ISSN 2385-1376
Testo massima
Il creditore personale di uno dei coniugi, in regime di comunione legale dei beni, deve sottoporre a pignoramento per intero il bene ricadente nella comunione, non potendo limitarsi al solo ed insufficiente 50% del medesimo, in quanto la comunione coniugale è senza quote.
Così si è pronunciato il Tribunale di Napoli, sezione civile, con ordinanza del 11.11.2013, rigettando l’istanza di vendita di un immobile pignorato per il 50% della sua proprietà, ricadente nella comunione legale, trattandosi di debito contratto da uno dei coniugi e non volto a soddisfare bisogni della famiglia.
Nel motivare la sintetica pronuncia, il Giudice ha richiamato il principio espresso dalla Corte di Cassazione III sez. civile, con la sentenza n.6575/13, già oggetto di commento sulla rivista.
Nel caso sottoposto all’attenzione dei Giudici di legittimità, e richiamato dal magistrato partenopeo, il coniuge non debitore aveva presentato istanza di opposizione avverso l’ordinanza di vendita di un immobile caduto nel fallimento della società del coniuge (e del coniuge stesso, in quanto socio accomandatario), deducendo che il bene venduto ricadeva nella comunione legale.
All’esito del rigetto della domanda in primo ed in secondo grado, l’istante riproponeva le medesime doglianze innanzi alla Corte di Cassazione, denunciando i vizi della sentenza d’appello per violazione o falsa applicazione delle norme di legge, nonché per difetto di motivazione.
Trattandosi di questione giuridica di particolare rilevanza, gli ermellini hanno ritenuto opportuno affrontarla, nonostante la preliminare verifica dell’inammissibilità del ricorso ex art. 366-bis (abrogato, ma applicabile ratione temporis, essendo la pronuncia impugnata stata pubblicata tra il 02.03.2006 ed il 04.07.2009), al fine di dirimere il contrasto interpretativo tra i giudici di merito sulla materia.
Ebbene, ad avviso della Corte, la domanda del coniuge sarebbe stata in ogni caso infondata, atteso che il bene pignorato non poteva essere sottratto all’espropriazione, neanche in ordine alla sua metà.
Trattasi comunque di questione che non trova risposta in una normativa specifica, ragion per cui il Collegio ha dovuto anzitutto soffermarsi sul tema della natura della comunione coniugale, senza mettere in discussione l’interpretazione consolidata, per cui essa è ritenuta «comunione senza quote, nella quale i coniugi sono solidalmente titolari di un diritto avente ad oggetto tutti i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei, trattandosi di comunione finalizzata [
] non già alla tutela della proprietà individuale, ma piuttosto a quella della famiglia».
Se la quota non è elemento strutturale della proprietà, «nei rapporti coi terzi, ciascuno dei coniugi, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell’intero bene comune».
Ebbene, questa impostazione impedisce sia la ricostruzione della comunione legale come universalità, sia l’applicabilità della disciplina dell’espropriazione di quote, perché il bene appartiene ad altro soggetto solidalmente per l’intero, sia la praticabilità dell’opposizione contro il terzo non debitore, in quanto disciplina eccezionale, insuscettibile di applicazione analogica.
La Corte nota come l’unica interpretazione a salvaguardia della destinazione dei beni in comunione legale sarebbe quella che esclude la pignorabilità dei beni che ne fanno parte per crediti diversi da quelli familiari, ma ciò vanificherebbe «senza ragione le ragioni dei creditori dei singoli coniugi [che], benché coniugati, non cessano di rispondere dei propri debiti con tutti i beni appartenenti al loro patrimonio».
Il Collegio propone, dunque, tre ipotesi ricostruttive alternative:
a) la necessità di aggredire il bene per l’intero;
b) la facoltatività dell’aggressione per la sola metà;
c) l’indispensabilità dell’aggressione della sola metà.
Al netto degli inconvenienti sottesi a ciascuna di tali linee interpretative, vi sono buone ragioni per escludere le soluzioni sub b) e c). L’una, perché ammettere un’espropriazione per la sola quota della metà significherebbe applicare gli artt. 599 cpc e ss., stravolgendo l’istituto della comunione legale e consentendo l’assegnazione o la vendita giudiziaria della “quota” del coniuge debitore in proprio anche ad estranei; l’altra, perché se il bene non è diviso in quote il creditore non può pignorarne una soltanto, attribuendo paradossalmente al pignoramento una funzione costitutiva di diritti reali prima insussistenti.
Ne deriva che l’unica strada perseguibile è quella del pignoramento del bene per l’intero, con il conseguente scioglimento della comunione legale limitatamente a quel bene ed il diritto del coniuge non debitore, «in applicazione dei principi generali sulla ripartizione del ricavato della comunione al momento del suo scioglimento, al controvalore lordo del bene nel corso della stessa procedura esecutiva, neppure potendo a lui farsi carico delle spese di trasformazione in denaro del bene».
Una volta uscito dalla comunione, il bene venduto (rectius, il suo corrispondente valore in denaro) è destinato alla soddisfazione del creditore procedente, non essendo ammesso neanche il “rientro” in comunione della metà del prezzo al quale il bene è stato venduto, soprattutto perché ciò finirebbe per incentivare infinite azioni individuali sul controvalore “solo formalmente” restituito alla comunione.
Una tale interpretazione comporta alcune importanti conseguenze di carattere processuale:
– il coniuge non debitore è soggetto passivo dell’esecuzione forzata, di tal che gli andrà notificato il pignoramento e dovranno seguirsi gli espedienti formali per pubblicizzare l’azione esecutiva a suo carico, onde non arrecare danno agli eventuali terzi creditori personali;
– il coniuge non debitore potrà certamente esperire le opposizioni agli atti esecutivi o, perfino, di terzo, ma solo al fine di provare, ad esempio, che il bene non è in realtà in regime di comunione, ovvero, ancora a titolo esemplificativo, per dimostrare la possibilità di aggressione di altri beni personali del coniuge debitore.
Alla luce di tali argomentazioni, è la Corte stessa ad enucleare il principio di diritto da applicare a simili fattispecie, come coerentemente fatto dal Tribunale di Napoli nella recentissima pronuncia del 11.11.2013: «la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi comporta che l’espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione, abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all’atto della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione».
Testo del provvedimento
Tribunale civile di Napoli
V sez. civ.
Il GE
letti gli atti dell’esecuzione immobiliare c/Z.V., i cui beni sono stati pignorati per il 50% indiviso; premesso che, con recente pronuncia n. 6575/13, la Suprema Corte ha definitivamente chiarito che – essendo la comunione coniugale una comunione senza quote (v. già Cass. 4896/06)- vi è quindi la “..necessità di sottoporre, per il credito personale verso uno solo dei coniugi, il bene a pignoramento per l’intero…” (cosi tra l’altro, in parte motiva, Cass. 6575/13 cit.);
che, dunque, la circostanza che risulti qui essere debitrice la sola Z.V. (proprietaria in “comunione coniugale”, come si legge nella prodotta certificazione notarile) avrebbe imposto, per il principio di legittimità teste detto, che il pignoramento immobiliare venisse appunto eseguito per l’intero (per i 100/100) e non già per il solo ed insufficiente 50% avverso la medesima obbligata;
che, quindi, in ragione di tale errore di diritto, non può procedersi oltre (tenendo peraltro presente che la ritiranda certificazione notarile potrà poi essere –in una nuova corretta esecuzione- solo aggiornata);
PQM
rigetta: l’istanza di vendita.
Si comunichi.
Napoli 6/6/13. Il GE
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Numero Protocolo Interno : 654/2013