In mancanza di una espressa disposizione legislativa, non può ritenersi che la ratio dell’art. 72, comma 8 legge fall., imponga al giudice delegato l’adozione dell’ordine di cancellazione. Appare maggiormente condivisibile, pertanto, l’orientamento della giurisprudenza di merito secondo la quale il potere di cancellazione delle ipoteche può essere esercitato soltanto quando il trasferimento immobiliare sia stato disposto con le modalità di cui all’art. 107 l.f. e cioè, anche mediante contratto di diritto privato, ma all’esito di procedura competitiva, previa stima ed adeguata pubblicità anche nel portale delle vendite pubbliche, rispondendo la purgazione dalle ipoteche prevista dall’art. 108 l.f. alla ratio di liquidare l’immobile e trasferirlo all’acquirente libero da pesi e vincoli proprio per effetto del concorso e della natura coattiva del procedimento di vendita.
In ragione dell’obbligatorietà del subentro del curatore nel contratto preliminare – ai sensi dell’art. 72, comma 8, l.f.- il Tribunale ne faceva derivare l’applicabilità tout court dell’art. 108, comma 2, l.f. e così non solo l’impignorabilità dell’immobile, ma anche il potere (rectius dovere) in capo al Giudice delegato di ordinare la cancellazione della ipoteca, sebbene iscritta anteriormente alla trascrizione del preliminare di compravendita.
In verità, l’applicazione di una norma non comporta necessariamente l’applicazione dell’altra.
L’art. 72, comma 8, Legge Fallimentare, è, infatti, una norma di diritto sostanziale che pone un vincolo alla libertà negoziale del curatore, non lasciandogli la scelta tra la conclusione del definitivo e lo scioglimento del contratto nel caso di preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645 bis c.c. avente ad oggetto, come nella specie, un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente, ma non regola il conflitto tra la trascrizione del preliminare e l’iscrizione di ipoteca da parte del creditore del promittente venditore, nelle more fallito, avvenuto in epoca antecedente, per la cui risoluzione deve aversi riguardo alle regole generali in materia di pubblicità degli atti, con conseguente prevalenza dell’ipoteca iscritta anteriormente, come chiarito dalla Suprema Corte per l’ipotesi di mancato subentro del curatore”.
La sentenza della Suprema Corte (Sez. 1, n. 3310 dell’8/02/2017), richiamata nella sentenza appellata, nel ritenere applicabile la norma anche ai casi di vendita «attuata nelle forme contrattuali e non tramite esecuzione coattiva, … con la conseguente cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione ad opera del giudice delegato», presuppone comunque la salvaguardia dei diritti del creditore privilegiato, e la sua ammissione al concorso «con rango privilegiato, sull’intero prezzo pagato, ivi compreso l’acconto eventualmente versato al venditore ancora in bonis (e quindi, con perfetta equivalenza, sotto questo profilo, ad una vendita nelle forme dell’esecuzione forzata)»”.
L’applicazione di tale principio nel caso di specie determinerebbe un’ingiustificata lesione degli interessi del creditore ipotecario (oltre a far emergere una disparità di trattamento tra la posizione del creditore del promittente venditore dichiarato fallito e, in generale, i creditori di un promittente venditore in bonis), il quale, in violazione del diritto di sequela, si vedrebbe costretto a concorrere solo sulla frazione del prezzo-valore dell’immobile pagata dal promissario al curatore (tenuto conto dell’irrecuperabilità dell’acconto già pagato dal promissario al fallito quando era in bonis)”.
Questi i principi espressi dalla Corte di Appello di Venezia, Pres. Santoro – Rel. Vono, con la sentenza n. 2778 del 3 novembre 2021.
1. Il caso oggetto della sentenza in commento.
In data 23.7.2010 la Banca GAMMA concedeva un finanziamento ipotecario-fondiario alla società ALFA. Il mutuo veniva garantito da ipoteca volontaria, iscritta in data 2.8.2010, su alcuni beni immobili di proprietà di parte mutuataria.
Successivamente, in data 9.4.2013, la società ALFA stipulava con i signori BETA un contratto preliminare di compravendita di un’abitazione da adibire a prima casa.
Atteso che l’immobile oggetto del preliminare di compravendita risultava ipotecato, a garanzia del finanziamento concesso nel luglio 2010 dalla Banca GAMMA, la promittente venditrice si impegnava a liberare, a proprie spese, l’immobile dalle ipoteche iscritte.
Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645 bis c.c. il contratto preliminare veniva trascritto in data 11.4.2013.
I promissari acquirenti provvedevano a versare rilevanti acconti per un importo complessivo pari a quasi 2/3 del prezzo convenuto per la compravendita.
Sennonché, in ragione della mancata stipula del contratto definitivo entro i termini pattuiti, i signori BETA convenivano in giudizio, con azione ex art. 2932 c.c., la società ALFA. La domanda giudiziale veniva trascritta in data 22.5.2014.
Nelle more del giudizio ex art. 2932 c.c. e più precisamente in data 13.1.2015 veniva dichiarato il fallimento della società ALFA. In ragione della mancata riassunzione dopo l’interruzione del processo per l’intervenuto fallimento della società convenuta, il procedimento ex art. 2932 c.c. veniva dichiarato estinto.
Da ultimo, in forza della natura fondiaria del mutuo concesso alla società ALFA, la Banca creditrice procedeva con pignoramento immobiliare, trascritto in data 22.1.2016.
2. Il primo grado di giudizio. L’opposizione contro l’esecuzione incardinata dalla Banca ai sensi dell’art. 41 TUB.
Con ricorso ex art. 615, comma 2, c.p.c. il Fallimento della società ALFA proponeva opposizione all’esecuzione promossa dalla Banca GAMMA in forza del contratto di mutuo fondiario stipulato il 23.7.2010, lamentando l’inesistenza del diritto della Banca di agire in executivis sugli immobili pignorati, in quanto gli stessi risultavano essere stati oggetto di un preliminare di compravendita, trascritto successivamente all’iscrizione dell’ipoteca volontaria concessa in occasione della stipula del mutuo fondiario, ma prima della trascrizione del pignoramento da parte della Banca mutuante.
Il Tribunale di Verona accoglieva l’opposizione proposta dal Fallimento e osservava che il contratto preliminare, avente ad oggetto un immobile da adibire a prima casa, presentava i requisiti di cui all’art. 72, comma 8, l.f. e risultava essere ancora pendente alla data di dichiarazione del fallimento, tanto che il giudizio ex art. 2932 c.c., incardinato contro la società ancora in bonis, veniva dichiarato estinto per mancata riassunzione dopo il fallimento della promittente venditrice.
In tal senso, precisava il Tribunale di primo grado, il curatore – il quale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 72, comma 8, l.f., non avrebbe nemmeno potuto sciogliersi dal vincolo contrattuale oggetto di trascrizione ex art. 2645 bis c.c. – sarebbe subentrato agli obblighi contrattuali assunti dal promittente venditore, tra cui quello di vendere il bene libero da ipoteche.
In sintesi, il Tribunale di prime cure accoglieva la domanda proposta dalla curatela, ritenendo che il contratto preliminare (dotato dei requisiti di cui all’art. 72, comma 8, l.f.) prevalesse sull’ipoteca iscritta anteriormente, di talché il creditore fondiario non avrebbe avuto il diritto di procedere esecutivamente sui beni oggetto del preliminare di compravendita stipulato dai promissari acquirenti con la promittente alienante ancora in bonis e ciò in ragione del fatto che l’ipoteca sarebbe stata destinata ad essere cancellata in esecuzione del potere di purgazione attribuito al Giudice delegato dall’art. 108, comma 2, l.f..
3. Il giudizio di appello. La sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 2778 del 14.9.2021.
La Banca GAMMA promuoveva appello avverso la sentenza di primo grado, lamentando, tra l’altro, “l’errata interpretazione da parte del primo Giudice dell’orientamento della Suprema Corte in merito all’applicazione dell’art. 108 L.F nei casi di vendita nelle forme previste dall’art. 72, comma 8, L.F.”, in quanto l’art. 108 l.f. “potrebbe trovare applicazione solo in caso di riscossione integrale del prezzo, pertanto il Giudice Delegato, prima di ordinare la cancellazione dell’ipoteca, dovrebbe previamente verificare che il Fallimento, concluso il contratto definitivo, abbia riscosso l’intero prezzo di vendita. Solo così argomentando potrebbe realizzarsi l’equivalenza tra gli effetti della vendita forzata e gli effetti della vendita ex art. 72, co. 8 L.F, sulla quale la Corte di Cassazione base l’applicabilità, in entrambe le fattispecie, dell’art. 108, co. 2 L.F.”
L’appellante sosteneva, altresì, che “le garanzie previste dalla legge per il promissario acquirente di beni immobili destinati a casa di abitazione non possono comportare l’ingiusta compressione dei diritti del creditore ipotecario del promittente venditore” invocando “il principio sancito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 21045 del 2009, con la quale è stato chiarito che il privilegio ex art. 2775-bis c.c. (che spetta al promissario acquirente, ex art. 72 comma 7 L.F.) non prevale sull’ipoteca iscritta in epoca antecedente dalla Banca a garanzia del finanziamento concesso al costruttore-venditore”.
Con sentenza n. 2778 del 14.9.2021 pubblicata in data 3.11.2021, la Corte d’Appello di Venezia ha accolto l’appello proposto dalla Banca GAMMA, affermando che “in mancanza di una espressa disposizione legislativa, non può ritenersi che la ratio dell’art. 72, comma 8 legge fall., imponga al giudice delegato l’adozione dell’ordine di cancellazione (in tal senso Tribunale di Milano, Sezione II. Civ., decreto del 21.09.2017 in Guida al diritto, 13.3.2018, Tribunale di Lecce, Sezione commerciale, decreto del 4.12.2019…). Appare maggiormente condivisibile, pertanto, l’orientamento della giurisprudenza di merito secondo la quale il potere di cancellazione delle ipoteche può essere esercitato soltanto quando il trasferimento immobiliare sia stato disposto con le modalità di cui all’art. 107 l.f. e cioè, anche mediante contratto di diritto privato, ma all’esito di procedura competitiva, previa stima ed adeguata pubblicità anche nel portale delle vendite pubbliche, rispondendo la purgazione dalle ipoteche prevista dall’art. 108 l.f. alla ratio di liquidare l’immobile e trasferirlo all’acquirente libero da pesi e vincoli proprio per effetto del concorso e della natura coattiva del procedimento di vendita” (Appello Venezia, n. 2778 del 3.11.2021).
4. Sui rapporti tra obbligatorietà del subentro del curatore nel contratto preliminare di compravendita immobiliare prevista dall’art. 72, comma 8, l.f. e potere purgativo delle ipoteche attribuito al Giudice delegato dall’art. 108, comma 2, l.f.
L’art. 72, comma 8, l.f. prevede che “le disposizioni di cui al primo comma non si applicano al contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645 bis del codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente”.
Sul punto, si osserva come detta norma non richieda per la sua applicazione che gli effetti del contratto preliminare debbano essere ancora sussistenti al momento della dichiarazione di fallimento, in quanto l’art. 72, comma 8, l.f. non valorizza in alcun modo detto requisito, di talché si deve ritenere che l’obbligo del subentro del curatore nel preliminare non sia subordinato al rispetto dei termini di efficacia della trascrizione sanciti dall’art. 2645 bis, comma 3, c.c.
Com’è noto, infatti, l’art. 2645 bis c.c. stabilisce che “gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si considerano come mai prodotti se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all’art. 2932, primo comma, numero 2)”.
In tal senso, sebbene la domanda giudiziale ex art. 2932 c.c., trascritta dai promissari acquirenti nel rispetto del termine di cui all’art. 2645 bis c.c., non sia stata coltivata dopo la dichiarazione di fallimento della convenuta ALFA, la Corte d’Appello di Venezia ha ritenuto che l’estinzione del procedimento non abbia inciso sull’obbligo del curatore di subentrare nel preliminare.
In particolare, la Corte lagunare ha affermato che “nel caso di specie nel termine prescritto (ndr dall’art. 2645 bis c.c.) non è stato concluso il contratto definitivo, ma i promissari acquirenti hanno trascritto la domanda giudiziale ex art. 2932 c.c., anche se il relativo procedimento si è estinto per mancata riassunzione dopo il fallimento della promittente venditrice. Poiché la norma richiede che nel termine previsto debba intervenire la sola trascrizione della domanda, senza alcun riferimento alla successiva sentenza di trasferimento ex art. 2932 c.c., non può ritenersi intervenuta la decadenza degli effetti del preliminare, anche se non può trovare applicazione l’art. 2652, I comma, n. 2 c.c., nella parte in cui prevede gli effetti della trascrizione della sentenza che accoglie la domanda”.
Orbene, in ragione dell’obbligatorietà del subentro del curatore nel contratto preliminare (ai sensi dell’art. 72, comma 8, l.f.) il Tribunale di Verona ne faceva derivare l’applicabilità tout court dell’art. 108, comma 2, l.f. e così non solo l’impignorabilità dell’immobile, ma anche il potere (rectius dovere) in capo al Giudice delegato di ordinare la cancellazione della ipoteca, sebbene iscritta anteriormente alla trascrizione del preliminare di compravendita.
La Corte d’Appello non ha condiviso la tesi fatta propria dal Tribunale di primo grado, osservando che “l’interpretazione delle due norme, che regolamentano fattispecie diverse, non consenta tale conclusione, e che l’applicazione dell’una non comporti necessariamente l’applicazione dell’altra. L’art. 72, comma 8, Legge Fallimentare, è, infatti, una norma di diritto sostanziale che pone un vincolo alla libertà negoziale del curatore, non lasciandogli la scelta tra la conclusione del definitivo e lo scioglimento del contratto nel caso di preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’art. 2645 bis c.c. avente ad oggetto, come nella specie, un immobile ad uso abitativo destinato a costituire l’abitazione principale dell’acquirente, ma non regola il conflitto tra la trascrizione del preliminare e l’iscrizione di ipoteca da parte del creditore del promittente venditore, nelle more fallito, avvenuto in epoca antecedente, per la cui risoluzione deve aversi riguardo alle regole generali in materia di pubblicità degli atti, con conseguente prevalenza dell’ipoteca iscritta anteriormente, come chiarito dalla Suprema Corte per l’ipotesi di mancato subentro del curatore”.
Nel contestare l’iter argomentativo della pronuncia di primo grado, la Corte d’appello ha rilevato che “la sentenza della Suprema Corte (Sez. 1, n. 3310 dell’8/02/2017), richiamata nella sentenza appellata, nel ritenere applicabile la norma anche ai casi di vendita «attuata nelle forme contrattuali e non tramite esecuzione coattiva, … con la conseguente cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione ad opera del giudice delegato», presuppone comunque la salvaguardia dei diritti del creditore privilegiato, e la sua ammissione al concorso «con rango privilegiato, sull’intero prezzo pagato, ivi compreso l’acconto eventualmente versato al venditore ancora in bonis (e quindi, con perfetta equivalenza, sotto questo profilo, ad una vendita nelle forme dell’esecuzione forzata)»”.
Sulla scorta di tale assunto, quindi, la Corte veneziana ha rilevato che “l’applicazione di tale principio nel caso di specie determinerebbe un’ingiustificata lesione degli interessi del creditore ipotecario (oltre a far emergere una disparità di trattamento tra la posizione del creditore del promittente venditore dichiarato fallito e, in generale, i creditori di un promittente venditore in bonis), il quale, in violazione del diritto di sequela, si vedrebbe costretto a concorrere solo sulla frazione del prezzo-valore dell’immobile pagata dal promissario al curatore (tenuto conto dell’irrecuperabilità dell’acconto già pagato dal promissario al fallito quando era in bonis)”.
La pronuncia della Corte lagunare offre lo spunto per approfondire il tema del potere purgativo delle ipoteche attribuito al Giudice delegato dall’art. 108, comma 2, l.f., allorché il curatore subentri in un contratto preliminare di compravendita, il quale preveda l’obbligo in capo al promittente venditore di cancellare le ipoteche iscritte sull’immobile in epoca antecedente alla stipula del preliminare stesso.
Sul tema, si osserva come allo stato si contino due opposti orientamenti, in giurisprudenza e dottrina, in merito all’applicabilità dell’art. 108, comma 2, l.f. alle vendite effettuate dal curatore del fallimento del promittente venditore in esecuzione di un preliminare di compravendita.
Un primo e più risalente orientamento non ritiene possibile estendere l’effetto purgativo di cui all’art. 108, comma 2, l.f. al di fuori di vendite costituenti “atti di liquidazione” o “in esecuzione del programma di liquidazione”, pena l’elusione del principio della par conditio creditorum (così Tribunale di Milano, decreto del 21.9.2017; Tribunale di Lecce, decreto del 4.12.2019).
Un secondo ed opposto orientamento, inaugurato dal decreto 20.11.2014 Tribunale di Verona (confermato in Cassazione dalla sentenza n. 3310 dell’8.2.2017), sostiene che “vertendosi in tema di vendita fallimentare – non importa se attuata in forma contrattuale, e non tramite esecuzione coattiva – trova applicazione l’art. 108, comma 2, L. Fall.: con la conseguente cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione ed ammissione del creditore ipotecario al concorso, con rango privilegiato sull’intero prezzo pagato, incluso l’acconto versato al venditore in bonis (e quindi, con perfetta equivalenza, sotto questo profilo, ad una vendita nelle forme dell’esecuzione forzata)” (Cass. n. 3310 dell’8.2.2017).
5. Un’analisi comparata tra art. 108 l.f. e art. 173 CCII.
Ebbene, non può non osservarsi come tale ultimo orientamento (recentemente valorizzato da numerose pronunce di merito, tra cui si ricordano Appello Bari, n. 1019 del 3.6.2022; Tribunale Massa, n. 758 del 27.11.2021; Appello Ancona, n. 9 dell’11.1.2021; Tribunale Cagliari, 2.1.2020) presenti un profilo di continuità rispetto alla nuova disciplina in tema di effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti giuridici pendenti ed in particolare rispetto all’art. 173 CCII.
Sul punto, infatti, il nuovo art. 173, comma 4, CCII stabilisce che:
“Nei casi di subentro del curatore nel contratto preliminare di vendita, l’immobile è trasferito e consegnato al promissario acquirente nello stato in cui si trova. Gli acconti corrisposti prima dell’apertura della liquidazione giudiziale sono opponibili alla massa in misura pari alla metà dell’importo che il promissario acquirente dimostra di aver versato. Il giudice delegato, una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, ordina con decreto la cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo”.
In tal senso, la nuova disciplina attribuisce al Giudice delegato il potere di procedere alla purgazione delle ipoteche anche in presenza di una “vendita fallimentare” intervenuta al di fuori di esecuzione coattiva, salvo prevedere – a tutela del creditore ipotecario con titolo iscritto in epoca antecedente rispetto alla trascrizione della domanda giudiziale – il dovere del promissario acquirente di versare alla procedura un importo pari alla metà degli eventuali acconti già versati alla società in bonis. Appare di tutta evidenza come tale “correttivo” sia stato previsto proprio per tutelare la par conditio creditorum e così scongiurare – nel caso in cui il promissario acquirente abbia già corrisposto tutto o una parte rilevante del corrispettivo al promittente venditore ancora in bonis – la possibilità che il creditore ipotecario perda la garanzia ipotecaria ed allo stesso tempo non si veda riconosciuto alcunché in sede di distribuzione dell’attivo della liquidazione giudiziale.
D’altro canto, l’esclusione dell’operatività del potere purgativo del Giudice delegato, accompagnata ad un provvedimento di condanna della curatela alla cancellazione dell’ipoteca iscritta sul bene oggetto di preliminare di compravendita, potrebbe condurre a situazioni di stallo. Così, nell’ipotesi in cui il prezzo della compravendita sia stato corrisposto in tutto o per gran parte in epoca antecedente al fallimento, l’ordine giudiziale di procedere alla cancellazione dell’ipoteca (all’esito del vittorioso esperimento dell’azione ex art. 2932 c.c., così come nel caso di subentro del curatore nel preliminare di abitazione da adibire a prima casa/di immobile destinato a costituire sede principale dell’attività d’impresa con effetti della trascrizione non cessati anteriormente alla declaratoria di fallimento) non potrebbe in molti casi neppure essere eseguito e ciò in ragione della mancanza dei fondi del fallimento per poter estinguere il debito assunto del fallito in bonis nei confronti del creditore ipotecario.
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