In caso di furto nelle cassette di sicurezza spetta alla banca dimostrare la propria diligenza professionale all’art.1176, comma 2, cc in merito all’adeguatezza delle misure di sicurezza adottate nell’espletamento del servizio di custodia e , e non invece ai clienti provare la colpa del “custode” contrattuale. In tale ottica la presunzione di responsabilità grava sulla Banca che dovrà fornire la prova liberatoria al fine di chiare le ragioni per le quali il furto è stato possibile nonostante le misure di sicurezza previste, nonché provare che si tratta di ragioni che escludono una sua condotta colposa, non essendo sufficiente a dimostrare l’assenza di colpa la prova generica della sua diligenza.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 5/5/2005
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nelle notti comprese fra il 30 giugno ed il 3 luglio del 1989, ignoti ladri, penetrati nel caveau dell’agenzia 14 di Roma del BANCO, trafugarono, fra l’altro, il contenuto delle cassette di sicurezza, lì custodite, nella disponibilità di CLIENTI
Costoro convennero in giudizio il BANCO, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti per la perdita dei beni depositati nelle cassette.
La Banca convenuta chiese il rigetto delle domande, deducendo l’assenza di propria colpa grave e l’applicabilità della clausola, inserita in tutti i contratti, che, in relazione a ciascuna cassetta di sicurezza, limitava la sua responsabilità risarcitoria alla somma di L. 1.000.000, da essa già offerta agli aventi diritto.
Il Tribunale adito, con sentenza non definitiva del 2002, affermò che la convenuta era tenuta a rispondere integralmente dei danni, ma la Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 5.5.05, in accoglimento del gravame immediatamente proposto dal BANCO contro la decisione, respinse le domande.
La Corte territoriale precisò in premessa che la clausola limitativa della responsabilità invocata dal BANCO non influiva sul contenuto del contratto ma, eventualmente, sul quantum del risarcimento e che doveva ritenersi operante pur in assenza della causa di inimputabilità costituita dal fortuito, salva la prova, che in presenza di tale pattuizione gravava sui clienti, che l’evento si era verificato per il concorso di colpa grave della banca.
Rilevò quindi che, ai fini dell’affermazione della responsabilità del BANCO oltre il massimale indicato in detta clausola, era ininfluente l’argomentazione del Tribunale, secondo cui il furto non poteva essere definito evento incolpevole o caso fortuito, ed occorreva, piuttosto, orientare l’indagine all’accertamento dell’esistenza di condizioni idonee a dimostrare gli estremi della colpa grave nella condotta della banca.
Affermò poi che la sussistenza di tale colpa andava fondatamente esclusa alla luce degli elementi di fatto emergenti dalla prova orale acquisita in primo grado e desumibili, ex art.2727 cc, dagli atti dell’indagine penale, sostanzialmente travisati o obliterati dal Tribunale.
Ritenne, in particolare, che l’assunto del primo giudice, secondo il quale uno o più dipendenti della banca, seppure non identificati, avevano concorso al reato, perché “altrimenti il furto sarebbe stato impossibile“, costituisse mera petizione di principio, priva di sostegno probatorio.
Passò quindi ad esaminare le misure di sicurezza approntate dalla banca e rilevò: che i locali dell’agenzia erano blindati e dotati di allarme collegato alla Questura; che la porta di accesso antitesoro era dotata di analogo impianto; che la portaforte di accesso al caveau era munita di doppia chiave, combinazione e time lock; che erano stati pure predisposti un controllo TV via cavo nonché una vigilanza periodica, con cinque visite diurne e cinque notturne affidate ad impresa specializzata; che tutte le chiavi erano ben custodite; che le indagini effettuate in sede penale avevano confermato che al momento del furto la portaforte era stata chiusa con entrambe le chiavi ed attivazione della combinazione e del time lock e che, una volta scattato l’allarme in questura, erano state attivate tutte le procedure di emergenza.
Osservò che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, il fatto che, dopo lo scattare dell’allarme ed il piantonamento della sede dell’agenzia, non fossero emerse anomalie, non autorizzava a presumere che la segnalazione acustica fosse entrata in funzione dopo che i ladri si erano allontanati dal caveau, dovendosi piuttosto dar credito alla ricostruzione dei fatti contenuta nel rapporto di P.G., secondo cui i ladri erano stati messi in fuga proprio dal suono della sirena.
Sostenne che il complesso delle indicate misure di sicurezza e delle procedure di emergenza previste ed attivate in occasione dell’evento fosse oggettivamente adeguato a tutelare l’intangibitità delle cassette di sicurezza, avuto riguardo alle possibilità tecniche ed ai criteri di esperienza acquisiti all’epoca dei fatti, e che tale conclusione non potesse trovare smentita nelle risultanze della ctu espletata in primo grado, che aveva riscontrato diversi punti deboli nel sistema di allarme, in quanto l’indagine tecnica era stata disposta a distanza di otto anni dal furto, quando il servizio delle cassette di sicurezza era stato dismesso e gli impianti di protezione erano stati per la gran parte smantellati, con la conseguenza che era legittimo dubitare che il ctu avesse adeguatamente valutato la situazione di fatto esistente al momento dell’evento.
In risposta a specifici rilievi degli appellati, la Corte territoriale escluse poi che l’obsolescenza dell’impianto potesse trarsi dal contenuto della lettera della ADT del 25.5.81, cui avevano fatto riferimento il ctu ed il primo giudice, dalla quale si desumeva esclusivamente che la ditta si era riservata di sottoporre al BANCO un’adeguata quotazione per l’aggiornamento delle centrali di gestione, proponendo nell’immediato un’implementazione del sistema che era stata attuata.
Asserì, infine, che gli elementi di “debolezza” del sistema (passaggio a vista del cavo elettrico per il collegamento con la Questura, mancanza di blindatura delle cassette di sicurezza, scarsa visibilità della televisione a circuito chiuso, presenza di un cono d’ombra rispetto alla telecamera) non giustificavano l’addebito di colpa grave della banca, trattandosi di fattori di scarsa importanza nei meccanismi di difesa del caveau.
Concluse, pertanto, che, in tale quadro probatorio, il fatto che i malviventi avessero agito indisturbati per diverse ore, sino alle 23,30 del 2 luglio, eseguendo il furto senza scasso, non denotava, di per sé, particolari negligenze o imprudenze del BANCO, quanto piuttosto le capacità delinquenziali dei ladri o, comunque, limiti obiettivi dei sistemi di sicurezza, considerato che l’appellante aveva anche documentato due analoghi fatti criminosi verificatisi alcuni anni dopo, nei quali era emersa l’adozione, da parte degli autori del furto, di sistemi elettronici altamente sofisticati e idonei a neutralizzare gli impianti di allarme, sicché poteva fondatamente ipotizzarsi che anche nel 1989 era stata adottata la medesima tecnica, all’epoca sicuramente inedita, confermandosi, così, che alla banca non poteva addebitarsi altro che una colpa lieve.
I CLIENTI hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a quattro motivi ed illustrato da memorie.
Il BANCO ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il PRIMO MOTIVO, i ricorrenti, denunciando violazione degli artt.1218, 1229, 1839 e 2697 cc, lamentano che la Corte territoriale abbia posto a loro carico l’onere della prova della sussistenza della colpa grave della banca.
Rilevano che, verificatosi l’evento (furto) che la banca ha contrattualmente l’obbligo di impedire, spetta a quest’ultima di provare l’idoneità della custodia dei locati ed, ancora, del verificarsi del caso fortuito e dell’evento inevitabile.
2) Col SECONDO MOTIVO, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt.1176 comma 2, 1218, 1229, 1453 e 1455 cc nonché vizio di omessa motivazione, i ricorrenti lamentano che, partendo dall’erronea interpretazione delle richiamate norme di legge, la Corte abbia valutato il grado di colpa della banca prescindendo dalla causa e dalla natura del contratto tipico portato al suo esame e dunque dalla natura della principale obbligazione gravante sul banchiere, fornendo una sua propria valutazione della gravità della colpa ascritta alla banca che prescinde dai principi costantemente enunciati in materia dal giudice di legittimità.
3) I motivi che, essendo fra loro strettamente connessi, possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati e meritano accoglimento.
3.1) Con il contratto di cassette di sicurezza la banca assume la responsabilità riferita a prestazioni di custodia, dalla quale può essere liberata solo nell’ipotesi di caso fortuito, cui il furto è estraneo, essendo evento prevedibile sia in considerazione della natura della prestazione dedotta sia della professionalità dell’obbligato.
In tale contesto, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, la clausola limitativa della responsabilità della banca, in relazione al valore delle cose custodite, integra un patto che si riflette sull’ammontare del debito risarcitorio e non sull’oggetto del contratto e che è soggetto alla disciplina dell’art.1229 cc, che ne commina la nullità ove escluda la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave.
Tuttavia, in presenza di tale clausola, la questione della distribuzione dell’onere della prova non trova ragione di essere prospettata in termini diversi, rispetto alla disciplina che regola l’inadempimento delle obbligazioni contrattuali, come prevista dall’art.1218 cc, in forza del quale è il debitore che, per liberarsi dalla responsabilità, ha l’onere di provare, in caso di inadempimento o ritardo, che l’impossibilità della prestazione è dovuta a causa a lui non imputabile, non essendo sufficiente a dimostrare l’assenza di colpa la prova generica della sua diligenza (Cass. n.7081/05).
Infatti il citato art.1228 cc va coordinato con l’art.1218 cc, che è norma generale del regime processuale della responsabilità contrattuale, in forza della quale la regola della presunzione della responsabilità non trova motivo di essere derogata, in difetto di norme scritte o di ragioni giustificative di una diversa interpreta zio ne dell’art.1229 cc (Cass. n.7081/05 cit.).
Il giudice d’appello ha dunque errato nell’affermare che, attesa la pattuizione della clausola limitativa della responsabilità del BANCO, gravava sui clienti l’onere di provare la ricorrenza della colpa grave dell’istituto.
3.2} Secondo la corretta ripartizione dell’onere di cui all’art.2697 cc, spetta dunque alla banca di chiarire le ragioni per le quali il furto è stato possibile nonostante le misure di sicurezza previste e di provare che si tratta di ragioni escludenti una sua condotta gravemente colposa.
In sostanza, in un’ottica volta a verificare il superamento della presunzione posta a carico dell’istituto di credito dall’art.1839 cc, l’indagine del giudice del merito deve essere diretta ad accertare se lo stesso abbia fornito dimostrazione positiva di aver adempiuto all’obbligo di garantire la sicurezza dei locali e delle cassette secondo la diligenza professionale richiestagli dall’art.1176 comma 2 cc, che gli impone di tenersi aggiornato sull’evoluzione delle specifiche soluzioni studiate allo scopo e di adottarle tempestivamente.
La conclusione alla quale è pervenuta la Corte territoriale – che ha ravvisato una colpa lieve della banca, per non aver previsto e fronteggiato la possibilità che i ladri si dotassero di una strumentazione altamente sofisticata, atta a neutralizzare il sistema d’allarme ed a consentire l’accesso al caveau senza effrazione delle porte corazzate – avrebbe dunque potuto giustificarsi solo nel caso in cui fosse stato concretamente accertato che l’impianto installato dal BANCO rispondeva alle più recenti prescrizioni in tema di sicurezza raccomandate dalle ditte operanti nel settore, ciò nonostante (come in effetti ipotizza la sentenza, accennando a limiti obiettivi del sistema) inidonee a garantire un livello di protezione al passo col progredire delle conoscenze tecniche in materia, tuttavia accessibili ad altri soggetti professionalmente attrezzati (quali, come pure presume la sentenza, dovevano essere gli autori del reato).
L’adozione dell’errata regola di giudizio circa la distribuzione dell’onere di cui all’art.2697 cc ha invece indotto il giudice d’appello a ritenere “il complesso delle misure di sicurezza e delle procedure di emergenza previste ed attivate in occasione dell’evento oggettivamente adeguato a tutelare l’intangibilità delle cassette di sicurezza, avuto riguardo alle possibilità tecniche ed ai criteri di esperienza acquisiti all’epoca dei fatti”, in base ad un apprezzamento, per così dire, “capovolto” delle risultanze istruttorie, che, anziché essere indirizzato al predetto accertamento positivo (e dunque alla verifica della effettiva riscontrabilità della diligenza dovuta dalla banca) si è sostanzialmente arrestato alla constatazione che dagli atti non emergeva la prova della colpa grave dell’istituto.
Così, ad es., le conclusioni del ctu sono state ritenute scarsamente attendibili in quanto non sorrette da una sufficiente valutazione della situazione di fatto esistente al momento dell’evento, nonostante dovesse imputarsi al BANCO di aver disattivato l’impianto e smantellato l’apparato di sicurezza e, dunque, di aver reso estremamente difficoltosa l’indagine demandata al consulente.
Analogamente, è stata ritenuto arbitrario desumere l’obsolescenza dell’impianto da una lettera proveniente da società specializzata, che, già nel 1981, si era riservata di sottoporre al BANCO “un’adeguata quotazione., per l’aggiornamento delle centrali di gestione“, laddove, a fronte di tale lettera, sarebbe spettato alla banca di allegare, in via alternativa, di aver provveduto all’aggiornamento o di averlo fondatamente reputato superfluo.
Più in generale, va rilevato come il giudizio sulla complessiva adeguatezza dell’impianto, avuto riguardo alle possibilità tecniche ed ai criteri di esperienza acquisiti all’epoca dei fatti, sia stato formulato dalla Corte di merito senza fare neppure un accenno a dette possibilità e/o criteri e senza chiarire se fosse stata comunque accertata la rispondenza agli standards esigibili nell’89 quantomeno delle singole componenti che evidenziavano punti di debolezza del sistema.
L’accoglimento dei motivi comporta la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa, per un nuovo giudizio, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che valuterà le risultanze istruttorie attenendosi ai principi di diritto enunciati e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità. Restano assorbiti il terzo ed il quarto motivo di ricorso.
PQM
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso e dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, per un nuovo giudizio, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
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