a cura di Felice Iorio ed Enrico Olivieri ([1])
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1.Il quadro normativo storico
L’importanza e la delicatezza delle funzioni esercitate dagli istituti di credito ha sempre giustificato un occhio di riguardo del legislatore per la loro attività e – ove ragionevole – un trattamento di favore. Rientrava tra i canoni della ragionevolezza l’art. 102 della precedente legge bancaria ([2]), secondo cui «L’Istituto di emissione e gli Istituti di credito di diritto pubblico possono chiedere il decreto di ingiunzione ai sensi dell’art. 3 del R.D. 7 agosto 1936, n. 1531 anche in base all’estratto dei loro saldaconti, certificato conforme alle scritturazioni da uno dei dirigenti dell’istituto interessato, il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido.», avendo cura di specificare che con estratto di saldaconto si identificava quel documento, contenente il saldo riassuntivo di un rapporto (il c.d. saldo finale), senza necessità di specificare le singole voci a debito e a credito, in base al quale era consentita la pronuncia del provvedimento monitorio.
L’art. 50 del Testo Unico Bancario ([3]), dal titolo Decreto ingiuntivo, la cui formulazione è invariata sin dalla sua prima emanazione, mantiene quel trattamento, stabilendo che «La Banca d’Italia e le banche possono chiedere il decreto d’ingiunzione previsto dall’articolo 633 del Codice di procedura civile anche in base all’estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, il quale deve altresì dichiarare che il credito è vero e liquido.». La ratio della norma è intuitiva: agevolare gli intermediari bancari nel riscuotere speditamente i crediti vantati nei confronti della clientela, al fine di salvaguardare la propria consistenza patrimoniale, i cui effetti dannosi si rifletterebbero de plano su tutto il sistema economico e finanziario che riceve credito dalle banche ([4]).
Si noti peraltro che il legislatore del 1993 lasciò intatto il riferimento all’estratto, ma sostituì il termine saldaconto con quello di conto e, per quanto la modifica possa apparire poco rilevante, è a tutti noto che il conto è quel documento che riproduce integralmente i dati annotati nella scheda dello stesso e relativi a tutte le operazioni affluitevi, tanto che, nella relazione di accompagnamento al TUB, si colse l’opportunità di precisare che «l’estratto conto deve rappresentare il risultato di tutte le voci a credito e a debito ricadenti nell’arco di tempo considerato, ivi compresi i diritti di commissione, le spese, le ritenute fiscali e gli interessi attivi e passivi maturati, con l’indicazione di un saldo attivo o passivo che costituirà la prima posta della successiva fase del conto». In sintesi, l’art. 102 della legge bancaria si fondava sull’estratto di saldaconto, mentre in costanza dell’odierno TUB ci si riferisce all’estratto conto.
Anche se possono accadere incidenti interpretativi ([5]), nel 2020 la Cassazione aveva identificato l’estratto conto nel contenuto dell’art. 119 TUB come «una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto» ([6]), andando peraltro ad attingere da un precedente a Sezioni Unite del 1994 che ne metteva in rilievo la ratio ([7]) e la faceva seguire da una serie di richiami a precedenti sentenze.
All’uopo, non si ritiene possibile estendere la disciplina dell’art. 50 TUB a tutte le ipotesi in cui risulti applicabile l’art. 119 TUB ma, al contempo, non vi sarebbero convincenti ragioni per escludere quelle comunicazioni alla clientela che presentano i requisiti propri dell’estratto conto. Ci si riferisce, in particolare, a quei documenti che mostrano non soltanto la situazione finanziaria del rapporto nel momento in cui esso cessa, ma che evidenziano il risultato di tutte le operazioni verificatesi fino ad una certa data, con la relativa contabilizzazione e indicazione di un saldo attivo e passivo, comprensivo di ogni “dare” e “avere”. Invero, un approccio non formalistico alla tematica della individuazione dei documenti assimilabili all’estratto conto porterebbe ad ammettere una equipollenza con la “scheda di conto”, soprattutto quando la seconda contenga tutti gli elementi propri del primo (registrazione cronologica delle operazioni, indicazioni della loro natura e causale, riporto della valuta e del saldo), in maniera chiaramente intellegibile per il cliente, applicando un criterio di media cultura ed esperienza. La soluzione in parola troverebbe conforto nell’art. 119 TUB, comma 3, laddove viene previsto che in mancanza di opposizione scritta da parte del cliente, gli estratti conto e le altre comunicazioni periodiche alla clientela si intendono approvati trascorsi sessanta giorni dal ricevimento ([8]).
Si conferma, quindi, una norma di vantaggio per l’intermediario bancario ([9]), ma, in un’ottica di riequilibrio dei rapporti, si riesce anche a contemperare la tutela delle ragioni del cliente-debitore, in quanto ossequiosa dei principi in tema di trasparenza bancaria. Il vantaggio – è evidente – consiste di fatto nel potersi costruire “in casa” la prova documentale del credito, necessaria ad ottenere il provvedimento monitorio, vantaggio giustificato da una presunzione di affidabilità dell’organizzazione aziendale e contabile degli enti creditizi, atteso che gli stessi sono soggettati a continuativi e penetranti controlli amministrativi e patrimoniali di vari generi e con diversi obiettivi.
Ciò premesso, alla trentennale immutabilità dell’art. 50 TUB fanno da contraltare le oltre 70 modifiche subite dal testo unico bancario dal 1993 ad oggi, oltreché l’evoluzione del contesto economico finanziario, ed è pertanto lecito chiedersi se la modalità agevolata di ricorso allo strumento processuale sia ancora oggi riservata solo ad un istituto di credito o vi possano accedere anche soggetti diversi da una banca e, nello specifico, una società cessionaria di crediti ([10]) ed una società di garanzia collettiva dei fidi ([11]), specie in virtù di tutte le modifiche via via sopravvenute al testo originario del TUB ([12]) e della normativa, anche regolamentare, di accompagnamento ed integrazione.
L’ostacolo da superare potrebbe essere dato dalla versione vigente dell’art. 110 TUB ([13]), sol perché, elencando le norme di rinvio applicabili agli intermediari finanziari, non include il citato art. 50. Trattasi tuttavia –a parere di chi scrive– di un ostacolo meramente apparente, se si tiene conto, da un punto di vista sistematico, che tutti gli altri articoli richiamati dal primo comma dell’art. 110 si riferiscono perlopiù a tematiche afferenti alla governance delle banche ed alla normativa generale di riferimento, cioè articoli estranei al Titolo II, Capi VI e VII del TUB, dove sono invece ospitate le, nel complesso poche, disposizioni dedicate ai contenuti contrattuali dell’attività bancaria nei confronti della clientela ([14]). Tutti tranne uno, l’art. 47 TUB ([15]), una disposizione che, però, non contiene obblighi inerenti a contenuti contrattuali tra banca-clienti, ma è diretta a regolamentare i rapporti tra banca e P.A.; disposizione, peraltro, alquanto obsoleta, se solo si tiene conto dell’evoluzione che ha subito dal 1993 ad oggi la legislazione pubblica sulla gestione di misure agevolative o sulla gestione di fondi pubblici, compresi i controlli ai quali quelle risorse pubbliche sono soggette. In altre parole, chiamare in soccorso il primo comma dell’art. 110 TUB per escludere che anche altri soggetti, oltre alle banche, possano avvalersi del disposto dell’art. 50, non sembra essere un’argomentazione decisiva e neppure persuasiva.
2.Il quadro normativo attuale, primario e secondario.
Il contesto normativo vigente è rappresentato dalla situazione creatasi a seguito della riforma avviata con il D. Lgs. 141/2010, che peraltro ha avuto una gestazione attuativa successiva non propriamente breve ([16]); in parallelo, si è assistito a molteplici interventi sulla L. 130/1999, favoriti o sollecitati dall’esplosione del fenomeno delle cessioni di crediti bancari mediante cartolarizzazione, in specie i crediti deteriorati.
Il livello primario è rappresentato dal comb. disp. dei nuovi artt. 5 ed 1 TUB, secondo i quali le autorità creditizie assumono i poteri descritti nel TUB e li esercitano nei confronti anche degli «[…] g) «intermediari finanziari»: i soggetti iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 106; […]» ai quali è riservato, ovviamente in aggiunta agli istituti di credito, «L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma […]».
Il livello normativo secondario ([17]) specifica il significato oggettivo ([18]) e soggettivo ([19]) di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma e chiarisce che alcuni confidi possono o devono iscriversi all’albo degli intermediari finanziari, così come le società cessionarie per la garanzia di obbligazioni bancarie (art. 7) e questo particolare tema soggettivo può dar luogo facili equivoci, che meritano di essere evitati: non tutti i confidi e non tutte le società cessionarie sono tenute ad iscriversi all’Albo degli intermediari (art. 106 TUB). Quanto ai confidi, gli obblighi di iscrizione sono indicati nell’art. 4, D.M. 53/2015 ([20]). Quanto ai cessionari, non sono tenute ad iscriversi le società cessionarie di crediti, che Banca d’Italia censisce in un separato elenco; del pari, non lo sono le società cessionarie per la garanzia di obbligazioni bancarie, ma solo se appartengono ad un gruppo bancario come definito all’art. 60 TUB; sono invece tenute ad iscriversi all’Albo degli intermediari le società cessionarie per la garanzia di obbligazioni bancarie non appartenenti ad un gruppo bancario ([21]).
Chiude il quadro la regolamentazione di terzo livello, rappresentata dalla Circ. 288/2015 ([22]) che, mutatis mutandis, realizza la parificazione delle esigenze di vigilanza prudenziale e stabilità del mercato tra istituti di credito ed intermediari finanziari, finalità peraltro apertamente dichiarata e, addirittura, sottolineata ([23]).
L’evoluzione normativa, dunque, quanto meno con riferimento all’attività di concessione di finanziamenti latu sensu, dimostra la sostanziale equiparazione tra le due tipologie di intermediari, bancari e finanziari. Alle stesse conclusioni parrebbe pervenuta la Corte di Cassazione, con un passaggio incidentale estremamente chiaro ([24]).
L’evoluzione normativa, peraltro, non si è fermata all’equiparazione, perché è andata oltre ed ha anche ampliato le forme di finanziamento consentite ai soggetti non bancari. Senza pretesa di esaustività si possono qui ricordare:
- la possibilità di erogare finanziamenti concessa alle società di cartolarizzazione di crediti ([25]);
- la possibilità di erogare credito fino a un importo massimo per singola operazione di 40.000 euro a favore di micro, piccole e medie imprese, concessa a tutti i confidi, facendo ricorso ai contributi ricevuti ex 108/1996 ([26]) allo scopo di prevenire il fenomeno dell’usura, per la quota eccedente la finalità cui sono destinati ([27]);
- l’eliminazione del limite della residualità all’attività di finanziamento svolta dai confidi intermediari finanziari ([28]), che ora possono incrementare i volumi di attività di finanziamento diretto sino ad arrivare appena sotto la soglia dell’attività prevalente (cioè l’attività di concessione delle garanzie) ([29]).
3. Le indicazioni giurisprudenziali
Un interessante spunto normativo in favore di un allargamento della platea di soggetti che possono ricorrere all’art. 50 TUB è offerto dalla L. 130/1999, il cui art. 4, comma 1, richiama esplicitamente e rende tel quel applicabile ad un cessionario di crediti mediante cartolarizzazione l’art. 58, comma 3, TUB ([30]). Interessante perché, detto comma 3 non prevede soltanto che «I privilegi e le garanzie di qualsiasi tipo, da chiunque prestati o comunque esistenti a favore del cedente, […] conservano la loro validità e il loro grado a favore del cessionario […]», ma prevede anche che «Restano altresì applicabili le discipline speciali, anche di carattere processuale, previste per i crediti ceduti.» e francamente non si comprende quale altra disciplina speciale di carattere processuale resta applicabile, se non, in primis, il decreto ingiuntivo facilitato di cui all’art. 50 TUB.
Il richiamo incrociato tra D. Lgs. 385/1993 e L. 130/1999 sembra dunque realizzare il risultato di affievolire la necessità della natura esclusivamente bancaria del soggetto richiedente il decreto ingiuntivo, attribuendo la prerogativa di produrre un estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti anche al cessionario del credito (di conseguenza, anche per il tramite di un suo service provider, che si configura quale procuratore speciale) ed ancorché dal 2009 (nota 21) il cessionario del credito non si qualifichi più come un intermediario vigilato.
Già nel 2011 il Tribunale di Milano, nell’ambito del decreto ingiuntivo ex art. 50 TUB, aveva dedotto l’irrilevanza tra soggetto bancario e cessionario del credito ([31]).
Non si pone invece alcun problema il Tribunale di Taranto che, a fronte di un decreto ingiuntivo del 2013, nel 2014 afferma tout-court: «Si rileva comunque che l’art. 50 T.U. bancario si applica anche agli intermediari finanziari, come tutta la restante disciplina, per cui l’estratto conto conforme alle scritture contabili sottoscritto dal legale rappresentante della finanziaria è prova scritta idonea alla concessione del credito ingiuntivo.» ([32]) e si deve giocoforza dedurre che al giudice di merito non interessa il combinato disposto delle due norme sopra citate, quanto piuttosto il fatto che – a suo modo di vedere – le norme del TUB sono fruibili indistintamente tanto dalle banche quanto dagli intermediari finanziari. In senso confermativo e già notata da altri ([33]) Cass. 31577/2019 ([34]) dove però il tener conto delle date ([35]) è tanto importante quanto lo è il percorso motivo ([36]). Da ultimo, e nella medesima direzione, Cass. 20626/2021([37]).
4.La sintesi: il confine è esteso
All’esito dell’esame, si può forse concludere che l’indirizzo più corretto, ancorché non motivato, sia quello del Tribunale di Taranto, che non si interroga approfonditamente sul tema e ritiene di risolvere la questione semplicemente affermando che lo strumento dell’art. 50 TUB non è limitato all’intermediario bancario, ma può essere utilizzato anche da un qualsiasi intermediario finanziario; in favore di tale conclusione depongono l’evoluzione di mercato e le riforme legislative e regolamentari che si sono succedute nel settore del credito, tanto che non si capirebbe per quale ragione, una volta raggiunta l’equiparazione, finanche sul significato da attribuire al termine attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma (nota 18), tra banche e intermediari iscritti all’Albo di cui all’art. 106 TUB, le prime possano fruire di tale strumento ed i secondi non potrebbero.
Resta invece valida la necessità di ricorrere all’interpretazione normativa per poter ammettere che un cessionario del credito, ancorché oggi non più intermediario vigilato, possa fruire di quello strumento, visto che l’art. 4 L. 130/1999 richiama l’applicabilità integrale dell’art. 58 TUB e, in particolare, dell’ultimo periodo del comma 3.
Pare invece di poter affermare precluso il ricorso allo strumento dell’art. 50 TUB a tutti gli altri soggetti, ivi inclusi i service provider dei cessionari dei crediti, che agiscono quali mandatari e procuratori speciali (ed a meno che, ovviamente, non possiedano lo status di intermediari finanziari), i quali tuttavia potranno tranquillamente aggirare l’ostacolo nel caso in cui la certificazione del credito provenga dai loro mandanti.
Ove così non fosse, si dovrebbe ragionare di illogica, irrazionale e, di conseguenza, ingiustificata sperequazione normativa tra soggetti di fatto equiparati (sospetto già adombrato da altri, v. nota 9).
5. Regime probatorio e conclusione
Non può tuttavia tacersi che si sta parlando di uno strumento processuale acceleratorio e non dell’esistenza e validità del credito sotto il profilo sostanziale, tanto che sarebbe incompleto non dar conto degli indirizzi giurisprudenziali nei casi in cui si verifichi l’opposizione dei debitori principali o solidali, con l’avvio di un ordinario giudizio di cognizione, che presenta canoni probatori più stringenti.
Già dal 2017, in una complessa controversia pluri-parti con ricorsi e contro-ricorsi, la Suprema Corte aveva ammonito circa la limitata valenza probatoria in sede monitoria dell’estratto conto certificato, se – a fronte di specifiche contestazioni – l’estratto conto non fosse stato arricchito nel giudizio di merito ([38]). La stessa Corte si ripete nel 2018 ([39]), nel 2019 ([40]), nel 2020 ([41]) e nel 2021 ([42]).
Con il che si può facilmente concludere che i confini soggettivi di utilizzo del decreto ingiuntivo ottenuto in base all’art. 50 TUB possono ritenersi più ampi di quanto la norma non induca a pensare, ma la vicenda non termina lì, in quanto si fanno più stringenti, in caso di opposizione, i successivi confini oggettivi.
C’è tuttavia da ipotizzare che, dovendosi procedere – entro il 29 dicembre 2023 – al recepimento della recente Direttiva UE 2021/2167 del 24 novembre 2021 relativa ai gestori ed acquirenti di crediti deteriorati, il legislatore non mancherà di cogliere l’opportunità per introdurre appropriate novità, come per esempio l’esplicita fruibilità dell’art. 50 TUB a tutte le categorie di intermediari ed anche oltre, ferme restando tutte le tutele sostanziali da riconoscere ai debitori.
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([1]) Avvocati, giuristi d’impresa, entrambi con oltre 10 anni di esperienza sulle tematiche che coinvolgono gli intermediari finanziari.
([3]) D. Lgs. 1° settembre 1993 n. 385.
([4]) L’esigenza, dall’indubbio valore pubblicistico, rappresenta una compressione del diritto di difesa del debitore, concedendo ad un istituto di credito una via privilegiata, giustificata dalla necessità di ottenere celermente e con rapidità il recupero del credito, per superiori esigenze di liquidità (cfr. Farina, Problemi della pratica: la determinazione giudiziale del credito bancario in conto corrente, in Banca borsa tit. cred., 1999, 3, 340).
([5]) Cass., I^, 21 dicembre 2018, n. 33355 «1.3.2. Quanto alla prova delle ragioni creditorie della banca, va osservato che, in tema di prova del credito fornita da un istituto bancario, va distinto l’estratto di saldaconto […] dall’ordinario estratto conto […]. Mentre il saldaconto riveste efficacia probatoria nel solo procedimento per decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dall’istituto, l’estratto conto, trascorso il previsto periodo di tempo dalla sua comunicazione al correntista, assume carattere di incontestabilità ed è, conseguentemente, idoneo a fungere da prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato dal cliente (Cass., 25/09/2003, n. 14234; Cass., 19/10/2016, n. 21092).» L’art. 50 non afferma questo.
([6]) Cass., I^, 24 dicembre 2020, n. 29577.
([7]) Cass., SU., 18 luglio 1994, n. 6707, secondo cui l’estratto conto «riproduce integralmente i dati annotati nella scheda del conto e relativi a tutte le operazioni affluite sullo stesso» e la ratio della norma va identificata nella «necessità di tutelare il correntista anche nell’eventuale giudizio susseguente al procedimento monitorio, consentendogli una contestazione consapevole delle risultanze del documento stesso», cosa non consentita dal semplice saldaconto.»
([8]) Cfr. Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, diretto da Capriglione, Tomo I (artt. 1-50), Terza edizione, 2012, Cedam, p. 583 e ss.
([9]) In tal senso, Minervini, Dal decreto 481/92 al testo unico in materia bancaria e creditizia, in Giur. Comm. 1993, I, 838, che qualifica l’art. 50 TUB come norma di favore. Invero l’A., benché consideri sussistente una maggiore correttezza contabile nelle banche e benché queste siano assoggettate a penetrante controllo amministrativo, ha espresso perplessità sulla tenuta costituzionale della norma, per un presunto contrasto con l’art. 3 della Costituzione, attesa la mancata fruibilità di tale strumento processuale agevolato da parte di altre imprese parimenti sottoposte a controllo amministrativo.
([10]) L. 30 aprile 1999 n. 130, recante Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti. Questa legge, che nella sua versione iniziale presentava nessun titolo e 7 articoli, si è via via arricchita nel tempo e la versione vigente ospita due Titoli e ben 32 articoli, peraltro aggiunti facendo ricorso ad una tecnica legislativa assai opinabile.
([11]) Art. 13 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003 n. 326, disposizione di oltre 60 commi, più volte modificati nel tempo, comunemente definito legge confidi.
([12]) In particolare, il D. Lgs. 13 agosto 2010 n. 141, in Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi.
([13]) TUB, art. 110, co. 1, dal titolo Rinvio: «1. Agli intermediari finanziari si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni contenute negli articoli 19, 20, 21, 22, 23, 24, 47, 52, 61, commi 4 e 5, 62, 63, 64, 78 e 82. I provvedimenti previsti nell’articolo 19 sono adottati dalla Banca d’Italia.»
([14]) L’intero Titolo VI è invece integralmente dedicato alla disciplina della trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti.
([15]) TUB, art. 47, Finanziamenti agevolati e gestione di fondi pubblici. La disposizione in parola è peraltro esplicitamente richiamata dalle lett. b) e c) dell’art. 112, co. 5, TUB, sancendone la più che ragionevole applicazione ai confidi iscritti al nuovo Albo degli intermediari finanziari (v. nota 21).
([16]) Basti pensare che l’organismo previsto dall’art. 112-bis TUB, introdotto con il D. Lgs. 19 settembre 2012 n. 169, ha avviato la propria attività operativa solo nel corso del 2021.
([17]) D.M. 2 aprile 2015 n. 53, contenente il Regolamento recante norme in materia di intermediari finanziari in attuazione degli articoli 106, comma 3, 112, comma 3, e 114 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché dell’articolo 7-ter, comma 1-bis, della legge 30 aprile 1999, n. 130. Occorre anche ricordare che tale provvedimento sostituisce integralmente l’omologo, anche se non perfettamente identico, D.M. 17 febbraio 2009 n. 29.
([18]) D.M. 53/2015, art. 2, co. 1, così prevede «1. Per attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma si intende la concessione di crediti, ivi compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma. Tale attività comprende, tra l’altro, ogni tipo di finanziamento erogato nella forma di: a) locazione finanziaria; b) acquisto di crediti a titolo oneroso; c) credito ai consumatori, così come definito dall’articolo 121, t.u.b.; d) credito ipotecario; e) prestito su pegno; f) rilascio di fideiussioni, avallo, apertura di credito documentaria, accettazione, girata, impegno a concedere credito, nonché ogni altra forma di rilascio di garanzie e di impegni di firma. […]».
([19]) D.M. 53/2015, art. 3, co. 1: «1. L’attività di concessione di finanziamenti si considera esercitata nei confronti del pubblico qualora sia svolta nei confronti di terzi con carattere di professionalità.» e prosegue specificando cosa non configura un’operatività nei confronti del pubblico.
([20]) I confidi sprovvisti dei requisiti per iscriversi all’albo degli intermediari finanziari restano disciplinati dall’art. 112 TUB e sono controllati dall’organismo di cui all’art. 112-bis.
([21]) È opportuno cercare di illustrare lo stato dell’arte sui cessionari latu sensu. Il regime precedente alla riforma del TUB del 2010 prevedeva due elenchi di intermediari, un Elenco generale (art. 106 TUB) ed un Elenco speciale (art. 107 TUB), ma solo gli iscritti nel secondo elenco, quello speciale, erano soggetti a vigilanza bancaria piena e penetrante, mentre per gli iscritti nell’elenco generale, l’iscrizione equivaleva a poco più di un censimento. In tale regime, le società di cartolarizzazione di crediti di cui alla versione iniziale della L. 130/1999 erano obbligate ad iscriversi nell’elenco speciale degli intermediari (quello, appunto, dell’art. 107 TUB) e potevano qualificarsi come intermediari vigilati a tutti gli effetti. Il D.M. 29/2009 mutò il quadro normativo e le società di cartolarizzazione di crediti regredirono dallo status di intermediari vigilati a quello di intermediari semplici (cfr. Banca d’Italia, comunicazione 25 settembre 2009). È a questo punto che interviene la riforma del TUB con il D. Lgs. 141/2010 il quale, per quanto qui interessa, abolisce i due Elenchi pre-vigenti (artt. 106 e 107 TUB) sostituendoli con un unico Albo (nuovo art. 106 TUB). In seguito, sopravviene il D.M. 53/2015, che sub art. 7 prevede che le società cessionarie per la garanzia di obbligazioni bancarie (un termine più specifico rispetto al generico società cessionarie) si iscrivano al nuovo Albo degli intermediari.
Per arrivare a comprendere chi sono queste ultime, occorre dar sintetico conto di alcuni dei continui interventi legislativi sulla L. 130/1999, la cui scadente qualità di certo non agevola il compito dell’interprete. Le obbligazioni bancarie garantite furono introdotte a marzo 2005 e disciplinate dall’art. 7-bis. Oltre a vari ritocchi nel tempo, nel corso del 2021 la L. 130/1999 subisce un radicale intervento: sono abrogati gli articoli 7-bis, 7-ter e 7-quater e contestuale si introduce il Titolo I-bis. In altre parole, il D. Lgs. 5 novembre 2021 n. 190 modifica detta legge che, inizialmente diretta alla cartolarizzazione di crediti (la cui disciplina e soggetti trovano adesso ospitalità all’interno di un neo-introdotto Titolo I), ora presenta anche un Titolo I-bis in cui riorganizza, ospita ed amplia la disciplina delle obbligazioni bancarie garantite e delle relative cessioni. Il risultato finale è quello descritto nel testo.
([22]) Banca d’Italia, Circolare 3 aprile 2015 n. 288, contenente le Disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari.
([23]) Nella premessa del Titolo IV-Vigilanza prudenziale, Capitolo 1-Disposizioni comuni, Sezione I-Quadro di riferimento, si legge (sottolineature nell’originale): «Il presente Titolo contiene le disposizioni prudenziali per gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’art. 106 TUB. I principali obiettivi della presente normativa sono: 1. l’efficace perseguimento degli obiettivi della regolamentazione prudenziale, volti a: assicurare una misurazione accurata dei rischi degli intermediari finanziari e una dotazione patrimoniale strettamente commisurata all’effettivo grado di esposizione al rischio di ciascun intermediario; stimolare il miglioramento delle prassi gestionali e delle tecniche di misurazione dei rischi; valorizzare il ruolo disciplinante del mercato, attraverso specifici obblighi di informativa al pubblico; 2. la realizzazione per gli intermediari finanziari di un regime di vigilanza caratterizzato da requisiti prudenziali comparabili per robustezza a quelli delle banche, come modificati dal 1° gennaio 2014, dalla Direttiva 2013/36/CE (CRDIV) e dal Regolamento (UE) n. 575/2013 (CRR). L’estensione agli intermediari finanziari della regolamentazione bancaria presenta importanti benefici. Infatti, da un lato, contribuisce a rafforzare la sana e prudente gestione degli intermediari e la stabilità del settore finanziario nel suo complesso; dall’altro, la normativa comunitaria consente di applicare il trattamento prudenziale previsto per le esposizioni verso le banche e imprese di investimento alle esposizioni verso gli intermediari finanziari che: a) siano autorizzati ad operare e siano vigilati dalla medesima Autorità di vigilanza che autorizza le banche; b) siano sottoposti a requisiti prudenziali comparabili per robustezza a quelli applicati alle banche e alle imprese di investimento; 3. l’attuazione del principio di proporzionalità attraverso un sistema di regole modulari, tenendo conto delle peculiarità degli intermediari in termini di complessità operativa, dimensionale e organizzativa nonché di attività svolta. A tal fine, sono previste, in taluni ambiti, regole differenziate ed è incentivata, in via più generale, l’applicazione delle disposizioni coerente con le specificità di ciascun intermediario. La disciplina introduce, infatti, regole che differiscono per alcuni profili da quelle previste per le banche al fine di tenere conto delle caratteristiche tipiche degli intermediari finanziari.»
([24]) Cass., sez. III, 13 maggio 2020, n. 8882, nell’ambito di una controversia su una garanzia concessa da SACE SpA ed escussa; il garante esercitava il diritto di surrogazione nel credito, insinuandolo al passivo di un fallimento, ma l’istanza veniva respinta nei due precedenti gradi di giudizio. La Corte rovescia la decisione ed accoglie tutti i motivi di ricorso di SACE, rispetto al primo dei quali così si esprime: «4.3. In primo luogo, il d.lgs. n. 123/1998 non detta una definizione del termine “finanziamento”. E, in aggiunta, nel quadro complessivo del nostro ordinamento l’espressione non assume un significato costante tale da potersi legittimamente ritenere che con essa si faccia esclusivo riferimento alla “erogazione diretta in denaro”. Al riguardo, in linea con quanto rilevato nel precedente di questa Corte, si individuano alcune disposizioni sintomatiche. Tra di esse, l’art. 47 del T.U.B. (rubricata «Finanziamenti agevolati e gestione di fondi pubblici») dispone che «tutte le banche possono erogare finanziamenti o prestare servizi previsti dalle vigenti leggi di agevolazione, purché essi siano regolati da contratto con l’amministrazione pubblica competente e rientrino tra le attività che le banche possono svolgere in via ordinaria». A fianco di quella data dalle “operazioni di prestito” (e a fianco pure di una ulteriore e nutrita serie di attività, di diversa tipologia e struttura), tra queste attività “ordinarie” di finanziamento compare anche quella costituita dal “rilascio di garanzie e di impegni di firma” (art. 1, comma 2, lett. f) del Testo Unico): o, ancora, il “finanziamento destinato a uno specifico affare” di cui all’art. 2447-decies cod. civ. nel cui alveo la dottrina pacificamente ricomprende, oltre ai contratti di credito, le strutture negoziali di stampo partecipativo (dal cd. mutuo parziario all’associazione in partecipazione alla cointeressenza) e pure le operazioni di finanza strutturata (quali quelle di cartolarizzazione e quelle di leveraged). A tal fine rileva altresì l’art. 106, comma l, T.U.B.: nel lungo elenco di operazioni, con cui la normativa secondaria dà corpo al lemma “finanziamento” di cui alla legge, tra le altre compaiono le operazioni di “rilascio di garanzie”, di “acquisto di crediti a titolo oneroso”, di “apertura di credito documentaria”, di “avallo” e “girata” (cfr. art. 2 D.M. n. 53 del 2015). Anche il “finanziamento” richiamato dall’art. 2467 cod. civ. (sui “finanziamenti dei soci” nelle s.r.1.), d’altra parte, è comunemente ritenuto termine idoneo a ricomprendere — tra le altre “agevolazioni finanziarie” – pure le prestazioni di garanzia. Non diversamente avviene, poi, quanto ai “finanziamenti” presi in considerazione dall’art. 182-quater L.F.».
([25]) L. 130/1999, art.1, co. 1-ter, introdotto a giugno 2014.
([26]) L. 7 marzo 1996 n. 108 recante Disposizioni in materia di usura.
([27]) L. 30 dicembre 2020 n. 178 (la legge di bilancio 2021), art. 1, co. 256 (in particolare, v. lett. c). Con evidente colpo di scena, il co. 257 giunge eccezionalmente a conferire la facoltà di erogare credito anche ai confidi iscritti nell’elenco di cui all’art. 112 TUB, ai quali l’attività di concessione di finanziamenti sarebbe preclusa, condizionando tuttavia, con il successivo co. 258, tale facoltà alla emanazione di un decreto ministeriale che definisca requisiti patrimoniali, di governance, organizzativi e di trasparenza, la cui verifica è rimessa all’Organismo dei confidi minori (D.M. 20 agosto 2021).
([28]) Questa la precedente formulazione dell’art. 112, co. 6, TUB: «I confidi iscritti nell’albo possono, in via residuale, concedere altre forme di finanziamento ai sensi dell’articolo 106, comma 1, nei limiti massimi stabiliti dalla Banca d’Italia.»
([29]) In costanza di emergenza pandemica e della situazione di crisi, prendendo atto dell’esigenza vitale per le PMI di poter contare su efficaci strumenti di supporto e riconoscendo ai confidi l’efficacia e l’efficienza nell’erogazione diretta e la loro mission mutualistica particolarmente vicina alle imprese del territorio, l’art. 31-bis del d.l. 19 maggio 2020 n. 34 (decreto rilancio), convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020 n. 77, ha riformulato l’art. 112, co. 6, TUB, mantenendo il solo concetto di prevalenza ed eliminando, di fatto, il termine residuale.
([30]) Quanto alla portata ed ai limiti della norma rispetto ai confidi, ci si permette di segnalare Olivieri, L’ambulatorietà della garanzia del confidi nelle cessioni di rapporti giuridici e nelle cessioni di crediti: spunti interpretativi e riflessioni, in Resp. civ. e prev., 2015, 4, 1368.
([31]) Trib. Milano, 20 dicembre 2011, n. non noto. La fattispecie è quella di un credito bancario in sofferenza ceduto pro-soluto ad un intermediario finanziario, che ottiene decreto ingiuntivo ex art. 50 TUB contro debitore e fideiussori. L’opposizione dei debitori venne respinta e la sentenza, appellata anche sul punto dell’interpretazione dell’art. 50, fu confermata da App. Milano n. 15322/2011 con ordinanza di inammissibilità del gravame, contro la quale si è ricorsi per vizi di legittimità. Cass., I^, 6 giugno 2018, n. 14640, pur riferendo del motivo di ricorso sul presunto vizio, non si interessa del presupposto soggettivo dell’art. 50 TUB, quanto piuttosto del “se” il credito potesse darsi per sufficientemente provato dall’intermediario cessionario nel corso dell’opposizione in Tribunale; ha quindi cassato con rinvio l’ordinanza di inammissibilità, chiedendo di valutare la valenza probatoria della documentazione che dichiara il credito.
([32]) Trib. Taranto, 29 maggio 2014, n. 1690, su www.ilcaso.it . Benché si dichiari che la sentenza venga resa ex art. 281 sexies c.p.c., la stessa presenta un paio di stranezze processuali di tipo formale, ma soprattutto presenta una circostanza sostanziale che potrebbe essere dirimente; a causa di motivi di riservatezza sono stati oscurati i nomi delle parti e dalla motivazione non è perfettamente chiaro se il decreto ingiuntivo del 2013 fosse stato ottenuto sulla base di un estratto conto certificato dal creditore originale (ossia una finanziaria che certamente era un intermediario finanziario vigilato), dal cessionario (evidentemente uno special purpose vehicle nella forma di srl, considerato che la sentenza dà conto che la cessione è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, ma all’epoca già non più qualificabile come intermediario finanziario, v. nota 21) o, infine dal service provider e procuratore speciale del cessionario (di cui non è riferita la natura dunque non si sa se sia intermediario o meno), il che – com’è intuibile – potrebbe anche non essere circostanza del tutto irrilevante ai fini della decisione.
([33]) https://studioeffeffe.com in cui si dà conto anche di Trib. Ravenna, 8 marzo 2018, n. non noto, che ritiene l’art. 50 TUB fruibile da un cessionario del credito.
([34]) Cass., I^, 3 dicembre 2019, n. 31577. Tra le diverse questioni affrontate dalla pronuncia in discorso, degna di nota appare proprio la parte che afferma come infondato il motivo di ricorso dei ricorrenti, che invocavano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 50 T.U.B., per avere la Corte d’Appello ritenuto che la società che aveva ottenuto il decreto ingiuntivo, sulla base del mero estratto conto “certificato” conforme alle scritture contabili della banca, non fosse essa stessa banca, ma un mero intermediario finanziario, peraltro mandatario di un cessionario del credito.
([35]) Il decreto ingiuntivo fu ottenuto nel 2006 da CSJV, un intermediario finanziario riconducibile ad un gruppo bancario e mandatario di TF, cessionaria del credito; l’opposizione al decreto fu respinta da Trib. Roma 2 maggio 2010, n. 9663, il rigetto venne confermato da App. Roma 24 luglio 2015 n. 4577 (durante il corso della lite, peraltro, il credito ceduto fu oggetto di ulteriore cessione).
([36]) Nel respingere il secondo motivo di ricorso, la Corte così conclude: «Non vi è dubbio quindi che in base al combinato disposto delle due norme sopra citate è stata estesa anche ai cessionari di crediti acquistati nelle operazioni di cartolarizzazione ex legge n. 130/1999 quella speciale prerogativa concessa dal legislatore all’art. 50 del Testo Unico Bancario – che costituisce una disciplina speciale di carattere processuale – alle banche allo scopo di dotarle di strumenti rapidi ed efficaci che consentano di contenere gli immobilizzi e le perdite su crediti, i cui effetti dannosi si rifletterebbero automaticamente su tutto il sistema economico e finanziario che riceve credito dalle banche. Dunque, la natura bancaria o meno del soggetto cessionario del credito non rileva ai fini dell’applicabilità, al caso di specie, dell’art. 50 TUB, trattandosi di una prerogativa che è stata attribuita ai cessionari dei crediti acquistati nelle operazioni di cartolarizzazione (e conseguentemente anche ai loro mandatari) direttamente dalla legge.», anche se ha in precedenza messo in rilievo che l’estratto conto certificato non risale alla cessionaria TF, bensì alla sua procuratrice CSJV, che tuttavia rivestiva pur sempre, all’epoca, lo status di intermediario vigilato (nota 21).
([37]) Cass., I^, 19 luglio 2021, n. 20626, che afferma: «…la natura speciale dell’art. 50 TUB non rappresenta in alcun modo un elemento ostativo all’esperimento dell’azione monitoria da parte di soggetti non aventi natura bancaria nell’ipotesi in cui questi si siano resi cessionari del credito derivanti da rapporti bancari in virtù di operazioni di cartolarizzazione disciplinate dalla L. n. 130 del 1999, art. 4, comma 1 ovvero siano mandatari di tali cessionari. A maggior ragione, nessun elemento ostativo si pone in un caso, come quello di specie, in cui la legittimazione ad agire del soggetto non bancario (Italfondiario s.p.a.) trova la propria fonte nel mandato con rappresentanza conferitogli dalla stessa banca e sulla base di una certificazione ex art. 50 TUB emessa, secondo la ricostruzione della Corte d’Appello, dall’istituto di credito presso cui era stato aperto il conto corrente.»
([38]) Cass., I^, 25 gennaio 2017, n. 1937: «[…] occorre considerare che nella fattispecie non risultano prodotti i contratti di conto corrente, il debito perseguito dalla banca non era sorto in capo al cliente trattandosi di debitori fidejussori dei titolari dei conti correnti in passivo, sulla eccepita non produzione degli estratti conto la corte d’appello ha omesso di pronunciarsi prospettando nella sostanza una forza probatoria non correttamente attribuita ai saldaconto, confusi con i primi, né la corte ha motivato sui saldaconto conferendo ad essi un valore indiziario.»
([39]) Cass., I^, 6 giugno 2018, n. 14640: «L’onere probatorio documentale assolto ex art. 633, primo comma, n. 1, cod. proc. civ. attraverso la produzione dell’estratto conto certificato non è invece esaustivo nel caso in cui il decreto ingiuntivo venga opposto. È noto infatti che l’emissione del decreto ingiuntivo non determina alcuna inversione nella posizione delle parti, configurandosi la successiva fase di opposizione come un ordinario giudizio di cognizione, nell’ambito del quale trovano applicazione le consuete regole di ripartizione dell’onere della prova, con la conseguenza che l’opposto, pur assumendo formalmente la posizione di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, esprime una domanda di condanna da valutarsi anche in caso di revoca del provvedimento monitorio per motivi formali (Cass. n. 5754 del 10 marzo 2009; Cass. n. 15339 del 10 dicembre 2000) ed è tenuto a fornire la piena prova del credito azionato nella fase a cognizione sommaria (cfr. tra molte, Cass. n. 5915 dell’Il marzo 2011, Cass. n.5071 del 3 marzo 2009, Cass. n. 17371 del 17 novembre 2003, Cass. 19 settembre 2013, n. 21466).»
([40]) Cass., I^, 4 dicembre 2019, n. 31648: «1.2.1. Va osservato, infatti, che la norma di cui all’art. 50 del d.lgs. n. 385 dei 1993 ha esclusivo ambito di applicazione nel procedimento monitorio, mentre, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, trovano applicazione le consuete regole di ripartizione dell’onere della prova, con la conseguenza che l’opposto, pur assumendo formalmente la posizione di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, sicché spetta a lui provare nel merito i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio. E tuttavia, la perdita dell’efficacia probatoria dell’estratto conto, certificato conforme da un dirigente della banca, nel successivo procedimento di opposizione, si verifica esclusivamente nel caso in cui l’opposizione all’ingiunzione di pagamento del saldo passivo del conto corrente sia stata fondata su motivi non solo formali, quale la inutilizzabilità dell’estratto conto certificato, ma anche sostanziali, quali la contestazione specifica dell’importo a debito, risultante dall’applicazione di tassi di interesse ultralegali e di interessi anatocistici vietati. In caso contrario, l’estratto conto conserva la sua efficacia probatoria (Cass., 06/06/2018, n. 14640; Cass., 03/05/2011, n. 9695).»
([41]) Cass., I^, 24 dicembre 2020, n. 29577: «Nel qual caso, effettuata la contestazione, si applicherà il noto principio secondo cui l’estratto conto certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca, di cui all’articolo 50 citato, in caso di contestazione non costituisce di per sé prova del credito vantato dalla banca nei confronti del correntista (Cass. 3 maggio 2011, n. 9695): […] Spetta alla banca produrre il contratto su cui si fonda il rapporto, documentare l’andamento di quest’ultimo e fornire così la piena prova della propria pretesa (Cass. 6 giugno 2018, n. 14640).»
([42]) Cass., II^, 30 settembre 2021, n. 26569: «Costituisce principio ripetutamente affermato quello secondo cui «La norma di cui all’art 50 del d.lgs. n. 385 del 1993 ha esclusivo ambito di applicazione nel procedimento monitorio, mentre, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, trovano applicazione le consuete regole di ripartizione dell’onere della prova, con la conseguenza che l’opposto, pur assumendo formalmente la posizione di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, sicché spetta a lui provare nel merito i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio» (Cass. n. 14640 del 2018; Cass. n. 3341 del 2009).»
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