ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di responsabilità dell’intermediario finanziario per gli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari, ai fini della configurazione della responsabilità del preponente, è necessario (e sufficiente) che le attività svolte dal preposto abbiano determinato semplicemente una situazione tale da rendere possibile o comunque avere agevolato il comportamento produttivo di danno, a nulla rilevando che tale comportamento abbia esorbitato il limite delle mansioni o incombenze affidate o addirittura abbia integrato un’ipotesi di reato.
È questo il principio di diritto sotteso alla sentenza n.5020 pronunziata dalla Cassazione civile in data 04/03/2014 in materia di responsabilità dell’intermediario finanziario.
Nel caso di specie, la sentenza trae origine dal ricorso presentato da un correntista avverso la sentenza della Corte di Appello che aveva negato la responsabilità della banca per l’illecito commesso dal promotore finanziario che aveva effettuato due operazioni non autorizzate, addebitate sul conto corrente del cliente, utilizzando i codici personali di accesso al servizio home banking dallo stesso fornitigli.
Ad avviso della Corte territoriale, infatti, la comunicazione dei codici di accesso al conto corrente da parte del correntista al promotore finanziario era avvenuta al di là e al di fuori di uno specifico rapporto di investimento finanziario.
Ebbene, la Suprema Corte, chiamata a pronunziarsi sul caso de quo, ha dapprima rilevato che la L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 5, comma 4 e il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 31, comma 3 pongono a carico dell’intermediario la responsabilità solidale per gli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale. Detta responsabilità, la quale presuppone, pur sempre, che il fatto illecito del promotore sia legato da un nesso di occasionalità necessaria all’esercizio delle incombenze a lui facenti capo, trova la sua ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore è uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi,per altro verso, nell’esigenza di offrire una adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede loro rivolte dall’intermediario per il tramite del promotore, giacchè appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte la buona fede dei clienti può più facilmente esserne sorpresa e aggirata.
Gli ermellini hanno altresì precisato che la norma, sebbene non circoscriva la responsabilità del preponente alle negoziazioni che abbiano ad oggetto prodotti finanziari del medesimo, postula un nesso tra fatto illecito del preposto ed esercizio delle mansioni a lui affidate, che la giurisprudenza inquadra nell’ampio significato del rapporto di “occasionalità necessaria”, ponendo la previsione normativa in una relazione di continuità con l’art. 2049 cod. civ. e, nel contempo, cogliendone la portata di più efficace strumento di tutela degli interessi degli investitori.
Di conseguenza, perchè sussista la responsabilità del preponente, è necessario che le attività svolte dal preposto abbiano determinato una situazione tale da rendere possibile il comportamento produttivo di danno, a nulla rilevando che tale comportamento abbia esorbitato il limite delle mansioni o incombenze affidate o addirittura abbia integrato un’ipotesi di reato.
Alla luce di tali riflessioni, i Giudici di legittimità, ritenuto che la Banca fosse del tutto estranea al fatto del promotore atteso che il fatto illecito del promotore era stato reso possibile dalla (incauta) iniziativa dello stesso investitore di comunicare al promotore i codici di accesso al conto corrente, hanno rigettato il ricorso proposto dal correntista.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 26391/2010 proposto da:
S.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROMEO ROMEI 35, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS)giusta mandato a margine;
– ricorrente –
contro
BANCA SPA (già R. S.P.A.) (OMISSIS), in persona dell’Avv. SP.DA. e del Dott. F.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NAZIONALE 204, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura a margine;
– controricorrente –
e contro
C.G., P.S.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 287/2010 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 07/07/2010, R.G.N. 497/08;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/01/2014 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Con citazione del 19.01.2004 S.G. – premesso di intrattenere con la BANCA s.p.a. un conto corrente di corrispondenza con possibilità di effettuare operazioni finanziarie mediante servizio di internet home banking – lamentava che C.G., promotore finanziario in Trieste di BANCA s.p.a. avesse eseguito in data 16.05.2002 due operazioni non autorizzate, addebitate sul suo conto corrente, in forza delle quali aveva bonificato, rispettivamente, gli importi di Euro 20.000,00 e di Euro 50.000,00 in favore del proprio cognato P. S., utilizzando i codici personali di accesso al servizio, che gli erano stati forniti da esso attore; e poichè l’assegno di Euro 70.000,00 consegnatogli dal P. era rimasto insoluto, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Trieste i predetti C.G. e P.S., nonchè la BANCA s.p.a. ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31, per sentirli condannare, in solido, al pagamento della somma di Euro 70.000,00, oltre accessori.
Resistevano sia la BANCA s.p.a., sia il P., mentre rimaneva contumace il C.. In particolare – per quanto rileva in questa sede – la BANCA s.p.a deduceva l’inapplicabilità dell’art. 31 cit., non vertendosi nell’ipotesi di “offerta fuori sede” contemplata dalla norma e neppure nel caso previsto dall’art. 2049 cod. civ.; escludeva, altresì, il nesso di occasionalità necessaria per imputare alla Banca l’attività del promotore e deduceva, in ogni caso, il concorso di colpa dello S., chiedendo, comunque, di essere manlevato dal C..
Con sentenza in data 21.07.2008, n. 875, il Tribunale di Trieste, in esito alla prova orale e documentale, condannava in via solidale i convenuti al pagamento di Euro 70.000,00, oltre rivalutazione, interessi e spese di lite, con la condanna del C. alla rifusione integrale di quanto la Banca avrebbe dovuto pagare all’attore.
La decisione, gravata da impugnazione da parte di BANCA s.p.a., era riformata dalla Corte di appello di Trieste, la quale con sentenza in data 07.07.2010, n.287 – in accoglimento del primo motivo di appello, assorbiti gli altri – rigettava la domanda di S. G. nei confronti della Banca, con compensazione integrale delle spese dei due gradi tra le medesime parti.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione S. G., svolgendo due motivi.
Ha resistito la Banca , depositando controricorso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte degli altri intimati C. e P..
Motivi della decisione
1. La Corte territoriale – accogliendo il primo motivo di gravame con cui si deduceva l’inapplicabilità al caso di specie del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31 – ha evidenziato che la comunicazione dei codici di accesso al conto corrente da parte del suo titolare al promotore finanziario era avvenuta al di là e al di fuori di uno specifico rapporto di investimento finanziario. In particolare, tanto poteva evincersi dalla lettura delle note della medesima parte appellata, da cui risultava che la consegna dei codici era avvenuta diversi mesi prima dei fatti di causa, senza che, a corredo di ciò, venisse allegata l’esecuzione di qualsivoglia operazione d’investimento, la quale, peraltro, come sostenuto anche nell’ambito dell’atto introduttivo del giudizio, avrebbe dovuto essere in ogni caso oggetto di specifica autorizzazione da parte del cliente.
In definitiva, secondo la Corte di appello, non vi era alcun investimento da compiere, essendosi l’appellato limitato, tempo prima, a fornire al suo amico promotore, contro ogni elementare regola di prudenza e di contratto, il codice di operatività del proprio conto corrente; inoltre l’operazione compiuta non era consistita in altro che in un prelievo indebito di cospicua somma da un conto corrente, al di fuori di qualsiasi ipotesi di investimento finanziario, ipotesi non determinata, non preventivata e non autorizzata.
1.1. Con il PRIMO MOTIVO di ricorso si denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per avere la Corte di appello risolto negativamente il punto controverso dell’esistenza di un rapporto di occasionalità necessaria tra l’attività del promotore finanziario e la commissione del fatto illecito con motivazione solo apparente. Al riguardo parte ricorrente deduce che il Tribunale, sulla base dei documenti in atti e delle dichiarazioni confessorie del C., aveva ritenuto sussistente la prova di un continuativo rapporto di promozione finanziaria tra il C. stesso e lo S. e della provenienza del danaro illecitamente sottratto da un’operazione di disinvestimento di un prodotto finanziario, operato dallo stesso promotore nell’interesse dell’investitore; in particolare osserva che la sottrazione dei fondi da parte del promotore non poteva essere qualificata alla stregua di una mera operazione bancaria non autorizzata, costituendo invece una distrazione della provvista che il cliente aveva ritenuto, mediante la consegna dei codici personali, di rendere, previa autorizzazione, facilmente accessibile al promotore al solo fine di velocizzare l’operatività negli investimenti; lamenta, quindi, che la Corte di appello abbia escluso l’esistenza di un collegamento causale con l’attività del promotore, senza confutare specificamente le diverse argomentazioni del Tribunale con una decisione “sorretta da due sole affermazioni apodittiche”.
1.2. Con il SECONDO MOTIVO di ricorso si denuncia violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 31 e dell’art. 1227 cod. civ. (art. 360 c.p.c., n. 3). Al riguardo parte ricorrente deduce che la responsabilità indiretta della Banca è stata esclusa sulla base del presupposto, “seppure non espresso”, che un’operazione di disinvestimento di prodotti finanziari non possa essere fatta rientrare tra quelle originatrici dell’applicazione dell’art. 31, comma 3 del T.U.F. e che, di conseguenza, l’attività di disinvestimento e successivo accreditamento delle somme frutto dell’operazione, in concreto poste in essere dal C., non potesse avere reso possibile o solo agevolato il comportamento produttivo del danno; osserva, inoltre, che la violazione da parte di un cliente delle norme di prudenza non può interrompere ex art. 1227 c.c., comma 2 il nesso di causalità necessaria tra l’attività del promotore e la consumazione dell’illecito e non rileverebbe neppure ai sensi del comma 1 della stessa norma come concausa del danno.
2. I due motivi di ricorso possono essere trattati unitariamente.
Invero le censure di vizio logico-motivazionale e di violazione di legge si incentrano sui medesimi argomenti: per un verso, si critica la decisione impugnata per non avere considerato o per avere implicitamente ritenuto inconferente, ai fini del positivo accertamento del nesso di occasionalità necessaria occorrente per postulare la responsabilità del preponente, l’esistenza di un preciso collegamento tra i contestati bonifici bancari e una precedente operazione di disinvestimento di prodotto finanziario; per altro verso, si lamenta una sopravvalutazione dell’imprudente comportamento dello S., per avere fornito egli stesso al promotore i codici utilizzati per i contestati bonifici, atteso che siffatto comportamento non sarebbe, comunque, idoneo a interrompere il necessario nesso causale ai fini della responsabilità della Banca ex art. 31 T.U.F..
2.1. In punto di diritto si rammenta che la L. 2 gennaio 1991, n. 1, art. 5, comma 4 e il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 31, comma 3 via via succedutisi nel tempo, pongono a carico dell’intermediario la responsabilità solidale per gli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accertata in sede penale. Detta responsabilità, la quale presuppone, pur sempre, che il fatto illecito del promotore sia legato da un nesso di occasionalità necessaria all’esercizio delle incombenze a lui facenti capo (cfr. Cass. n. 20588 del 2004 e Cass. 10580 del 2002), trova la sua ragion d’essere, per un verso, nel fatto che l’agire del promotore è uno degli strumenti dei quali l’intermediario si avvale nell’organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi, secondo l’antica regola per cui ubi commoda et eius incommoda; per altro verso, e in termini più specifici, nell’esigenza di offrire una adeguata garanzia ai destinatari delle offerte fuori sede loro rivolte dall’intermediario per il tramite del promotore, giacchè appunto per le caratteristiche di questo genere di offerte la buona fede dei clienti può più facilmente esserne sorpresa e aggirata (confr.Cass. civ. 7 aprile 2006, n. 8229).
Preme evidenziare che la norma, sebbene non circoscriva la responsabilità del preponente alle negoziazioni che abbiano ad oggetto prodotti finanziari del medesimo (cfr. Cass. n. 1741 del 2011), postula un nesso tra fatto illecito del preposto ed esercizio delle mansioni a lui affidate, che la giurisprudenza di questa Corte inquadra nell’ampio significato del rapporto di “occasionalità necessaria”, ponendo la previsione normativa in una relazione di continuità con l’art. 2049 cod. civ. e, nel contempo, cogliendone la portata di più efficace strumento di tutela degli interessi degli investitori.
La norma esclude, nella sostanza, che il comportamento doloso del preposto interrompa il nesso causale fra l’esercizio delle incombenze ed il danno, ancorchè tale comportamento costituisca reato e rivesta, quindi, particolare gravità. Di conseguenza, perchè sussista la responsabilità del preponente, è necessario (e sufficiente) che le attività svolte dal preposto abbiano determinato semplicemente una situazione tale da rendere possibile o comunque avere agevolato il comportamento produttivo di danno, a nulla rilevando che tale comportamento abbia esorbitato il limite delle mansioni o incombenze affidate o addirittura abbia integrato un’ipotesi di reato. Anche in questi casi, dunque, occorre accertare se l’esistenza del rapporto di preposizione abbia istituito quel nesso di occasionalità necessaria fra l’esercizio delle incombenze e il verificarsi del danno, su cui si fonda la responsabilità indiretta della preponente intermediaria.
2.2. Ciò premesso in via principio, si osserva che la Corte di appello non si è affatto discostata dai principi sopra indicati, posto che ha fondato la statuizione di rigetto della pretesa risarcitoria sulla considerazione dell’assoluta estraneità della Banca al fatto del promotore e sullo specifico rilievo che il fatto illecito del promotore fosse stato reso possibile dalla (incauta) iniziativa dello stesso investitore di comunicare al promotore i codici di accesso al conto corrente, segnatamente evidenziando, a tal fine, sia il distacco temporale tra la consegna dei codici e le indebite operazioni di bonifico, sia il rapporto personale tra l’odierno ricorrente e il “suo amico promotore”, sia ancora (e soprattutto) come siffatta consegna dei codici fosse avvenuta al di là e al di fuori di uno specifico rapporto di investimento.
Si tratta di accertamenti in fatto, come tali riservati al giudice del merito, che resistono alla generica censura motivazionale espressa con il primo motivo di ricorso, atteso che la motivazione si rivela sufficiente (risultando completa la valutazione delle circostanze rilevanti), logica e non contraddittoria.
2.3. A confutazione delle argomentazioni svolte dalla Corte d’appello, parte ricorrente assume che, in realtà, dalla documentazione riversata in atti – e precisamente dai doc. n. 2 del fascicolo attoreo e dal doc. 4 del fascicolo Rasbank (cfr. pag. 4 del ricorso) – si desumerebbe che l’importo bonificato proveniva dal disinvestimento di un prodotto finanziario e, in particolare, da una polizza assicurativa riscattata per il tramite del C.; ricorda ancora l’impugnante che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’irregolarità dei mezzi di pagamento non è valutabile in termini di interruzione del nesso di occasionalità necessaria, ma tutt’al più, in concorso con altri elementi, ai fini della valutazione della colpa delle parti, ex art. 1227 cod. civ..
Nessuno dei suddetti argomenti coglie nel segno.
2.3.1. Innanzitutto – considerato che della specifica questione non vi è traccia nella sentenza impugnata e che, peraltro, la resistente oppone che l’operazione di disinvestimento indicata da parte ricorrente “non ha nulla a che vedere con l’operato del signor C. e con l’apertura del conto corrente bancario” (cfr. pag. 10 controricorso) – sarebbe stato onere del ricorrente, nel richiamare la produzione documentale effettuata nel giudizio di merito, di precisare di avere specificamente allegato nel corso del giudizio di merito i fatti (asseritamente) emergenti dal documento prodotto a sostegno della sua prospettazione. Questa Corte è, infatti costante nel ritenere che produrre un documento nel processo civile è attività che fa entrare nel processo il documento, ma compete alla parte – salvo il potere del giudice di desumere dal documento i fatti che rappresenta d’ufficio, se si tratta di fatti il cui potere di rilevazione non è riservato alla parte, come i fatti costitutivi della domanda o le eccezioni in senso stretto – allegare i fatti emergenti dal documento prodotto a sostegno della sua prospettazione.
A tacere del fatto che dei due documenti su cui si fonda la censura, l’uno (il doc. n. 2 del fascicolo attoreo) è verosimilmente richiamato per errore, dal momento che corrisponde alla fotocopia dell’assegno di Euro 70.000,00, emesso (per quanto afferma il ricorrente) in bianco per il rimborso dell’importo sottratto; mentre l’altro (doc. 4 del fascicolo Rasbank) è rappresentato dall’estratto del conto corrente, da cui risulta, sì, il bonifico di una somma riveniente da una polizza – vita, ma non certo la riferibilità del disinvestimento all’operato del C. e neppure l’inclusione della polizza – vita tra i prodotti finanziari acquistati per il tramite della Banca (e, per essa, del promotore).
2.3.2. Anche a prescindere da quanto sopra, si osserva che il problema è non già se la “provvista”, illecitamente distratta dal promotore provenisse da un’operazione di disinvestimento di un prodotto finanziario e se tale precedente operazione fosse stata posta in essere dal C., bensì se il comportamento illecito di quest’ultimo, rappresentato dalla successiva distrazione del medesimo importo, fosse in qualche modo collegabile con le mansioni o le incombenze allo stesso affidate dalla preponente, nel senso che queste avessero, quantomeno, agevolato tale comportamento. Ed è questo collegamento che la Corte territoriale ha escluso, con valutazioni in fatto qui insindacabili, segnatamente evidenziando come, nella fattispecie concreta, non fossero applicabili principi costantemente predicati da questa Corte in tema di responsabilità dell’intermediario finanziario per la violazione di regole di comportamento gravanti sul proprio promotore.
Contrariamente a quanto prospettato da parte ricorrente, qui non si tratta di scaricare dall’intermediario all’investitore le conseguenze della violazione di regole di comportamento gravanti sul promotore, non essendo neppure consentito di profilare la responsabilità solidale dell’intermediario in concorso con la colpa dell’investitore per l’incauto comportamento dallo stesso tenuto. E ciò perchè, per come risulta ricostruita la fattispecie concreta nella decisione impugnata – segnatamente laddove si evidenzia che la consegna dei codici personali di accesso al servizio home banking non era in alcun modo riconducibile al compimento di operazioni finanziarie e, nel contempo, si rimarca il rapporto personale di amicizia tra lo S. e il C. – il fatto illecito di quest’ultimo non è dipeso dalle mansioni allo stesso affidate dal preponente – intermediario e/o dallo sfruttamento, sia pure anomalo, del ruolo di promotore, risultando, in tal modo, esclusa in radice la sussistenza del c.d. nesso di occasionalità necessaria, in presenza del quale, soltanto, è possibile configurare la responsabilità indiretta della S.I.M., in solido con quella del promotore.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140 del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.800,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2014
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Autore, Titolo, in Ex Parte Creditoris - www.expartecreditoris.it - ISSN: 2385-1376, anno
Numero Protocolo Interno : 166/2014