Segnalazione e commento a cura dell’Avv. Matteo Pancaldi del Foro di Ferrara
Con sentenza datata 8 maggio 2020, il Tribunale di Piacenza ha dichiarato il fallimento in proprio di una società a responsabilità limitata a fronte di un ricorso depositato in data 9 marzo 2020 e nonostante la vigenza attuale dell’art. 10 del D.L. 23/2020 secondo il quale “Tutti i ricorsi ai sensi degli articoli 15 e 195 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 3 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020 sono improcedibili”.
La relazione illustrativa della citata disposizione chiariva che “Il blocco si estende a tutte le ipotesi di ricorso, e quindi anche ai ricorsi presentati dagli imprenditori in proprio, in modo da dare anche a questi ultimi un lasso temporale in cui valutare con maggiore ponderazione la possibilità di ricorrere a strumenti alternativi alla soluzione della crisi di impresa senza essere esposti alle conseguenze civili e penali connesse ad un aggravamento dello stato di insolvenza che in ogni caso sarebbe in gran parte da ricondursi a fattori esogeni”.
La volontà del Legislatore era quella di sottrarre gli imprenditori dalla drammatica scelta di presentare istanza di fallimento in proprio, in un quadro in cui lo stato di insolvenza può derivare da fattori esogeni e straordinari, quale l’emergenza Covid-19, con il correlato pericolo di dispersione del patrimonio produttivo, senza alcun correlato vantaggio per i creditori, considerato che la liquidazione dei beni avverrebbe in un mercato fortemente perturbato.
Nonostante tale apprezzabile intento, ci si è chiesto come si possa impedire al debitore, sul piano normativo, di terminare l’esercizio della propria attività e chiedere il fallimento; la risposta era stata principalmente negativa, non rinvenendosi un motivo reale e/o utile per i creditori tale da poter giustificare il postergarsi della dichiarazione di fallimento.
Prendendo le mosse da queste questioni, il Tribunale di Piacenza, con la decisione in esame, affronta la tematica chiarendo innanzitutto che la voluntas legi opera sull’irrilevante piano soggettivo delle intenzioni, mentre sul concreto piano oggettivo la norma non contiene un riferimento espresso all’art. 14 L.F., che disciplina in modo specifico il ricorso per fallimento in proprio dell’imprenditore.
Secondo il Tribunale era rilevante il fatto che, nella fattispecie in esame, la situazione di insolvenza si fosse già manifestata in data antecedente al 9 marzo 2020 e risultasse già dal bilancio d’esercizio 2018; inoltre, era lo stesso imprenditore ricorrente che, all’udienza di verifica della sussistenza dei presupposti per la dichiarazione del proprio fallimento, insisteva per la declaratoria, dando così dimostrazione del proprio disinteresse ad avvalersi degli effetti protettivi del D.L. 23/2020.
È appena il caso di precisare che, tra le proposte emendative in sede di conversione, al momento in cui si scrive è al vaglio della Camera dei Deputati, in prima lettura, la modifica dell’art. 10 del D.L. 23/2020.
Tra le proposte, in particolare, figura la sostituzione del comma 2 con il seguente: “2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano: 1) al ricorso presentato dall’imprenditore in proprio, quando l’insolvenza non è conseguenza dell’epidemia COVID-19; 2) alle istanze di fallimento da chiunque formulate ai sensi degli articoli 162, secondo comma, 173, secondo e terzo comma, 180, settimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; 3) alla richiesta presentata dal pubblico ministero quando nella medesima è fatta domanda di emissione dei provvedimenti di cui all’articolo 15, ottavo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, o quando la richiesta è presentata ai sensi dell’articolo 7, numero 1), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.
Con tale modifica, dunque, il Legislatore dovrebbe consentire all’imprenditore, la cui insolvenza non è dipesa dall’epidemia Covid-19, di poter richiedere il fallimento della propria impresa.
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