Provvedimento segnalato dal dott. Donato Giovenzana, Legale d’impresa
La previsione contenuta nell’art. 325, comma 1, c.p.p., secondo cui contro le ordinanze emesse a seguito di riesame ovvero di appello avverso i provvedimenti cautelari reali è ammesso il ricorso per cassazione per il solo vizio di violazione di legge, deve essere intesa nel senso che in tale nozione si devono comprendere, oltre agli errores in iudicando ed a quelli in procedendo, anche quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento impugnato del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, III sez. pen., Pres. Aceto – Rel. Gentile, con la sentenza n. 13660 del 6 maggio 2020.
La Suprema Corte, in relazione ai crediti derivanti da “fondi pensioni” ad accumulo, pur riconoscendo che si tratta di strumenti finanziari aventi una finalità riconducibile al genus previdenziale, rileva
da una parte che le somme necessarie per la loro alimentazione non sono immediatamente ricollegabili alla nozione di corrispettivo di rapporto lavorativo oggetto di accantonamento (neppure nel caso in cui essi siano stati versati, almeno in parte, dallo stesso datore di lavoro per conto dei propri dipendenti, cfr.: Corte di cassazione, Sezioni unite civili, 9 marzo 2015, n. 4684), non foss’altro perché esse possono legittimamente essere versate dal soggetto interessato al conseguimento di una indennità al compimento della età pensionabile, sebbene le relative provviste non siano rivenienti dallo svolgimento di un’attività lavorativa, tanto meno subordinata;
da altra parte che, proprio la qualificazione attribuita ad essi di strumenti per la previdenza complementare, induce ad escludere che, pur ritenuta la piena meritevolezza dell’interesse che sottende alla stipula di accordi di tale genere fra privato ed assicuratore (meritevolezza, peraltro, indubbiamente attestata dalla specifica tipicità attribuita per via legislativa a tali forme contrattuali di previdenza ed a taluni privilegi ad esse connessi), essi vadano a integrare, arricchendolo e non costituendolo, quel nucleo essenziale di prestazioni che è soggetto a espressa garanzia di intangibilità sia sotto il profilo civile che sotto quello penale.
In tale verso si è, d’altra parte, già da tempo orientata la giurisprudenza di legittimità, avendo essa rilevato sia – con riferimento a fattispecie ablative caratterizzate da una qualche peculiarità di regime anche sotto il profilo penalistico – che le condizioni necessarie e sufficienti per disporre il sequestro preventivo di beni confiscabili a norma del D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies, commi 1 e 2, convertito con modificazioni nella L. n. 356 del 1992 (ora confluito nell’art. 240-bis c.p.), consistono, quanto al fumus commissi delicti, nell’astratta configurabilità di una delle ipotesi criminose ivi previste, senza che rilevino nè la sussistenza degli indizi di colpevolezza, nè la loro gravità, e, quanto al periculum in mora, nella presenza di seri indizi d’esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della loro lecita provenienza, essendo stato precisato nell’occasione che il sequestro poteva avere ad oggetto le somme versate su di una polizza assicurativa sulla vita (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 7 luglio 2008, n. 27710), sia – con riferimento ad ipotesi, invece, ordinarie – che il sequestro preventivo può avere ad oggetto una polizza assicurativa sulla vita, dal momento che il divieto di sottoposizione ad azione esecutiva e cautelare stabilito dall’art. 1923 c.c., attiene esclusivamente alla definizione della garanzia patrimoniale a fronte della responsabilità civile e non riguarda la disciplina della responsabilità penale, nel cui esclusivo ambito ricade il sequestro preventivo (Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 marzo 2017, n. 11945; idem Sezione VI penale, 4 aprile 2012, n. 12838; idem Sezione II penale, 2 maggio 2007, n. 16658).
Ritenuto, pertanto che – vuoi con riferimento alla primigenia fase di accumulo della provvista monetaria vuoi con riferimento alla successiva fase di erogazione della periodica prestazione pecuniaria – gli strumenti finanziari riconducibili alla categoria dei “fondi pensione” costituiscano una categoria assimilabile alle assicurazioni sulla vita, deve concludersi che le somme di danaro in essi confluite sono soggette alla ordinaria disciplina penalistica in materia di sequestro preventivo dei crediti finalizzato alla successiva confisca.
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