudicherebbe.
Ciò posto, è onere di chi deduce la predetta nullità allegare in punto di fatto, che i contratti “a valle” di cui hanno eccepito la nullità costituiscano effettivamente la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza di cui a contratti anteriormente stipulati “a monte”, con conseguente precisazione dei profili in questione. Allo stesso modo, il fideiussore deve specificamente allegare e provare la lesione della propria libertà contrattuale, in particolare precisando la conseguenza che il vizio abbia prodotto sul proprio diritto ad una scelta effettiva tra una pluralità di prodotti concorrenti.
Dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 2 non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Livorno, Giudice Nicoletta Marino con la sentenza del 1 aprile 2021.
Nella vicenda esaminata dei fideiussori proponevano opposizione avverso un decreto ingiuntivo ottenuto in loro danno da una Banca denunciando la nullità del contratto di fideiussione perché contenente clausole stipulate in conformità allo schema di contratto predisposto nel 2003 dall’ ABI secondo un modello che la Banca d’Italia, con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, ha ritenuto contrastante con il divieto di intese anticoncorrenziali di cui all’art. 2, comma 2, lett. a della L. 287/1990.
Si costituiva in giudizio la Banca, contestando quanto ex adverso dedotto e chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale ha specificato preliminarmente che, nella specie la competenza spettava alla Sezione Specializzata in Materia di Imprese del Tribunale di Milano e che, pertanto, avrebbe potuto esaminare la domanda solo incidenter tantum in quanto tesa a paralizzare la pretesa creditoria dell’opposta.
Ciò posto, il Giudice ha chiarito che perché l’invalidità di un rapporto giuridico possa propagarsi, con effetti invalidanti, ad un altro rapporto è necessario dar prova della sussistenza, nel singolo caso, di un effettivo vincolo di dipendenza funzionale o, quantomeno, di un collegamento negoziale oggettivamente apprezzabile tra i due atti di cui si discute; in particolare è necessario che ricorra sia un requisito oggettivo – costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario – sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale: proprio questo secondo requisito postula, alternativamente, o l’identità soggettiva tra le parti dell’uno e dell’altro accordo, oppure la consapevole e fattiva adesione del contraente del contratto dipendente all’accordo (rispetto al quale egli è terzo) che lo pregiudicherebbe.
Spetta quindi al fideiussore che deduce la predetta nullità allegare, in punto di fatto, che i contratti “a valle” di cui hanno eccepito la nullità costituiscano effettivamente la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza di cui a contratti anteriormente stipulati “a monte”, con conseguente precisazione dei profili in questione, nonché provare la lesione della propria libertà contrattuale, in particolare precisando la conseguenza che il vizio abbia prodotto sul proprio diritto ad una scelta effettiva tra una pluralità di prodotti concorrenti.
Sotto altra prospettiva, continua il Tribunale, il supposto motivo illecito dell’imprenditore bancario (che persegua, con la contrattazione individuale, il fine ultimo, anticoncorrenziale, di alterare a suo favore il mercato o di ottenere un extraprofitto) non può ritenersi comune all’atro contraente, che stipula il contratto per soddisfare un proprio interesse che si ricollega ed esaurisce nel fine tipico dell’operazione posta in essere, con conseguente irrilevanza del motivo illecito di un solo contraente, a norma dell’art. 1345 c.c.
Nemmeno, infine, chiarisce il Giudice, potrebbe verificarsi la sussistenza di una nullità del contratto stipulato dal singolo per vizio proprio e, segnatamente, per illiceità della causa ex art. 1418 co. 1 c.c., sull’assunto che il contratto recante clausole di cui è stata riconosciuta l’attitudine a ledere la concorrenzialità del mercato si porrebbe in contrasto con norme imperative e, in particolare, con l’art. 2 della L. 287/1990; ed infatti tale norma vieta sì le intese, ma nulla dispone circa le sorti dei rapporti commerciali con altri contraenti.
Ciò rende ardua la possibilità di riconoscere la nullità del c.d. contratto “a valle” per violazione di norma imperativa ex art. 1418, co. 1 c.c., dal momento che, perché possa affermarsi la nullità negoziale per violazione di norme poste a presidio di interessi generali, è necessario che dette norme disciplinino direttamente elementi intrinseci alla fattispecie negoziale, conformandone la struttura o il contenuto, ovvero impongano determinate condizioni di liceità della stipulazione. Viceversa, l’inosservanza di norme, pur imperative, che impongano o precludano alle parti taluni comportamenti, non può determinare la nullità dell’atto negoziale eventualmente posto in essere in loro violazione, dovendo tenere distinti i profili della violazione di regole di comportamento e di regole di validità degli atti, e dovendosi riconoscere quale conseguenza della violazione di regole comportamentali o di correttezza l’adozione di meri rimedi risarcitori.
Ciò posto, il Tribunale ha poi ritenuto di dover condividere il recente orientamento consolidatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità, secondo cui “Dalla declaratoria di nullità di una intesa tra imprese per lesione della libera concorrenza, emessa dalla Autorità Antitrust ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 2 non discende automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa, i quali mantengono la loro validità e possono dar luogo solo ad azione di risarcimento danni nei confronti delle imprese da parte dei clienti”.
In ragione di tali rilievi il Tribunale ha quindi rigettato l’opposizione, condannando i fideiussori al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
IL SUPREMO COLLEGIO DOVRÀ PRONUNCIARSI SULL’AMMISSIBILITÀ DI UN’AZIONE DI NULLITÀ E DEFINIRNE LA NATURA
Ordinanza | Corte di Cassazione, sez. I civile, Pres. De Chiara – Rel. Mercolino | 30.04.2021 | n.11486
LA NULLITÀ DELLE SINGOLE CLAUSOLE NON POTREBBE COMUNQUE COMPORTARE L’INVALIDITÀ DELL’INTERO CONTRATTO
Sentenza | Tribunale di Cosenza, Giudice Filomena De Sanzo | 02.03.2021 | n.524
LA NULLITÀ È RELATIVA SOLO ALLE SINGOLE PATTUIZIONI E NON ALL’INTERO CONTRATTO
Sentenza | Tribunale di Reggio Emilia, Giudice Gianluigi Morlini | 04.03.2021 | n.268
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