ISSN 2385-1376
Testo massima
In materia di fondo patrimoniale, ai sensi del combinato disposto degli artt.169 e 170 cod. civ. e dei principi costituzionali in tema di famiglia, i beni costituiti nel fondo, non potendo essere distolti dalla loro destinazione ai bisogni familiari, non possono costituire oggetto di iscrizione di ipoteca ad opera di terzi, qualunque clausola sia stata inserita nell’atto di costituzione circa le modalità di disposizione degli stessi in difformità da quanto stabilito dal citato art. 169 cod. civ.; tuttavia, nel caso in cui i coniugi o uno di essi abbiano assunto obbligazioni nell’interesse della famiglia, qualora risultino inadempienti alle stesse, il creditore può procedere all’iscrizione d’ipoteca sui beni costituiti nel fondo, attesa la funzione di garanzia che essi assolvono per il creditore, in quanto correlati al soddisfacimento delle esigenze familiari. (Rigetta, App. Milano, 30/08/2006).
La sentenza in esame affronta il seguente quesito:
“se sia legittimo o meno che il terzo creditore possa iscrivere ipoteca giudiziale sui beni costituiti in fondo patrimoniale in presenza di una clausola, contenuta nell’atto costitutivo del fondo stesso, volta a stabilire che i beni costituenti il fondo patrimoniale potranno essere alienati, ipotecati, dati in pegno o comunque vincolati con il consenso di entrambi i coniugi senza necessità di autorizzazione giudiziale“.
La Corte, partendo dall’interpretazione del combinato disposto degli artt. 169 e 170 cc, arriva alla conclusione, conforme alla funzione del fondo patrimoniale ed ai principi costituzionali in tema di famiglia, secondo cui i terzi non possono iscrivere ipoteca sui beni costituiti in fondo patrimoniale, qualunque clausola abbiano inserito i costitutori del fondo circa le modalità di disposizione degli stessi che sia difforme da quanto stabilito dall’art. 169 c.c., proprio perchè i beni non possono essere distolti dal loro asservimento ai bisogni familiari; quando, però, i coniugi o uno di essi abbiano assunto obbligazioni nell’interesse della famiglia, in questo caso, qualora risultino inadempienti alle stesse, il creditore può procedere ad esecuzione sui beni e inscrivere ipoteca in base a titolo esecutivo proprio perchè le obbligazioni erano state contratte per le esigenze familiari ed in detta ipotesi la funzione di garanzia per il creditore che i beni del fondo vengono ad assumere a seguito della iscrizione dell’ipoteca (preordinata all’esecuzione) risulta sempre correlata al soddisfacimento (già avvenuto) delle esigenze familiari.
Testo del provvedimento
Con atto di citazione notificato il 26 luglio 2002, i coniugi OMISSIS convenivano avanti il Tribunale di Milano la OMISSIS chiedendo dichiararsi l’inefficacia e comunque l’illegittimità dell’ipoteca giudiziale iscritta il 19 marzo 2002 per l’importo di Euro 270.000,00 da detto ente creditizio, in forza di decreto ingiuntivo conseguito nei confronti del B., su di un immobile di proprietà del medesimo sito in (OMISSIS), e che era stato costituito in fondo patrimoniale giusta atto pubblico trascritto l’11 marzo 1996.
Costituitosi il contraddittorio, la Banca convenuta instava per il rigetto della domanda, e, in via riconvenzionale, chiedeva dichiararsi l’inefficacia del fondo patrimoniale limitatamente ai beni di proprietà del debitore B..
Il 22 aprile 2004, intervenivano in causa la OMISSIS ,nell’asserita qualità di cessionaria di un ramo d’azienda dell’originaria convenuta,e, quale successore universale di quest’ultima, la società OMISSIS, la quale chiedeva in pari tempo di essere estromessa dal giudizio; richiesta alla quale gli attori non consentivano.
Rimessa la causa in decisione, il Tribunale con sentenza del 14 febbraio 2005, ritenendo nella specie trattarsi di beni in regime di commerciabilità e che dal combinato disposto degli artt. 2810 e 2828 c.c., emergesse l’insussistenza di limiti all’iscrizione del vincolo ipotecario conducibili all’art. 170 c.c., respingeva le domande degli attori, che condannava al pagamento delle spese processuali, e rigettava nel contempo ogni altra domanda delle parti.
Avverso la sentenza proponevano appello OMISSIS con atto di citazione notificato il 19 aprile 2005, rinnovando le proprie domande. Si costituivano nel grado la OMISSIS e la OMISSIS che proponevano appello incidentale La Corte d’appello di Milano,in accoglimento dell’appello principale e in riforma della impugnata sentenza, dichiarava la nullità della iscrizione ipotecaria e dichiarava inammissibile l’appello incidentale della OMISSIS. Avverso detta sentenza hanno proposto separati ricorsi la OMISSIS e la OMISSIS (recanti rispettivamente i numeri r.g. 34967/06 e 34968/06) affidati entrambi ad un unico articolato motivo cui resistono con controricorso illustrato con memoria la OMISSIS.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico articolato motivo entrambi i ricorsi censurano la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione dell’art. 169 c.c., laddove ha escluso che il terzo creditore potesse iscrivere ipoteca giudiziale su beni costituiti in fondo patrimoniale anche se l’atto di costituzione prevedeva una clausola secondo cui i beni in questione potevano essere alienati, dati in pegno o ipotecati con il consenso di entrambi i coniugi senza necessità dell’autorizzazione del tribunale.
I ricorsi vanno preliminarmente riuniti e vanno anzitutto i esaminate le eccezioni di inammissibilità degli stessi sollevate dai controricorrenti.
Si rivela fondata l’eccezione di carenza di legittimazione attiva della OMISSIS.
Risulta dalla narrativa delle vicende processuali contenuta nella sentenza impugnata che la OMISSIS ed il OMISSIS convennero in giudizio innanzi al tribunale di Milano la OMISSIS ma che nel corso del giudizio di primo grado si costituirono la OMISSIS, quale cessionaria di un ramo d’azienda della originaria convenuta, e la OMISSIS, quale successore universale sempre della originaria convenuta.
Furono sempre le due banche intervenute in giudizio che si costituirono nella fase di appello per resistere al gravame della OMISSIS e del OMISSIS e la sentenza di secondo grado fu pronunciata nel loro confronti.
Detta sentenza è stata impugnata per cassazione (ric. 34967/06) non già dalla OMISSIS, ma dalla OMISSIS, sull’assunto di essere successore della OMISSIS originaria convenuta. I resistenti hanno eccepito che l’attuale ricorrente è società diversa rispetto a quella che è stata parte nel giudizio di secondo grado, essendo la prima una società per azioni e la seconda una società a responsabilità limitata.
A fronte di tale eccezione, nulla è stato dedotto dalla Banca ricorrente per allegare e documentare che trattasi del medesimo soggetto.
Da ciò consegue l’inammissibilità del ricorso alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto che la società che propone ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello emessa nei confronti di un’altra società, della quale affermi di essere successore (a titolo universale o particolare), è tenuta a fornire la prova documentale della propria legittimazione, nelle forme previste dall’art. 372 c.p.c., a meno che il resistente non l’abbia – nel controricorso, e non successivamente, nella memoria ex art. 378 c.p.c. – esplicitamente o implicitamente riconosciuta, astenendosi dal sollevare qualsiasi eccezione in proposito e difendendosi nel merito dell’impugnazione; circostanza quest’ultima che non ricorre nel caso di specie (Cass. 11650/06 sez un; Cass. 4468/09 sez un).
Tutte le ulteriori eccezioni di inammissibilità del ricorso della OMISSIS restano di conseguenza assorbite.
Accertato quanto sopra, la motivazione della presente sentenza si incentrerà esclusivamente sul ricorso 34968/06 proposto dalla OMISSIS.
In relazione al ricorso in questione va rilevata d’ufficio l’improcedibilità del controricorso.
Quest’ultimo, invero, risulta notificata sia alla OMISSIS che alla OMISSIS, ma risulta depositato solo nel fascicolo 34967/06 riguardante il ricorso della prima banca, e non anche nel fascicolo (OMISSIS) riguardante la seconda banca del cui ricorso ora ci si occupa.
Da ciò consegue l’improcedibilità del controricorso, avendo la giurisprudenza di questa Corte già affermato che la tardività (e a maggior ragione la mancanza) del deposito del controricorso nella cancelleria della Corte di Cassazione comporta l’improcedibilità del controricorso medesimo, ancorchè difetti un’espressa previsione da parte della norma che fissa l’indicato termine (art. 370 c.p.c., comma 3). Tale sanzione deriva, infatti, dal sistema, che impone alla parte che intende portare tempestivamente a conoscenza del giudice e del ricorrente le proprie ragioni, presentando memorie prima dell’udienza di discussione, di sottostare all’onere processuale che le è imposto. (Cass. 18091/05 v. anche Cass. 9396/06; Cass. 9897/07).
Ciò posto, il ricorso in esame risulta certamente ammissibile in relazione all’art. 366 bis c.p.c., poichè il quesito richiesto dal predetto articolo risulta formulato, anche se non in relazione a tutte le censure proposte. Da ciò consegue che il ricorso, in quanto tale è ammissibile, restando invece inammissibili – come si esaminerà in seguito – le singole censure in relazione alle quali il quesito in questione non risulta formulato.
Venendo dunque all’esame del motivo proposto, lo stesso si incentra, in ragione della formulazione contenuta nel quesito, sulla questione fondamentale ” se sia legittimo o meno che il terzo creditore possa iscrivere ipoteca giudiziale sui beni costituiti in fondo patrimoniale in presenza di una clausola, contenuta nell’atto costitutivo del fondo stesso ,volta a stabilire che i beni costituenti il fondo patrimoniale potranno essere alienati,ipotecati, dati in pegno o comunque vincolati con il consenso di entrambi i coniugi senza necessità di autorizzazione giudiziale“.
Va anzitutto rammentato che l’art. 169 c.c., dispone che: “se non è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente“.
L’articolo in questione prevede dunque che il costitutore o i costitutori del fondo patrimoniale possono riservarsi la possibilità di alienare, ipotecare o vincolare i beni costituiti in fondo patrimoniale discostandosi dai vincoli stabiliti in proposito dall’articolo stesso.
Tale facoltà è, tuttavia, riconosciuta soltanto in riferimento agli atti che possono compiere dal lato attivo i coniugi, senza che sia introdotta alcuna previsione circa gli atti che il fondo patrimoniale potrebbe subire dal lato passivo per effetto di iniziative di terzi, come avvenuto nel caso di specie in cui l’ipoteca non è stata concessa dai coniugi, ma è stata autonomamente iscritta dalla banca attuale ricorrente in ragione di una esposizione debitoria del B..
La ratio della norma è evidentemente quella di porre delle limitazioni alla libera commercializzazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale proprio per assicurare che gli stessi restino a garanzia del soddisfacimento delle esigenze familiari, senza peraltro f stabilire un vincolo di indisponibilità assoluta che potrebbe essere controproducente per gli interessi della famiglia ove questa si trovasse nella necessità di liquidare alcuni beni del fondo per le proprie esigenze ovvero, la liquidazione si rivelasse particolarmente proficua e vantaggiosa. Nel caso di specie, nell’atto di costituzione del fondo patrimoniale era stabilito nella clausola n. 3 che “i beni costituenti il fondo patrimoniale potranno essere alienati, ipotecati, dati in pegno o comunque vincolati con il solo consenso di entrambi i coniugi, senza necessità di autorizzazione giudiziale“.
Da tale clausola si evince solamente una parziale “liberalizzazione” rispetto ai requisiti prescritti dall’art. 169 c.c., per il legittimo compimento di atti di disposizione di immobili costituiti in fondo patrimoniale. Fermo restando infatti che per l’alienazione, costituzione di pegno, ipoteca etc., era comunque necessario l’assenso di entrambi i coniugi, la clausola non fa alcun riferimento alla necessità di autorizzazione giudiziale in presenza di minori (la cui presenza è stata accertata dalla Corte d’appello) nonchè alla evidente utilità per la famiglia dell’atto di disposizione.
Una conclusione è possibile trarre da queste prime constatazioni e, cioè, che stante il regime di eccezione parziale rispetto alle disposizioni dell’art. 169 c.c., stabilito dalla clausola in esame, non può affermarsi che i beni del fondo patrimoniale siano stati immessi in un regime di libera commerciabilità, perchè in ogni caso è rimasta operativa la previsione del consenso di entrambi i coniugi.
Comunque, anche in presenza di una clausola che prevedesse il venir meno di tutte le limitazioni per i coniugi agli atti dispositivi dei beni costituiti in fondo patrimoniale, ciò non vorrebbe comunque dire che i beni stessi si sarebbero trovati in un regime di libera commerciabilità.
L’eliminazione pattizia delle limitazioni di cui all’art. 169 c.c., varrebbe, infatti, solo per i coniugi ma non anche per i terzini quali non per questo si vedrebbero riconosciuto il diritto di imporre vincoli sui beni in questione.
Se così non fosse l’istituto stesso del fondo patrimoniale sarebbe totalmente snaturato e privato della sua funzione fondamentale di vincolare i beni al perseguimento degli interessi e bisogni familiari.
In particolare, una interpretazione costituzionalmente corretta dell’art. 169 c.c., che sia, in particolare, rispettosa del disposto dell’art. 31 Cost., comma 1, impone una lettura dello stesso, nel senso che qualora l’atto costitutivo si discosti per quanto concerne l’alienazione e la costituzione di vincoli sui beni del fondo da quanto previsto nell’articolo resta in ogni caso ferma, quanto meno, la disposizione contenuta nell’ultima frase dell’articolo stesso secondo cui gli atti in questione possono essere presi “nei soli casi di necessità od utilità evidente“. Detta frase, infatti,separata dalla precedente da un virgola disgiuntiva, si riferisce non alle modalità con cui gli atti di disposizione dei beni del fondo possono essere adottati anche in difformità da quanto disposto dall’art. 169 c.c., ma alla finalità intrinseca del fondo patrimoniale e degli atti stessi che devono in ogni caso essere assunti a vantaggio della famiglia; circostanza questa che continua a sussistere, in ogni caso, per i coniugi e che certamente non sussiste quando i beni in questione vengono aggrediti da terzi.
In tal senso appare destituito di fondamento l’assunto della banca ricorrente secondo cui, per effetto della clausola in questione, i beni erano caduti in regime di libera disponibilità per cui, non essendo più sottoposti a vincolo alcuno, gli stessi erano suscettibili di iscrizione ipotecaria da parte di terzi.
Ciò posto, per completezza di ragionamento, occorre prendere in considerazione quanto disposto dall’art. 170 c.c., che vieta l’esecuzione sui beni e sui frutti del fondo se non per debiti contratti per i bisogni della famiglia con esclusione di quelli che il creditore sapeva estranei a detti scopi.
Una interpretazione coordinata dell’art. 169 c.c., con l’art. 170 c.c., porta a ritenere che in virtù del primo di tali articoli;nessuna iscrizione ipotecaria è consentita ai terzi proprio perchè gli atti di disposizione dei beni del fondo possono essere assunti – come detto – solo a vantaggio della famiglia, mentre in forza, del secondo, una iscrizione ipotecaria sarebbe possibile solo in quanto prodromica ad una esecuzione sui beni in questione in virtù di un credito acquisito per soddisfare i bisogni della famiglia del debitore.
In tale seconda ipotesi deve invero ritenersi possibile l’iscrizione di ipoteca sui beni costituenti il fondo patrimoniale alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto che nel concetto di atti di esecuzione rientrano non soltanto gli atti del processo di esecuzione, ma tutti i possibili effetti dell’esecutività del titolo e, dunque, anche l’ipoteca iscritta sulla base dell’esecutività del titolo stesso, attesa la ratio della disposizione, tesa a mantenere integra la posizione e la protezione del creditore (Cass. 5007/97; 10945/91; 4170/89 v. anche Cass. sent. n. 10945/01, 10234/03, 6935/04, 24332/08).
In virtù della evidenziata interpretazione combinata dell’art. 169 c.c., con quella dell’art. 170 c.c., si arriva alla conclusione, conforme alla funzione del fondo patrimoniale ed ai principi costituzionali in tema di famiglia, secondo cui i terzi non possono iscrivere ipoteca sui beni costituiti in fondo patrimoniale, qualunque clausola abbiano inserito i costitutori del fondo circa le modalità di disposizione degli stessi che sia difforme da quanto stabilito dall’art. 169 c.c., proprio perchè i beni non possono essere distolti dal loro asservimento ai bisogni familiari; quando, però, i coniugi o uno di essi abbiano assunto obbligazioni nell’interesse della famiglia, in questo caso, qualora risultino inadempienti alle stesse, il creditore può procedere ad esecuzione sui beni e inscrivere ipoteca in base a titolo esecutivo proprio perchè le obbligazioni erano state contratte per le esigenze familiari ed in detta ipotesi la funzione di garanzia per il creditore che i beni del fondo vengono ad assumere a seguito della iscrizione dell’ipoteca (preordinata all’esecuzione) risulta sempre correlata al soddisfacimento (già avvenuto) delle esigenze familiari.
Così completata l’argomentazione, rileva la Corte, come già in precedenza evidenziato, che, nel caso di specie, delle varie censure proposte dalla banca ricorrente risulta munita di adeguato quesito solo quella relativa all’art. 169 c.c., riguardante la possibilità per un terzo di iscrivere ipoteca giudiziale sui beni costituiti in fondo patrimoniale in presenza di espressa clausola che consentiva l’alienazione, l’iscrizione di ipoteca etc. cui beni con il solo consenso dei coniugi senza necessità di autorizzazione giudiziale.
Tutte le altre censure, in particolare quella relativa al fatto che in relazione all’art. 170 c.c., le obbligazioni contratte dal B. erano comunque finalizzate al perseguimento di esigenze familiari, sono quindi inammissibili in quanto sprovviste di quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..
Il ricorso n.34968/06 va in conclusione respinto.
Le spese vanno liquidate come da dispositivo.
Nulla per le spese del ricorso n. 34968/2006 stante l’improcedibilità del controricorso.
P. Q. M.
Riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso n. 34967/06 e rigetta l’altro; condanna le Banche popolari Unite – BPU Banca al pagamento delle spese di giudizio in favore dei resistenti. liquidate in Euro 7.600,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali ed accessori di legge
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