ISSN 2385-1376
Testo massima
Con la sentenza n. 8722 del 10/04/2013 la sezione quinta della Corte di Cassazione si è pronunziata sulla detrazione ai fini IVA in presenza di un’operazione realizzata in frode con il sistema del carosello.
Nel caso di specie i Giudici di legittimità hanno nuovamente affermato il principio indetraibilità dell’IVA nell’ipotesi in cui il cessionario sia a conoscenza o comunque potesse essere in grado di sapere di partecipare ad un’operazione parte di un meccanismo fraudolento.
La Suprema Corte è stata chiamata ad esprimere il proprio vaglio critico in ordine alla vicenda di una società svolgente l’import export di autoveicoli dall’estero con successiva rivendita cui era contestato dall’ufficio accertatore in relazione alle modalità di realizzazione un meccanismo contabile di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti inserite nel quadro di una cd. Frode carosello.
Il punto di partenza della S.C. è stato la sentenza di appello emessa dalla CTR che, in riforma di quella emessa dalla CTP, ha concluso per la qualifica di partecipe al sistema della frode carosello della società ricorrente in quanto il prezzo di rivendita era incongruo, non smentito dalla perizia prodotta in causa e l’evasione dell’imposta (portata in detrazione indebita) era attribuibile alla società italiana “quanto meno a titolo di colpa“.
Con tale pronuncia la Cassazione ritorna sul tema dell’onere della prova che compete al Fisco nonché sull’onere della prova contraria.
Attraverso il richiamo dell’orientamento della Corte di Giustizia (21.6.2012 C-80/11 e C-142/11, punti 45-49), viene nuovamente avvalorato che il soggetto passivo che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che, col proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA dev’essere considerato ai fini della direttiva 2006/112, partecipante a tale evasione” non essendo, per contro, “compatibile con il regime del diritto alla detrazione previsto dalla suddetta direttiva, sanzionare col diniego di tale diritto un soggetto passivo che non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore“(cfr Corte di Giustizia europea sent. 6.12.2012, in C-285/11; C- 642/111, punto 48).
Dunque, il tema viene incentrato sull’onere della prova che incombe al Fisco, il quale dovrà preliminarmente identificare gli elementi di fatto della frode attinente al soggetto cedente, qualificarne la natura di cd. Cartiera, nonché dar concretezza della partecipazione e/o consapevolezza di tale sistema da parte del soggetto cessionario, il tutto attraverso, presunzioni, purché dotate dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, concretizzanti in elementi obiettivi atti ad ingenerare il sospetto da parte di un imprenditore onesto, che, se accettati, siano atti a corroborarne la consapevolezza nel meccanismo fraudolento.
Il problema non è affatto secondario e ciò in ragione della condotta posta in essere da parte degli uffici accertatori che quotidianamente dovranno produrre concreti elementi atti a suffragare la consapevolezza del della sussistenza del mala fede del contribuente, quali come quelli nel caso che ci occupa l’assenza di una struttura aziendale o operativa, l’assenza di documentazione fiscale.
In presenza di tale elementi resterà onere del contribuente provare il contrario.
In difetto di tale prova dunque ai fini IVA non sarà esperibile la detrazione di tale operazioni.
Nel caso di specie, i contratti IRS non avevano una funzione speculativa, bensì di copertura dei debiti preesistenti del Comune, in quanto inquadrabili nell’ambito dei contratti che hanno la funzione di ridurre significativamente il rischio di oscillazione dei tassi, prevedendo, in un caso che il tasso variabile del debito del Comune veniva coperto all’interno di un intervallo, e nell’altro che veniva sostituito con un tasso tendenzialmente fisso.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANOLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 28933/2010
proposto da
GIALLO SRL
RICORRENTE
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
INTIMATO
Nonché da
AGENZIA DELLE ENTRATE
CONTRORICORRENTE INCIDENTALE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con distinti avvisi di accertamento, l’Agenzia delle Entrate, basandosi su un pvc della Guardia di Finanza, contestava alla S.R.L GIALLO l’indebita detrazione dell’Iva negli anni 2002 e 2003, ed irrogava le relative sanzioni, in relazione all’attività di acquisto di autoveicoli di provenienza estera e successiva rivendita, le cui modalità realizzavano un meccanismo contabile di fatturazioni soggettivamente inesistenti nel quadro di una “frode carosello”.
I ricorsi della Società contribuente, dopo esser stati riuniti, venivano accolti dalla CTP di Cuneo, ma la decisione veniva, in parte, riformata dalla CTR del Piemonte, che, con sentenza n. 20/15/10, depositata il 28.5.2010, affermava che le fornitrici avevano natura di “cartiere“, che il prezzo di trasferimento dei veicoli era incongruo, nè smentito dalla prodotta perizia, e che l’evasione dell’imposta era addebitabile alla contribuente, quanto meno a titolo di colpa. I giudici d’appello disponevano, poi, la riduzione delle sanzioni, in ragione della metà del minimo, in applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4.
Per la cassazione della sentenza, ricorrono, in via principale la Società contribuente con cinque motivi, illustrati da memoria, ed, in via incidentale, l’Agenzia delle Entrate con tre motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col PRIMO MOTIVO, la ricorrente principale deduce vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la CTR: a) aveva contraddittoriamente ritenuto provata la sua responsabilità nonostante avesse ritenuto, in punto di sanzioni, che era chiamata a rispondere del fatto illecito altrui; b) non aveva sufficientemente spiegato le ragioni per le quali dall’astratta esistenza del meccanismo evasivo dell’Iva aveva desunto la sua consapevolezza circa la frode stessa; c) aveva qualificato “cartiere” le ditte fornitrici in modo incongruo ed apodittico; d) aveva ritenuto rilevante il prezzo di trasferimento delle autovetture, senza valutare adeguatamente le considerazioni esposte nella prodotta perizia, e senza considerare che, in caso di vendita sottocosto, non si determinava alcun apprezzabile vantaggio economico; e) aveva incomprensibilmente affermato che il pagamento delle vetture era anticipato, senza descrivere gli elementi di prova che deponevano in tal senso.
Col SECONDO MOTIVO, la ricorrente deduce nuovamente il difetto di motivazione per non avere la CTR valutato i numerosi fatti, circostanze e prove dedotti a sostegno della correttezza del proprio operato. Se avesse analizzato la ricca documentazione prodotta in giudizio, prosegue la ricorrente, la Commissione regionale, invece di appiattirsi alla tesi propugnata dal Fisco, sarebbe pervenuta ad un giudizio differente sia in relazione ai prezzi di trasferimento degli autoveicoli che sulla natura di cartiere delle fornitrici.
Col TERZO MEZZO, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e degli art. 112, 115 e 116 c.p.c., oltre che dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 360 bis c.p.c.. La ricorrente afferma che gli elementi addotti dall’Ufficio a sostegno del recupero fiscale sono privi dei requisiti di gravità precisione e concordanza, tenuto conto che l’impianto accusatorio si basa su pvc emessi nei confronti di altri soggetti e che erano state offerte le prove per documentare il reale valore degli autoveicoli acquistati e la sua buona fede. La stessa CTR aveva, del resto, dato atto dell’esecuzione di controlli sui fornitori “secondo l’ordinaria diligenza”, e che l’evasione dell’imposta era stata commessa da altri, così sconfessando i presupposti della ripresa.
Col QUARTO MOTIVO, la contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in relazione all’art. 17 della Direttiva CEE 77/388 e 168 Direttiva CEE 2006/112, quali elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente fa rilevare che, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, l’esigenza di assicurare la riscossione dell’imposta e di evitare frodi non può essere attuata in modo tale da mettere in discussione la neutralità dell’Iva, ed evidenzia che i principi generali di certezza e proporzionalità del diritto comunitario vietano all’Amministrazione finanziaria di addossare le conseguenze del comportamento illecito altrui all’operatore, che, come nella specie, era in buona fede, per avere svolto le indagini sui fornitori, secondo l’ordinaria diligenza. La ricorrente chiede la rimessione degli atti alla Corte di Giustizia, perchè si pronunci sulla correttezza dell’opzione esegetica effettuata dalla CTR, che, pur avendo accertato che l’evasione è stata commessa da terzi e riconosciuto il suo comportamento diligente, ha negato il diritto alla detrazione dell’IVA, privilegiando la tutela degli interessi erariali e l’esigenza di recuperare in ogni caso l’imposta.
Col QUINTO MOTIVO, si deduce, nuovamente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in relazione all’art. 168 Direttiva CEE 2006/112, evidenziando che anche, al caso di frode fiscale, è applicabile il principio sancito dalla Corte di Giustizia, con la sentenza dell’8 maggio 2008 in C- 95/07 e C-96/07 (ECOTRADE), secondo cui il diritto alla detrazione dell’imposta sussiste nel caso in cui non siano stati adempiuti obblighi formali e contabili, essendo illegittima la prassi che, come nella specie, richieda il pagamento dell’Iva (per parte attiva) non riconoscendo, allo stesso tempo, la relativa detrazione (per parte passiva).
I MOTIVI QUARTO e QUINTO che, per ragioni sistematiche e per la loro connessione, vanno esaminati congiuntamente e con priorità, sono infondati.
La giurisprudenza comunitaria – cui occorre anzitutto riferirsi, trattandosi di tributo armonizzato a livello Europeo -, dopo aver affermato che: a) il diritto alla deduzione previsto all’art. 17 e ss., della sesta direttiva, quale parte integrante del meccanismo dell’IVA, non può esser soggetto, in linea di principio a limitazioni (v. C – 354/03, C – 355/03 e – 484/03, OPTIGEN LTD, C – 62/93, BP SOUPERGAZ, punto 18, e C – 110/98 GABALFRISA, punto 43); b) gli Stati membri possono adottare le misure necessarie ad assicurare l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi, in quanto la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto ed incoraggiato dalla direttiva 2006/112 (v. C- 285/11, BONIK EOOD, punto 35 e sentenze ivi citate); ha ritenuto di dar rilevo alla buona fede del cessionario in funzione dei principi della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto, affermando che in presenza di una frode sull’IVA realizzata con una catena di successive cessioni, il cessionario ha il diritto di detrarre l’IVA ove “non sappia o non possa sapere” (sent. Optigen Ltd, cit. punto 53 e segg.) di essere coinvolto in un meccanismo fraudolento, ed a contrario il giudice nazionale deve negare il beneficio del diritto alla deduzione all’operatore che “sapesse o avrebbe dovuto sapere di partecipare con il proprio acquisto ad una operazione che si iscriveva in una frode all’IVA” (sent. C – 439/04 AXEL KITTEL).
Tali principi sono stati riaffermati nella recente sentenza della Corte di Giustizia 21.6.2012 (C – 80/11 e C – 142/11, punti 45-49), in cui viene ribadito che il soggetto passivo che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che, col proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA dev’essere considerato ai fini della direttiva 2006/112, partecipante a tale evasione” non essendo, per contro, “compatibile con il regime del diritto alla detrazione previsto dalla suddetta direttiva, sanzionare col diniego di tale diritto un soggetto passivo che non sapeva o non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore” (cfr. pure sentenza 6.12.2012, in C – 285/11; C – 642/111, punto 48).
La sentenza in C-95/07 e C-96/07 (ECOTRADE), a base del quinto motivo, non è invocata a proposito, in quanto contrariamente a quanto deduce la ricorrente, con essa si afferma, per quanto qui rileva, che l’art. 18, n. 1, lett. d), e art. 22, della sesta direttiva 77/388, come modificata dalla direttiva 2000/17, ostano ad una prassi di rettifica delle dichiarazioni e di accertamento dell’IVA, che sanzioni l’inosservanza di obblighi formali con il diniego del diritto a detrazione, in caso di applicazione del regime dell’inversione contabile, caso affatto diverso rispetto a quello qui dibattuto, in cui viene in rilievo la buona fede della contribuente, alla quale è addebitata la partecipazione ad una frode sull’IVA.
Questa Corte ha, poi, precisato (Cass. n. 10414 del 2011; 15741 del 2012) che nel caso in cui si contestino, come nella specie, detrazioni d’imposta indebite, e, cioè, formalmente giustificate da documentazione contabile e finanziaria, ma in effetti corrispondenti ad acquisti effettuati o partecipando direttamente ad un’organizzazione d’imprese creata allo scopo di evadere il tributo col sistema della c.d. “FRODE CAROSELLO” o, avvantaggiandosi consapevolmente dei risultati di siffatta organizzazione, incombe al fisco l’onere di provare sia gli elementi di fatto della frode attinenti il cedente, ovvero la sua natura di “cartiera“, sia la partecipazione ad essa del contribuente, ovvero la sua consapevolezza.
Tale prova può essere data anche mediante presunzioni, dotate di gravità, precisione e concordanza, consistenti in elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente. Qualora tale prova venga fornita, grava sul contribuente l’onere di dimostrare il contrario.
Tali principi risultano rispettati nell’impugnata sentenza, che ha accolto l’appello dell’Ufficio ritenendo sussistenti gli elementi sopra specificati al punto 10: la frase, secondo cui “l’argomento della buona fede sollevato dalla resistente non appare risolutivo” non ha il valore semantico che le attribuisce la ricorrente, estrapolandola dal contesto, avendo, al contrario, i giudici d’appello concluso per l’indetraibilità dell’imposta ritenendo “fuori dubbio il comportamento colposo della stessa” e, dunque, l’assenza della buona fede. Del resto, la ricorrente imputa, in concreto, alla sentenza di aver applicato i principi in tema di frodi iva in un caso che ne era esente, e ciò a causa dell’affermata erroneità nella ricostruzione dei fatti (oggetto dei primi due motivi). Tanto risulta chiaro dalla stessa richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, formulata dalla ricorrente non allo scopo di ottenere da quella Corte l’interpretazione di una norma comunitaria rilevante ai fini della decisione, ma onde affermare l’illegittimità della sentenza d’appello che, a suo dire, ha negato il diritto alla detrazione “ancorchè abbia accertato che l’evasione è stata commessa da terzi e che lo stesso cessionario ha agito in buona fede, usando l’ordinaria diligenza nello svolgere i controlli sui propri fornitori“.
La richiesta di rinvio pregiudiziale va, comunque, respinta in ragione dell’esistenza delle plurime pronunce in tema di frodi sull’IVA, sopra menzionate, che lo rende inutile (o non obbligato) (cfr. Corte di giustizia 6 ottobre 1982, in causa C- 283/81, Cilfit; Cass. n. 22103 del 2007, n. 11456 del 2011).
Il vizio di motivazione dedotto coi motivi primo e secondo, che vanno ora, congiuntamente, esaminati, non è ravvisabile: il giudice del merito è pervenuto all’accoglimento del gravame del Fisco, con motivazione sufficiente in relazione sia alla natura di cartiere delle società fornitoci, che all’assenza di buona fede della contribuente.
In ordine al primo punto, il convincimento della CTR trova congrua ed adeguata motivazione in ragione degli argomenti esposti, ed in ispecie, della mancanza di sede operativa o di struttura aziendale per alcune Società (BIANCO SRL ROSSI SPA .), del modus operandi quale accertato con altre sentenze – CTP di Torino e GIP di Torino – per altra (SERVIZI FC S.R.L.) – A tanto, i giudici d’appello hanno aggiunto che dette Società fornitrici erano state trovate prive di documentazione contabile ed avevano totalmente evaso l’Iva, in relazione agli acquisti contestati; laddove la circostanza che su una ditta ( F.C.) non siano stati svolti argomenti è del tutto irrilevante, non essendo le relative fatture state incluse tra quelle non detraibili (cfr. dispositivo dell’impugnata sentenza).
Anche in relazione alla ritenuta insussistenza del requisito di buona fede la sentenza è esente dalle censure che le sono state rivolte, avendo accertato che i controlli formali svolti dalla contribuente sull’affidabilità delle ditte fornitrici non erano idonei allo scopo, essendo la contribuente una Società che da tempo operava nel settore ed essendo il suo legale rappresentante, pure, amministratore di altra società che svolgeva attività analoga e si avvaleva degli stessi fornitori; premesse dalle quali i giudici d’appello hanno desunto il comportamento colposo della contribuente, che non aveva agito con la diligenza richiesta in relazione all’attività svolta, ed hanno perciò concluso per l’assenza del diritto alla detrazione “sia che la Società abbia direttamente partecipato e quindi sia come tale responsabile dell’illecito o che ne abbia condiviso i vantaggi in modo colposo”.
Gli argomenti spesi dalla CTR per mitigare il trattamento sanzionatorio sono stati a torto enfatizzati dalla ricorrente, dato che gli stessi non contraddicono il predetto accertamento, per l’assorbente ragione che l’uso del potere di graduare la sanzione presuppone, comunque, la colpevolezza della violazione contestata, e quindi l’assenza della buona fede.
I dati relativi alla congruità dei prezzi di trasferimento degli autoveicoli tendono, inammissibilmente, a sollecitare un nuovo esame del merito, così come le contestazioni relative alle modalità di acquisto singole vetture con pagamento anticipato.
D’altronde, la CTR ha dato conto di aver valutato, pur non condividendone le conclusioni, la perizia prodotta e la contribuente non ha trascritto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, i passi dei documenti che i giudici del merito non avrebbero erroneamente esaminato e la cui valutazione avrebbe condotto a risultato diverso; trascrizione che, beninteso, avrebbe dovuto avvenire in seno al ricorso, non potendo trovare ingresso le allegazioni effettuate in merito nella memoria presentata a norma dell’art. 378 c.p.c., (alla quale sono stati, pure, allegati documenti) che ha esclusivamente la funzione di illustrare ed approfondire gli atti iniziali del giudizio di cassazione.
Il terzo motivo, che presuppone la mancata prova, da parte del fisco, degli elementi posti a base della ripresa, non è dunque fondato, dovendo comunque rilevarsi che la violazione della disciplina sull’onere della prova è configurabile quando il giudice lo attribuisca ad una parte diversa da quella che ne è gravata ex lege, e non anche quando, come nella specie, si assuma che il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto al suo onere, poichè in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento delle acquisizioni istruttorie, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr.Cass. n. 19064 del 2006).
Col primo motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia delle Entrate lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contraddittorietà della motivazione della sentenza, laddove non ha tratto dal meccanismo fraudolento accertato le dovute conseguenze in tema di sanzioni. 21. Col secondo mezzo, si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, artt. 5, 6 e 9, per avere i giudici d’appello affermato che la giurisprudenza della Corte di Giustizia riguarda, solo il diritto degli stati membri a recuperare il tributo evaso, senza considerare che accertato tale presupposto, va applicata la norma interna, che sanziona, appunto, la violazione degli obblighi fiscali in materia, sicchè escludere o limitare fortemente il trattamento sanzionatorio si traduce nella errata applicazione della norma sanzionatoria stessa.
Col terzo motivo, si deduce, nuovamente il vizio di motivazione laddove si paventa la possibilità per l’erario di lucrare un indebito arricchimento, senza considerare la possibilità di conseguire l’IVA dalle fornitrici è esclusa, in radice, dallo stesso meccanismo delle frodi carosello e dalla natura di mere cartiere delle fornitrici stesse. 23. Il primo motivo va rigettato, alla stregua delle considerazioni svolte sopra al punto 16, a proposito della contrapposta, omologa, censura svolta dalla contribuente.
Anche il secondo motivo è infondato. Questa Corte (Cass. n. 5209 del 2011) ha condivisibilmente affermato che la disposizione contenuta nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4 – che consente di ridurre la sanzione fino alla metà del minimo, quando concorrono eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione stessa- si applica, in mancanza di specifiche eccezioni, ad ogni genere di sanzioni, e dunque, anche al caso qui in rilievo della frode carosello, non ostandovi disposizioni comunitarie.
Il terzo motivo è inammissibile: la valutazione delle circostanze eccezionali che rendono manifesta l’anzidetta sproporzione e consentono la riduzione della sanzione costituisce un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito (Cass. n. 25376 del 2008).
Frammentando l’iter argomentativo della sentenza, col motivo si tende a conseguire una valutazione diversa da quella cui la CTR è pervenuta con motivazione, che globalmente si appalesa congrua.
I ricorsi vanno entrambi rigettati. In considerazione della reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio di legittimità vanno interamente compensate tra le parti.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2013. Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2013
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Numero Protocolo Interno : 311/2013