In tema di nullità delle fideiussioni, il cui contenuto riproduce le clausole del modello A. ritenute illegittime con Provv. n. 55 del 2005 della B.D, “occorre verificare se, nel caso concreto, le singole clausole affette da nullità (cioè le clausole n. 2, 6 e 8) trovino applicazione nella fattispecie in esame e, quindi, se l’istituto di credito, beneficiario della garanzia, ne abbia tratto vantaggio; solo in questo caso, infatti, sussiste per il fideiussore un interesse concreto a promuovere un giudizio per ottenere la dichiarazione dell’invalidità delle clausole in questione”.
Il fatto che il creditore non si sia “avvalso della deroga alla disciplina prevista dall’art. 1957 c.c. (che prevede la decadenza del creditore dal diritto ad escutere la garanzia nei confronti del fidejussore per mancata proposizione da parte di quello della sua azione nei confronti del debitore principale entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita), priva il fidejussore dell’interesse ad agire per ottenere la dichiarazione di nullità della clausola n. 6 delle fidejussioni (che prevedeva per l’appunto la deroga alla disciplina di cui all’art. 1957 c.c.) sia con riguardo all’asserita violazione dell’art. 2 della L. 287/1990 sia con riguardo alla asserita violazione dell’art. 33 lett. t) e dell’art. 36 c. 2 lett. a) del codice del consumo.”
Questo è il principio espresso dalla Corte di Appello di Milano, Pres. Rel. Massimo Meroni, con la sentenza n. 9 del 4 gennaio 2023.
Nel caso di specie, parte appellante formulava diverse doglianze, con specifico riguardo alla clausola n. 6 inserita nelle fideiussioni, con cui era stato derogata la disciplina di cui all’art. 1957 c.c..
In particolare, la medesima lamentava che nella sentenza di primo grado il Tribunale non si era concretamente pronunciato sulla domanda di nullità della fideiussione, limitandosi a disattenderla sull’assunto per cui non vi sarebbe stata la prova della concreta operatività e rilevanza delle clausole; a prescindere da ciò, parte appellante riteneva di conservare, comunque, un interesse ad ottenere la pronuncia sulla nullità della fideiussione, concretizzantesi nella possibilità di farla valere contro la banca per ogni ulteriore e diversa ragione di credito che la medesima eventualmente avesse fatto valere nei confronti della debitrice principale.
Inoltre, parte appellante censurava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto che la violazione della normativa antitrust avrebbe determinato la nullità parziale delle fideiussioni, in quanto tale tesi era “poco convincente” rispetto a quella che sosteneva una nullità totale delle stesse.
La Corte di Appello ha ritenuto di aderire al principio per il quale “i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge succitata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”.
Pertanto, “l’estensione della nullità all’intero contratto si verifica soltanto, in via eccezionale, nel caso in cui l’interessato – nella fattispecie, il fideiussore odierno appellante – dimostri che la parte del contratto colpita da nullità sia inscindibilmente correlata con la porzione residua e che, per conseguenza, il negozio fideiussorio non sarebbe stato dalle parti concluso in sua assenza”.
Nel caso di specie, secondo il Collegio, “il fideiussore non ha adempiuto tale onere probatorio, essendosi limitato a sostenere – peraltro genericamente – la scarsa plausibilità della tesi della nullità parziale del negozio fideiussorio rispetto a quella della nullità totale, senza offrire alcun riscontro probatorio dell’impatto concreto di tale affermazione sui negozi fideiussori di cui è causa, risultando, a contrario, che, a fronte del pacifico interesse del debitore principale ad ottenere dalla banca la concessione del credito e di quest’ultima ad ottenere, a fronte della concessione del credito, delle garanzie di terzi per l’adempimento dell’obbligo di restituzione del credito concesso, tanto la banca quanto il fideiussore avrebbero, comunque, concluso la fideiussione anche in assenza della clausole colpite da nullità, essendo entrambe le parti interessate alla conclusione di tale contratto, posto che, se nessuna fideiussione avesse potuto essere rilasciata senza le clausole in questione, la banca non avrebbe concesso il credito al debitore principale, che invece il fideiussore aveva chiaramente interesse (così come il debitore principale) che fosse concesso così come aveva interesse la banca, atteso che l’utile dell’attività bancaria proviene proprio dai finanziamenti dalla stessa concessi ai clienti”.
Accertata, quindi, l’infondatezza dell’eccezione di nullità totale delle fideiussioni rilasciate dall’appellante, la Corte d’Appello è passata a verificare se, nel caso concreto, le singole clausole affette da nullità (cioè le clausole n. 2, 6 e 8) potessero trovare applicazione nella fattispecie in esame e, quindi, se l’istituto di credito, beneficiario della garanzia, ne avesse potuto trarre vantaggio, solo in questo caso sussistendo per il fideiussore un interesse concreto a promuovere un giudizio per ottenere la dichiarazione dell’invalidità delle clausole in questione.
Secondo il Collegio, “I negozi fideiussori, oggetto della controversia, riproducono pedissequamente tutte e tre le clausole n. 2, 6 e 8 del modello A., ritenuto illegittimo dal Provv. n. 55 del 2005 di B.D., ma l’odierno appellante nulla ha eccepito con riferimento all’applicabilità nella fattispecie in esame delle clausole n. 2 e n. 8, avendo soltanto lamentato l’applicazione della clausola n. 6, che prevede la deroga alla disciplina di cui all’art. 1957 c.c..Pertanto, ai fini della verifica di cui sopra, è necessario accertare se la pretesa fatta valere dalla banca nel presente giudizio trova la sua fondatezza in virtù dell’applicazione della deroga alla disciplina di cui all’art. 1957 c.c., di cui alla clausola n. 6 delle fideiussioni”.
La conclusione a cui sono pervenuti i giudici di secondo grado è che “L’accertamento che nella fattispecie in esame il creditore non si è avvalso della deroga alla disciplina prevista dall’art. 1957 c.c. (che prevede la decadenza del creditore dal diritto ad escutere la garanzia nei confronti del fideiussore per mancata proposizione da parte di quello della sua azione nei confronti del debitore principale entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione garantita), priva il fideiussore dell’interesse ad agire per ottenere la dichiarazione della nullità della clausola n. 6 delle fideiussioni (che prevedeva per l’appunto la deroga alla disciplina di cui all’art. 1957 c.c.) sia con riguardo all’asserita violazione dell’art. 2 L. n. 287 del 1990 sia con riguardo all’asserita violazione dell’art. 33 lett. t) e dell’art. 36 c. 2 lett. a) del codice del consumo”.
Pertanto, l’appello è stato respinto con condanna alle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
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