«Non è giusto il prezzo soggettivamente reputato tale da uno dei soggetti del processo, ma solo quello che si forma all’esito del corretto funzionamento dei meccanismi processuali istituzionalmente deputati a determinarlo”, poiché “è l’interazione col mercato dei beni oggetto della vendita giudiziaria a costituire idonea garanzia di ottenimento del massimo risultato giusto ed utile possibile”.
Le superiori considerazioni escludono ogni possibile identificazione tra “prezzo giusto” rilevante ai fini del potere di sospensione della vendita ex art. 586 cod. proc. civ. e valore di mercato. »
«Nemmeno nel contesto concorsuale il riferimento alle “condizioni di mercato” come parametro di “giustezza” del prezzo è stato inteso dalla giurisprudenza di nomofilachia come biunivoca correlazione al prezzo di mercato; il prezzo “giusto” con cui il giudice delegato deve confrontare il prezzo di aggiudicazione (onde verificare l’esistenza di una notevole sproporzione) non rappresenta il valore – astratto ed ipotetico – di mercato ma l’esito possibile della vendita da individuarsi, esercitando un prudente apprezzamento, alla luce della concreta e contingente situazione del mercato territoriale di riferimento come evidenziata dall’andamento della fase liquidativa (ovvero dalle risposte offerte dalla platea dei potenziali interessati all’acquisto rispetto alla collocazione in vendita del bene) ma anche dall’assenza di interferenze o fattori devianti incidenti sul prezzo; il contenuto della valutazione sul “giusto prezzo” nella espropriazione singolare (è) stato “esportato” nella procedura concorsuale, finendo con l’integrare uno dei parametri di congruità del prezzo anche in quella sede.»
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Rubino – Rel. Rossi, con l’ordinanza n. 3887 del 12 febbraio 2024.
IL CASO
Una società promuoveva innanzi il Tribunale di Treviso espropriazione forzata in danno di un privato, sottoponendo a pignoramento un immobile di proprietà di quest’ultimo.
Emessa ordinanza di vendita del bene pignorato per un prezzo base di euro 1.282.500, la fase liquidativa si svolgeva attraverso plurimi infruttuosi esperimenti di vendita e con reiterati ribassi del prezzo di collocazione; il cespite veniva alfine aggiudicato, per il prezzo di euro 345.000, a favore del quale aggiudicatario, saldato il prezzo, veniva poi emesso decreto di trasferimento.
Avverso detto decreto (nonché avverso l’ordine di liberazione dell’immobile nel frattempo emanato dal giudice dell’esecuzione), il debitore espropriato proponeva opposizione agli atti esecutivi, adducendo, in sintesi, l’ingiustizia del prezzo di aggiudicazione, notevolmente inferiore a quello corretto “tenuto conto delle condizioni di mercato”.
L’opposizione veniva disattesa dalla decisione in epigrafe, contro la quale ricorreva per cassazione il debitore, articolando un unico motivo; con esso, l’impugnante lamentava che il “giusto prezzo” – previsto dall’art. 586 cod. proc. civ. come parametro per l’esercizio del potere di sospensione dell’esecuzione (ostativo all’emissione del decreto di trasferimento) – andasse rapportato al valore corrente di mercato del bene staggito, alla stregua di quanto stabilito nell’ambito delle procedure concorsuali dall’art. 108 l.fall.: da ciò inferiva la notevole inferiorità del prezzo di aggiudicazione conseguito nella specie (euro 345.000), ribassato di oltre il 70% rispetto al valore di stima (euro 1.282.500).
Inoltre, il ricorrente, ove confermata l’interpretazione seguita dal giudice di merito, prospettava questione di legittimità costituzionale dell’art. 586 cod. proc. civ., per contrasto con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), di buona gestione dell’amministrazione della giustizia (art. 98 Cost.), di parità di trattamento delle parti del processo (art. 111 Cost.).
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Suprema Corte richiama in primo luogo i precedenti di legittimità che, in riferimento all’art. 586 cod. proc. civ.[1] hanno chiarito che “il potere di sospendere la vendita, attribuito al giudice dell’esecuzione dopo l’aggiudicazione perché il prezzo offerto è notevolmente inferiore a quello giusto, può essere esercitato allorquando: a) si verifichino fatti nuovi successivi all’aggiudicazione; b) emerga che nel procedimento di vendita si siano verificate interferenze illecite di natura criminale che abbiano influenzato il procedimento, ivi compresa la stima stessa; c) il prezzo fissato nella stima posta a base della vendita sia stato frutto di dolo scoperto dopo l’aggiudicazione; d) vengano prospettati, da una parte del processo esecutivo, fatti o elementi che essa sola conosceva anteriormente all’aggiudicazione, non conosciuti né conoscibili dalle altre parti prima di essa, purché costoro li facciano propri, adducendo tale tardiva acquisizione di conoscenza come sola ragione giustificativa per l’esercizio del potere del giudice dell’esecuzione (in tal senso Cass. 21/09/2015, n. 18451, alla cui motivazione si fa integrale rinvio).”
Da ciò si è poi desunto che “non integra un prezzo ingiusto di aggiudicazione, idoneo a fondare la sospensione prevista dall’art. 586 cod. proc. civ., quello che sia anche sensibilmente inferiore al valore posto originariamente a base della vendita, ove questa abbia avuto luogo in corretta applicazione delle norme di rito, né si deducano gli specifici elementi perturbatori della correttezza della relativa procedura elaborati dalla giurisprudenza, tra cui non si possono annoverare l’andamento o le crisi, sia pure di particolare gravità, del mercato immobiliare (Cass. 10/06/2020, n. 11116).”
A tale orientamento si è allineata la gravata sentenza, con la quale “il giudice territoriale ha escluso la ricorrenza delle condizioni per la sospensione della vendita, per non aver l’opponente “allegato alcun fatto che abbia interferito con il procedimento di determinazione del prezzo ed in conseguenza del quale la determinazione del prezzo di stima sia stata falsata al ribasso”.
Per la Suprema Corte la pronuncia merita conferma, dovendosi ribadire il principio per il quale “il “giusto prezzo” cui fa riferimento l’art. 586 cod. proc. civ. è – diversamente da quanto opina il ricorrente – un concetto non economico, correlato cioè al valore venale o al miglior risultato di collocazione dell’immobile conseguibile in base ai parametri del mercato, bensì giuridico: esso designa l’esito ottenuto da una sequenza procedimentale della fase liquidatoria svolta in maniera conforme alle regole che la presidiano, ovvero in assenza di fattori devianti o interferenze illegittime incidenti sulla formazione del prezzo. (…) Le superiori considerazioni escludono ogni possibile identificazione tra “prezzo giusto” rilevante ai fini del potere di sospensione della vendita ex art. 586 cod. proc. civ. e valore di mercato.”
Gli Ermellini precisano, inoltre, che a differente conclusione non conduce l’argomentazione su cui si incentra il motivo in vaglio, ossia l’applicazione analogica all’espropriazione singolare della norma (ratione temporis applicabile) dettata dall’art. 108 l.fall.[2] per la procedura concorsuale. La tesi muove da un (implicito ma indefettibile) presupposto: la omologia, strutturale e funzionale, della fase liquidativa nell’esecuzione singolare ed in quella collettiva, da ciò pretendendo inferire una identità di disciplina attraverso una vis expansiva di quella positivamente stabilita per le procedure fallimentari.
Per la Suprema Corte si tratta di un presupposto errato: “invero evidenti sono le disomogeneità della fase liquidativa nei due àmbiti. Alla regola sancita dall’art. 586 cod. proc. civ. si contrappone, nell’ambiente concorsuale, un regime composito, in cui concorrono due distinte fattispecie: un potere giudiziale di sospensione, subordinato alla formulazione di un’istanza di un soggetto interessato (fallito, comitato dei creditori o altri interessati) entro un brevissimo termine (dieci giorni) dichiaratamente fissato a pena di decadenza, esercitabile in caso di prezzo notevolmente inferiore a quello giusto, “tenuto conto delle condizioni di mercato” (art. 108 l.fall.); un potere di sospensione del curatore, nell’ipotesi di presentazione di un’offerta irrevocabile d’acquisto migliorativa, per un importo non inferiore al dieci per cento del prezzo offerto (art. 107, quarto comma, l.fall.).”
Pertanto, se lo scopo di queste due norme appare identico (incrementare il risultato economico della vendita) e l’effettiva perseguibilità di esso è affidato ad una valutazione discrezionale (del giudice o del curatore), va sottolineato come “nemmeno nel contesto concorsuale il riferimento alle “condizioni di mercato” come parametro di “giustezza” del prezzo è stato inteso dalla giurisprudenza di nomofilachia come biunivoca correlazione al prezzo di mercato.”
È radicato convincimento della giurisprudenza di legittimità che “il prezzo “giusto” con cui il giudice delegato deve confrontare il prezzo di aggiudicazione (onde verificare l’esistenza di una notevole sproporzione) non rappresenta il valore – astratto ed ipotetico – di mercato ma l’esito possibile della vendita da individuarsi, esercitando un prudente apprezzamento, alla luce della concreta e contingente situazione del mercato territoriale di riferimento come evidenziata dall’andamento della fase liquidativa (ovvero dalle risposte offerte dalla platea dei potenziali interessati all’acquisto rispetto alla collocazione in vendita del bene) ma anche dall’assenza di interferenze o fattori devianti incidenti sul prezzo.”
Pertanto, risulta palese la manifesta infondatezza, per tutte le pretese violazioni, della questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente principale, in ogni caso dovendosi ascrivere le disomogeneità di regolamentazione tra espropriazioni individuali e collettive non a vulnus del principio di ragionevolezza bensì a opzione del legislatore, estrinsecazione della sua ontologica discrezionalità e coerente con le diversità, sotto plurimi profili, delle due tipologie di procedure.
Ne è conseguito il rigetto del ricorso.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
SOSPENSIONE VENDITA EX ART 586 CPC: POSSIBILE QUANDO IL “PREZZO OFFERTO” È NOTEVOLMENTE INFERIORE AL “PREZZO GIUSTO”
IL POTERE DEL GIUDICE DELL’ESECUZIONE NON È DISCREZIONALE
Sentenza | Tribunale di Mantova, Giudice Andrea Gibelli | 14.11.2022 | n.863
ESECUZIONE IMMOBILIARE: IL “PREZZO GIUSTO” È QUELLO DERIVANTE DA CORRETTA APPLICAZIONE REGOLE CHE DISCIPLINANO VENDITA ESECUTIVA
PER L’ESERCIZIO DEL POTERE DI SOSPENSIONE EX ART. 586 C.P.C. NON È SUFFICIENTE LA SPROPORZIONE RISPETTO AL VALORE DI MERCATO
Ordinanza | Tribunale di Cagliari, Pres. Tamponi – Rel. Caschili | 03.02.2022
ESECUZIONE IMMOBILIARE: IL “PREZZO GIUSTO” È QUELLO DERIVANTE DA CORRETTA APPLICAZIONE REGOLE CHE DISCIPLINANO VENDITA ESECUTIVA
PER L’ESERCIZIO DEL POTERE DI SOSPENSIONE EX ART. 586 C.P.C. NON È SUFFICIENTE LA SPROPORZIONE RISPETTO AL VALORE DI MERCATO
Ordinanza | Tribunale di Cagliari, Pres. Tamponi – Rel. Caschili | 03.02.2022
AGGIUDICAZIONE A PREZZO INFERIORE A QUELLO “GIUSTO”: IL GIUDICE PUÒ SOSPENDERE LA VENDITA
LA “SVENDITA” DEL CESPITE DELLA PARTE DEBITRICE RISCHIA DI DANNEGGIARE ANCHE IL CETO CREDITORIO
Articolo Giuridico | Il Mattino, Legalmente | 24.02.2019 |
[1] Il dispositivo della norma recita: “Avvenuto il versamento del prezzo e verificato l’assolvimento dell’obbligo posto a carico dell’aggiudicatario dall’articolo 585, quarto comma, il giudice dell’ esecuzione può sospendere la vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto, ovvero pronunciare decreto col quale trasferisce all’ aggiudicatario il bene espropriato, ripetendo la descrizione contenuta nell’ ordinanza che dispone la vendita e ordinando che si cancellino le trascrizioni dei pignoramenti e le iscrizioni ipotecarie, se queste ultime non si riferiscono ad obbligazioni assuntesi dall’ aggiudicatario a norma dell’articolo 508. Il giudice con il decreto ordina anche la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie successive alla trascrizione del pignoramento.
Il decreto contiene altresì l’ingiunzione al debitore o al custode di rilasciare l’immobile venduto [disp. att. 164].
Esso costituisce titolo per la trascrizione della vendita sui libri fondiari e titolo esecutivo per il rilascio.”
[2] Il dispositivo della norma prevede che “Il giudice delegato, su istanza del fallito, del comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere dello stesso comitato dei creditori, può sospendere, con decreto motivato, le operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi ovvero, su istanza presentata dagli stessi soggetti entro dieci giorni dal deposito di cui al quarto comma dell’articolo 107, impedire il perfezionamento della vendita quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato.
Per i beni immobili e gli altri beni iscritti in pubblici registri, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, il giudice delegato ordina, con decreto, la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo.”
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