Si ringrazia per la segnalazione l’Avv. Antonio Corvino del Foro di Napoli
LE MASSIME
FIDEIUSSIONE OMNIBUS COME CONTRATTO AUTONOMO DI GARANZIA
Ai fini della qualificazione dei contratti di fideiussione omnibus come garanzie “accessorie” ovvero come “contratti autonomi di garanzia” assume rilievo decisivo l’inserimento della clausola di pagamento a prima richiesta, e senza eccezioni.
La causa concreta del contratto autonomo è quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico, connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no; invece nella fideiussione (nella quale solamente ricorre l’elemento dell’accessorietà), è tutelato l’interesse all’esatto adempimento della medesima prestazione principale. Di conseguenza, l’obbligazione del garante autonomo non è rivolta all’adempimento del debito principale; piuttosto, è tesa ad indennizzare il creditore insoddisfatto, mediante il tempestivo versamento di una somma di danaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore.
Peraltro, l’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione (in tal senso, Cass. Civ. n. 30509/19).
FIDEIUSSIONE “ABI” E NORMATIVA ANTITRUST
INCONFIGURABILE TANTO LA NULLITÀ “STRUTTURALE” QUANTO QUELLA “DERIVATA”
In relazione ai possibili profili di invalidità delle fideiussioni redatte secondo lo schema “ABI-2002”, per supposta anti-concorrenzialità delle clausole di cui agli artt. 2, 6 ed 8, non è sostenibile la tesi della nullità del contratto “a valle” per violazione di norma imperativa ex art. 1418 co.1 cc.; infatti, affinché possa affermarsi la nullità negoziale per violazione di norme poste a presidio di interessi generali, è necessario che dette norme disciplinino direttamente elementi intrinseci alla fattispecie negoziale.
Al di fuori di queste ipotesi, l’inosservanza di norme che impongano o precludano alle parti taluni comportamenti, non può determinare la nullità dell’atto negoziale eventualmente posto in essere in loro violazione.
Pertanto, perché possa aversi nullità non basta la semplice violazione dell’art. 2 L. 287/90, ma occorre che, per effetto di tale violazione, si determini la oggettiva incompatibilità tra il precetto posto dalla disposizione antimonopolistica e la clausola contenuta nei contratti a valle dell’intesa anti-concorrenziale.
La proibizione dettata dalla Legge Antitrust non condanna in maniera diretta il contenuto degli atti negoziali, bensì condanna un comportamento che si pone a monte di questi atti.
Quanto alla sanzione della nullità prevista dall’art. 33 L. 287/90, essa riguarda esclusivamente le intese restrittive tra imprese, e non può applicarsi ai contratti che, sulla base di dette intese, siano stati conclusi con terzi.
Neppure è configurabile, quindi, qualsivoglia ipotesi di c.d. nullità derivata, la quale postula che il contratto finale tra imprenditore ed utente, costituisca il compimento dell’intesa anti-competitiva tra imprenditori, ne rappresenti la sua realizzazione finale, sul presupposto di uno strettissimo collegamento tra l’intesa restrittiva a monte ed il contratto a valle.
Nella normale dinamica delle contrattazioni individuali, infatti, non si riscontra tale nesso di dipendenza.
Ai fini della configurabilità di un collegamento negoziale in senso tecnico, debbono ricorrere sia il requisito oggettivo (costituito dal nesso teleologico tra i negozi), sia il requisito soggettivo (costituito dal comune intento delle parti di volere il coordinamento tra i negozi, per la realizzazione di un fine ulteriore).
Dunque, è necessaria l’identità soggettiva tra le parti dei due accordi, oppure è necessaria la consapevole adesione del contraente del contratto dipendente all’accordo che lo pregiudicherebbe (rispetto al quale egli è terzo).
In assenza dei descritti elementi, un contratto che presenti i requisiti di validità previsti dalla Legge e non persegua in sé una causa illecita, non può ritenersi invalido, soltanto in dipendenza dell’invalidità di un rapporto giuridico diverso ed intercorso tra terzi, che integra una res inter alios acta.
I contratti tra la singola impresa ed il cliente derivano dall’autonomia privata dei contraenti.
In altri termini, la circostanza che l’impresa collusa uniformi le manifestazioni della propria autonomia privata al programma anti-concorrenziale, non è sufficiente per privare il successivo contratto a valle di una autonoma ragione pratica.
In definitiva, anche volendo ammettere che l’istituto di credito persegua, con la contrattazione individuale, il fine ultimo (anti-concorrenziale) di alterare a suo favore il mercato o di ottenere un extra-profitto, l’altro contraente stipula il contratto per soddisfare un proprio interesse, che si esaurisce nel fine tipico dell’operazione posta in essere.
Significativamente, l’art. 2 della Legge 287/90 vieta le intese anti-concorrenziali, ma nulla dispone circa la sorte dei rapporti commerciali con altri contraenti.
ONERE DI PRODURRE I PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI
Quantunque la questione sollevata dal fideiussore assurga ad ipotesi di nullità negoziale che, come tale, è sempre soggetta al potere-dovere di rilievo officioso, questa va necessariamente valutata sulla scorta dei documenti ritualmente acquisiti al giudizio.
La parte interessata al rilievo di nullità ha quindi l’onere di produrre il provvedimento amministrativo della Banca d’Italia di accertamento dell’infrazione (n. 55 del 2005) ed parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, al quale il provvedimento ammnistrativo prestava adesione. Trattasi, del resto, di provvedimenti amministrativi, non acquisibili ex officio, in quanto sottratti al principio “iura novit curia”.
Questi i principi espressi dalla Corte d’Appello di Napoli, Pres. Forgillo – Rel. Criscuolo Gaito, con la sentenza n. 92 del 13 gennaio 2020.
IL CASO
La vicenda processuale origina dall’azione introdotta da un soggetto che aveva prestato fideiussione “omnibus” in favore di una società intrattenente rapporti bancari con un istituto di credito, recanti una rilevante esposizione debitoria.
Nel convenire in giudizio la banca, il garante aveva formulato le “classiche” contestazioni in tema di nullità delle condizioni contrattuali relative alla pattuizione, in particolare, dei tassi d’interesse, in quanto asseritamente non concordati e/o comunque non dovuti in quanto oggettivamente “usurari”.
In ordine alla fideiussione omnibus, poi, ne aveva eccepito:
– l’invalidità, per indeterminatezza dell’oggetto;
– l’estinzione per mancata informativa sulla situazione della debitrice principale, alla quale la banca avrebbe continuato ad elargire credito in varie riprese, pur essendo a conoscenza dello stato di grave decozione della stessa;
– infine, la nullità per mancanza di forma scritta, in quanto trattavasi di contratto c.d. “monofirma”.
Nel costituirsi in giudizio, la banca convenuta aveva chiamato in causa altro fideiussore della medesima società, proponendo altresì domanda riconvenzionale di condanna al pagamento del credito vantato in virtù dei rapporti bancari garantiti.
Espletata CTU contabile, il Tribunale aveva:
- rigettato la domanda di nullità dei contratti c.d. “mono-firma”, rifacendosi all’insegnamento delle SS.UU. della Suprema Corte (sentenza n. 898/18);
- accertato la presenza di tassi oggettivamente “usurari”;
- rilevato comunque l’inammissibilità di tutte le altre contestazioni mosse dai fideiussori, in quanto la garanzia doveva qualificarsi come “contratto autonomo di garanzia” (alla luce dell’obbligo, in capo al garante, di pagare immediatamente alla banca, a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione del debitore, quanto dovuto all’istituto di credito per capitale, interessi, spese e tasse), con conseguente deroga all’accessorietà della fideiussione;
- disatteso le contestazioni concernenti la supposta liberazione dei fideiussori, proprio per la natura autonoma della garanzia;
- espunto dal saldo finale solo gli interessi usurari;
- accolto, quindi, quasi integralmente la domanda riconvenzionale di pagamento proposta dalla banca.
Avverso tale sentenza avevano proposto appello i fideiussori, lamentando l’erronea qualificazione della garanzia come “autonoma” ed aggiungendo un’ulteriore contestazione: rifacendosi alla pronuncia della Cassazione n. 29810/17, uno dei due appellanti aveva lamentato la nullità delle fideiussioni conformi allo schema A.B.I., per supposta violazione della normativa Antitrust, di cui alla Legge n. 287/90.
Seguiva la sentenza di integrale rigetto dei gravami, da parte della Corte d’Appello di Napoli, con ricca argomentazione giuridica, che è stata già integralmente riportata in epigrafe con l’estrazione delle “massime” del provvedimento in commento.
IL COMMENTO
La pronuncia della Corte d’Appello di Napoli si pone nel solco di un dibattito recentemente “riacceso” sulle fideiussioni bancarie, dopo un periodo di relativa “tranquillità” dovuta ad un definitivo inquadramento della specificità dello schema-omnibus dal punto di vista “civilistico” ed alle linee guida per la qualificazione dei contratti nella categoria del contratto autonomo di garanzia.
Il profilo di pressante attualità è quello della possibile violazione della normativa Antitrust, che determinerebbe la nullità di quei contratti di fideiussione omnibus che si pongano “a valle” di intese anticoncorrenziali concluse “a monte”.
Il “caso” riguarda potenzialmente quei contratti di fideiussione che recepiscano il modello ABI del 2002 ed affonda le radici nel provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia (all’epoca in funzione di Autorità di vigilanza della Concorrenza e del Mercato con riferimento al mercato degli impieghi bancari).
All’esito di quel procedimento, l’Authority si era pronunciata nell’ottobre 2002 per la “potenziale” attitudine anticoncorrenziale degli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) nella misura in cui tali clausole fossero applicate in modo uniforme. Aveva quindi invitato l’ABI a trasmettere alla Banca d’Italia le circolari, emendate dalle disposizioni citate, prima della diffusione del modello presso il sistema bancario.
Tre, come accennato, le previsioni oggetto di “censura”: a) la clausola di “reviviscenza” (art. 2), che impone al fideiussore di tenere indenne la banca da vicende successive all’avvenuto adempimento in virtù delle quali la banca si sia trovata a dover restituire il pagamento ricevuto; b) la deroga pura e semplice all’art. 1957 del codice civile (art. 6), che esonera la banca dal dover proporre e proseguire diligentemente le proprie istanze, nei confronti del debitore e del fideiussore, entro i termini previsti da detta norma (6 mesi); c) l’insensibilità alle invalidità dell’obbligazione principale (art. 8), che mantiene fermo il vincolo del fideiussore verso la banca, anche nell’ipotesi in cui le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide.
Al rinfocolarsi del dibattito aveva contribuito la pronuncia della prima sezione civile della Corte di Cassazione del 12 dicembre 2017, n. 29810, che si era espressa nei termini che seguono:
“In tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d’Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, (in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016)) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza”.
In verità, come spesso accade, gli “interpreti” del dictum della Suprema Corte hanno esteso la portata della pronuncia ben oltre i limiti che essa intendeva tracciare.
Il principio che se ne evince, infatti, non è in sé la nullità di tutti i contratti di fideiussione che recepiscano lo schema ABI del 2002, ma solo la possibilità che – ove sia provata la concreta applicazione “a valle” delle intese “a monte” – al rilievo di nullità non osta la circostanza che i suddetti contratti si collochino cronologicamente prima del provvedimento della Banca d’Italia del 2 maggio 2005, essendo sufficiente che si tratti di vicende successive all’intesa (non quindi, all’accertamento dell’intesa).
Profili normativi
Sotto il profilo normativo, il divieto di intese anticoncorrenziali (o meglio che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza) consistenti nel fissare i prezzi o altre condizioni contrattuali, è sancito dall’art. 2 co. 2 lett. a) della legge 10 ottobre 1990 n. 287.
Ad essere colpite sono anche “le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari”. Le condizioni generali di contratto comunicate dall’ABI relativamente alla “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”, in quanto deliberazioni di un’associazione di imprese, rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, comma 1, della legge n. 287/90.
Per sviscerare i profili di complessità della vicenda relativa alle fideiussioni “ABI” è bene ricostruire l’antefatto, che, come già anticipato, trae origine dal provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia, che si pronunciò sullo schema di fideiussione omnibus ABI dell’ottobre 2002, già rivisitato a seguito di uno scambio istruttorio tra ABI e Bankitalia, in sede di indagine condotta ai sensi degli artt. 2 e 14 della legge n. 287/90 nei confronti dell’Associazione Bancaria Italiana, avente a oggetto il predetto schema contrattuale.
Esaminato lo schema contrattuale, il livello di diffusione presso gli intermediari (attenzione, della fideiussione omnibus e non già dello schema ABI ancora non diffuso uniformemente all’interno del sistema bancario), le osservazioni delle parti ed il confronto con le altre esperienze europee, Bankitalia così concluse:
“DISPONE
- a) gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90;
- b) le altre disposizioni dello schema contrattuale non risultano lesive della concorrenza”.
e poi PROSEGUE
“L’ABI è tenuta a trasmettere preventivamente alla Banca d’Italia le circolari, emendate dalle disposizioni citate alla precedente lettera a), mediante le quali lo schema contrattuale oggetto d’istruttoria verrà diffuso al sistema bancario”.
Sulla estensibilità dei profili di nullità ai rapporti “a valle” – I «precedenti» della Cassazione
Il tema della estensibilità dei profili di nullità delle intese restrittive ai rapporti «a valle» e l’invocabilità della stessa da parte dei singoli «utenti» estranei all’intesa è stato affrontato a più riprese dalla Suprema Corte, in particolare in relazione ai giudizi risarcitori instaurati dall’ assicurato per il danno patito per l’elevato premio corrisposto in conseguenza di un illecito accordo «a monte», limitativo della concorrenza tra le Compagnie (cfr. Cass. 28 maggio 2014, n. 11904; cfr. pure, in tema, ad es.: Cass. 23 aprile 2014, n. 9116; Cass. 22 maggio 2013, n. 12551; Cass. 9 maggio 2012, n. 7039; Cass. 20 giugno 2011, n. 13486; Cass. 13 febbraio 2009, n. 3640).
In tale ambito si è sancito il principio della peculiare attitudine probatoria («privilegiata») dei provvedimenti sanzionatori delle Authorities.
In merito alla configurabilità della legittimazione attiva a dedurre le violazioni “Antitrust” con riferimento ai contratti “a valle”, con azione ex art. 33 L. 287/1990, la giurisprudenza di legittimità si è pronunciata, estendendola ad utenti e consumatori (Cass. Civ. SS.UU. 4 febbraio 2005, n. 2207).
Successivamente l’art. 140 bis D. Lgs. 206/2005 ha espressamente introdotto l’azione collettiva per utenti e consumatori.
Va però evidenziato che entrambi i riferimenti normativi individuati dalla giurisprudenza (art. 33 L. 287/1990; art. 140 bis D. Lgs. 206/2005) per enucleare la legittimazione attiva del cliente “a valle” configurano un rimedio di natura «risarcitoria» più che una vera e propria invalidità (strutturale o derivata) dei singoli contratti. In particolare l’art. 140 bis D. Lgs. 6.9.2005 n. 206 fa riferimento al ristoro “del pregiudizio derivante agli stessi consumatori ed utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali”.
Ancora sulla possibile invalidità dei rapporti “a valle”
Sotto il profilo teorico, dottrina e giurisprudenza hanno sviluppato due tesi alternative in merito alla possibile configurabilità dell’invalidità dei rapporti “a valle”:
1). La nullità strutturale (“ex se”) per violazione di norme imperative ex art. 1418, co. I c.c.;
2). La nullità “derivata” per effetto del collegamento negoziale con l’intesa “a monte”.
Entrambe le tesi si scontrano con alcune obiezioni.
Infatti, la prima postulerebbe una violazione normativa afferente ad elementi “intrinseci” della fattispecie, mentre la seconda necessiterebbe del riscontro di un vincolo di dipendenza funzionale (rectius, collegamento in senso tecnico), vale a dire di una identità soggettiva tra le parti delle convenzioni nonché di un nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario; o, quantomeno, di un collegamento negoziale oggettivamente apprezzabile.
Per effetto di tale incertezza classificatoria, all’indomani della pronuncia della Corte di Cassazione del 2017, la giurisprudenza di merito ha fatto registrare orientamenti ondivaghi, che hanno limitato la portata “totalizzante” di quella pronuncia.
Ed invero, diversi sono i profili di maggiore criticità da affrontare in merito al rilevo “a valle” della nullità-Antitrust:
– la tempestività e specificità del rilievo, non essendo sufficiente una generica deduzione di nullità che si limiti a richiamare il dictum della Cassazione, né una deduzione “tardiva” in sede di scritti conclusionali od in grado di appello, almeno in assenza della tempestiva deduzione degli elementi costitutivi;
– la possibile limitazione ad un rilievo di nullità solo “parziale”, conservando efficacia la garanzia, con potenziali effetti pratici solo in relazione alla tempestività dell’escussione della garanzia, in caso di inefficacia della deroga all’art. 1957 c.c.;
– la questione di competenza (eventualmente “esclusiva”) delle Sezioni Specializzate del Tribunale in materia di impresa, trattandosi comunque di deduzione di profili di nullità per violazione della normativa Antitrust, sottratte per competenza funzionale al Tribunale ordinario, salvi i rilievi “incidenter tantum”;
– il possibile rilievo solo risarcitorio;
– il tema della prova dell’applicazione uniforme dell’intesa (che è fuori dal provvedimento di Bankitalia);
– il tema della prova del nesso causale tra l’intesa a monte e la sua applicazione uniforme a valle, cioè la prova che l’intesa sia stata finalizzata poi a falsare nel concreto, con riferimento ai singoli rapporti con gli utenti finali, il mercato del settore degli impieghi bancari.
I successivi sviluppi della giurisprudenza di legittimità
In virtù delle criticità rilevate da dottrina e giurisprudenza, una successiva pronuncia della Suprema Corte è sembrata porsi come un vero e proprio “argine” ai tentativi di estendere oltremodo la portata della precedente decisione del 2017.
Con ordinanza del 28.11.2018 n. 30818 i giudici di legittimità hanno sottolineato proprio la necessità di una rigorosa prova dell’applicazione “uniforme” dell’intesa, esprimendo il seguente principio di diritto:
“Il Provvedimento Bankitalia – B423 del 2 maggio 2005 ha vietato l’uso uniforme – non già occasionale – dello schema di fideiussione suggerito dall’ABI, pertanto, la dimostrazione del carattere appunto uniforme dell’applicazione delle clausole contestate, essendo elemento costitutivo del diritto vantato, deve essere offerta dall’attore, secondo la regola generale dell’art. 2697 c.c.”.
Va registrato, però, un ulteriore arresto degli Ermellini (Cassazione civile, I sez., 22.05.2019, n.13846), oggetto di non pochi rilievi critici sulle pagine di questa Rivista, in cui si fa riferimento al tema della peculiare attitudine del provvedimento di Bankitalia a provare la condotta anticoncorrenziale (“prova privilegiata”), a prescindere dalle misure sanzionatorie ivi contenute:
“In tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dalla L. n. 287 del 1990, art. 2, con particolare riguardo a clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il provvedimento adottato dalla Banca d’Italia prima della modifica di cui alla L. n. 262 del 2005, art. 19, comma 11, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante per la Concorrenza, una elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano pronunciate, e il giudice del merito è tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione, o non attuazione, della prescrizione contenuta nel provvedimento amministrativo con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario”.
A “completare” il quadro giurisprudenziale di legittimità va segnalato un ulteriore pronunciamento del settembre 2019 (Corte di Cassazione, sez. I civ., 26 settembre 2019 n.24044), con il quale la Suprema Corte sembra essersi attestata sulla eventuale configurabilità solo “parziale” della nullità “a valle”:
“Con riferimento a contratti di fideiussione in cui siano presenti clausole riproducenti nella sostanza il contenuto delle clausole ABI, ritenute “anticoncorrenziali” dall’Autorità Garante, deve ritenersi che, avendo l’Autorità amministrativa circoscritto l’accertamento della illiceità ad alcune specifiche clausole delle Norme Bancarie Uniformi (NBU) trasfuse nelle dichiarazioni unilaterali rese in attuazione di intese illecite ex art.2 della legge n.287/1990, ciò non esclude, ne è incompatibile, con il fatto che in concreto la nullità del contratto a valle debba essere valutata dal giudice adito alla stregua degli artt. 1418 e ss. cod. civ. e che possa trovare applicazione l’art. 1419 cod. civ. laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite”.
*****
Alla luce del tratteggiato excursus di legittimità, non scevro di incertezze e “ripensamenti”, la pronuncia della Corte d’Appello di Napoli qui in commento assume particolare pregio, fornendo un’ulteriore traccia ermeneutica in grado di indirizzare gli interpreti, posta peraltro la ricchezza dell’iter argomentativo in merito alla inconfigurabilità di qualsivoglia profilo di nullità “a valle”.
SEGNALA UN PROVVEDIMENTO
COME TRASMETTERE UN PROVVEDIMENTONEWSLETTER - ISCRIZIONE GRATUITA ALLA MAILING LIST
ISCRIVITI ALLA MAILING LIST© Riproduzione riservata
NOTE OBBLIGATORIE per la citazione o riproduzione degli articoli e dei documenti pubblicati in Ex Parte Creditoris.
È consentito il solo link dal proprio sito alla pagina della rivista che contiene l'articolo di interesse.
È vietato che l'intero articolo, se non in sua parte (non superiore al decimo), sia copiato in altro sito; anche in caso di pubblicazione di un estratto parziale è sempre obbligatoria l'indicazione della fonte e l'inserimento di un link diretto alla pagina della rivista che contiene l'articolo.
Per la citazione in Libri, Riviste, Tesi di laurea, e ogni diversa pubblicazione, online o cartacea, di articoli (o estratti di articoli) pubblicati in questa rivista è obbligatoria l'indicazione della fonte, nel modo che segue:
Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno