ISSN 2385-1376
Testo massima
Viola il divieto di presunzioni di secondo grado la statuizione che faccia conseguire una presunzione semplice da un’altra presunzione semplice. Tale divieto sussiste in ragione del fatto che, essendo le presunzioni semplici ai sensi dell’art. 2727 c.c. le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto, gli elementi che costituiscono la premessa devono avere il carattere della certezza e della concretezza, laddove con la c.d. praesumptio de praesumpto si utilizza illegittimamente una presunzione come fatto noto per derivarne da essa un’altra presunzione.
In materia di attribuzione agli amministratori dei poteri di rappresentanza ex art. 2384 c.c., secondo l’orientamento interpretativo espresso dalla giurisprudenza della Cassazione, è rilevante, ai fini della sussistenza in capo agli amministratori del potere rappresentativo di concludere l’atto per la società, la sussistenza in concreto di un nesso di strumentalità, diretta o indiretta, tra l’atto stesso ed il perseguimento degli scopi sociali. Ai fini della condizione prevista dall’art.2384 bis c.c., occorre dimostrare la consapevolezza, da parte della banca, della mancanza di un siffatto nesso di strumentalità, non essendo sufficiente la mera non inclusione nell’oggetto sociale del tipo di atto che si andava a porre in essere.
Questi i principi espressi dalla Corte di Cassazione, Sezione Prima, Pres. Didone Rel. Scaldaferri, con la sentenza n. 613, depositata in data 15.01.2015.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte di merito, rinviando la causa alla medesima Corte, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio.
In tema di gruppi di società collegate tra di loro in senso economico e dirigenziale, la validità della fideiussione rilasciata da un organo amministrativo di una di esse in favore di altra ad essa collegata, è sempre connessa all’esistenza di un interesse economicamente e giuridicamente apprezzabile in capo alla società agente, “non potendosi, per converso, predicare la legittimità di atti che, favorendo le società collegate, non rivestano alcun interesse, fuoriescano completamente dall’oggetto sociale o addirittura pregiudichino la società operante“.
Secondo la pronuncia in commento, la sentenza della Corte di merito, in subiecta materia, ha violato il disposto di cui agli artt. 2727 2384 e 2384 bis c.c., nella parte in cui ha fondato il suo convincimento su una presunzione di secondo grado (c.d. praesumptio de praesumptio), presumendo che la banca abbia esaminato l’atto costitutivo e lo statuto per poi inferire che attraverso tale esame la banca abbi acquisito la consapevolezza della estraneità della fideiussione all’oggetto sociale.
La Corte di appello, secondo i Supremi Giudici della nomofilachia, ha violato i principi regolanti la presunzione e l’attribuzione agli amministratori dei poteri di rappresentanza di cui all’art.2384 c.c., secondo l’orientamento interpretativo espresso dalla stessa Suprema Corte, in virtù del quale è rilevante, “ai fini della sussistenza in capo agli amministratori del potere rappresentativo di concludere l’atto per la società, la sussistenza in concreto di un nesso di strumentalità, diretta o indiretta, dell’atto stesso (id est rilascio di fideiussione bancaria), al perseguimento degli scopi sociali, anche sotto il profilo della preordinazione dell’atto stesso al soddisfacimento di un interesse economico della fideiubente. Sicché, ai fini della condizione prevista dall’art. 2384 bis c.c., occorre dimostrare la consapevolezza, nella banca della mancanza di un siffatto nesso di strumentalità, non essendo sufficiente la mera inclusione nell’oggetto sociale del tipo di atto che si andava a porre in essere“.
Ne deriva che è pienamente valida la fideiussione rilasciata da una società in favore di altra società del gruppo, a meno che non si dimostri la malafede della banca.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 25/2016