ISSN 2385-1376
Testo massima
Con riferimento all’effetto interruttivo automatico conseguente all’apertura del fallimento ex art.43 comma 3, Legge fallimentare, il termine per la riassunzione del processo decorre, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 305 cpc, dalla data della legale conoscenza che dell’evento interruttivo ha avuto la parte interessata alla prosecuzione del procedimento.
La parte che eccepisce l’estinzione per tardiva riassunzione può comunque provare che la conoscenza in forma legale dell’evento si è verificata antecedentemente alla dichiarazione in giudizio dell’evento medesimo.
Lo ha statuito la Corte di Cassazione, con sentenza n. 5650 del 07/03/2013, all’esito di una vertenza che ha avuto origine con la condanna, in primo grado, di una società al pagamento in favore del proprio dipendente di una somma di denaro dovuta a titolo di differenze retributive.
La sentenza di primo grado fu impugnata, ma all’udienza di discussione, il lavoratore – appellato – eccepiva il sopravvenuto fallimento della società – appellante – ed alla Corte d’appello non rimaneva che dichiarare l’interruzione del giudizio.
A questo punto il giudizio fu riassunto dal curatore fallimentare, ma l’appellato eccepiva l’intervenuta estinzione del giudizio per effetto del decorso del termine di sei mesi che riteneva essere decorso a partire dalla sentenza dichiarativa del fallimento o al più tardi dalla data in cui il lavoratore aveva presentato istanza di ammissione al passivo fallimentare nella quale tuttavia, mancava una espressa indicazione del giudizio in essere tra la fallita, allora in bonis, e il lavoratore.
La Corte d’appello dichiarava l’estinzione del procedimento in forza di quanto disposto dall’art. 43, comma 3, Legge fallimentare che prevede l’automatica interruzione del processo a seguito dell’apertura del fallimento.
La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione proposta dal curatore fallimentare, ha però disatteso la questione riguardante la possibilità di configurare la disciplina dettata dall’art. 43, comma 3, Legge fallimentare come causa di interruzione automatica del giudizio.
L’art. 43, comma 3, Legge fallimentare prescrive che l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo, ma tale disposizione deve essere coordinata con quanto disposto dall’art. 300 cpc e dall’art. 305 cpc.
L’art. 300 cpc prevede infatti che la perdita della capacità di stare in giudizio di una parte che si è costituita a mezzo procuratore comporta come conseguenza l’obbligo di dichiarare tale situazione sopravvenuta in udienza o, altrimenti, è necessario portare a conoscenza tale situazione altre parti tramite notificazione. Dal momento della dichiarazione o della notificazione, il processo è infatti interrotto a meno che non avvenga la costituzione volontaria o la riassunzione del processo.
A norma dell’art. 305 cpc la riassunzione del processo interrotto deve poi avvenire entro il termine di tre mesi (sei mesi nella formulazione previgente) sotto comminatoria di estinzione del giudizio.
Alla luce del richiamato dettato normativo, la Cassazione ritiene dunque che l’art. 43, comma 3, Legge fallimentare non determina un’ipotesi di interruzione automatica di diritto dei processi.
L’effetto interruttivo sancito dall’art. 43, comma 3, Legge fallimentare si pone invero sul piano delle preclusioni in quanto l’apertura del fallimento vieta ogni ulteriore attività processuale che, se compiuta, è causa di nullità degli atti successivi e della sentenza.
L’apertura del fallimento non implica invece, necessariamente, la decorrenza del dies a quo del termine per la riassunzione.
Per poter individuare il momento di decorrenza del termine per la riassunzione, la Cassazione ritiene invece necessario interpretare la previsione contenuta nell’art. 305 cpc nell’ottica di garantire l’adeguatezza del diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. e l’effettività del contraddittorio tra le parti.
La Cassazione evidenzia sul punto che il termine per la riassunzione o per la prosecuzione del processo interrotto decorra pertanto dalla data di effettiva “conoscenza legale” dell’evento interruttivo.
Con riferimento alla ipotesi dell’interruzione del processo determinata dall’apertura del fallimento ai sensi dell’art. 43, comma 3, Legge fallimentare, non è dunque sufficiente ai fini del decorso del termine di riassunzione la sola conoscenza da parte del curatore fallimentare dell’evento interruttivo rappresentato dalla dichiarazione di fallimento.
È infatti necessaria la conoscenza dello specifico giudizio sul quale l’effetto interruttivo è concretamente destinato ad operare.
La conoscenza deve inoltre essere “legale” cioè deve essere acquisita non in via di mero fatto, ma attraverso una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento che determina l’interruzione del processo, assistita da fede privilegiata.
Da quanto sin qui affermato e, con riferimento al caso di specie, gli ermellini hanno così dichiarato l’inidoneità degli atti presi in considerazione dai giudici di appello ai fine del decorso del termine per la riassunzione perché non configuranti una conoscenza legale nei termini indicati.
Per cui al fine del decorso del termine di riassunzione non è sufficiente la sola conoscenza da parte del curatore dell’evento interruttivo rappresentato dalla dichiarazione di fallimento ma è necessaria anche la CONOSCENZA LEGALE dello specifico giudizio sul quale il detto effetto interruttivo è in concreto destinato ad operare.
Per la Cassazione questa è la soluzione più idonea a garantire le esigenza di tutela del diritto di difesa e di effettività del contraddittorio perché in questo modo si evita che la parte colpita dall’evento possa essere esposta al pericolo del maturare di preclusioni a suo danno, in base ad una conoscenza acquisita non per il tramite di atti assistiti da fede privilegiata.
La dimostrazione della legale conoscenza dell’evento in data anteriore al semestre precedente la riassunzione del processo – nella formulazione previgente dell’art. 305 cpc – incombe inoltre sulla parte che ne eccepisce l’intempestività, non potendo farsi carico all’altra dell’onere di fornire una prova negativa.
Da detta sentenza emerge in modo chiaro la circostanza per cui, il deposito di una domanda di ammissione al passivo la quale contenga in sé l’espressa indicazione di un contenzioso in essere tra la fallita e il creditore possa essere un elemento sul quale fondare la conoscenza legale idonea a far decorrere i termini per la riassunzione del giudizio.
Principi quelli espressi dalla sentenza in esame che trovano altresì conferma in una recente pronuncia del Tribunale di Taranto, peraltro già oggetto di commento in questa rivista, in forza della quale è stato statuito che il curatore fallimentare può venire a conoscenza “legale” dell’evento interruttivo del procedimento solo per il tramite di un atto proveniente dal processo: fattispecie che si può realizzare, in termini analoghi rispetto a quanto avviene con deposito della domanda di ammissione al passivo, anche attraverso la comunicazione effettuata al curatore del fallimento da parte del difensore del soggetto fallito a mezzo raccomandata attraverso cui viene data informazione dell’evento interruttivo (si rinvia a Tribunale di Taranto, sentenza, Giudice dott. Claudio Casarano 27 marzo 2013)
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2534-2011 proposto da:
FALLIMENTO ALFA;
– ricorrente –
contro
P.A.;
– CONTRORICORRENTE –
avverso la sentenza n. 7323/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 15/01/2010 r.g.n. 6737/05;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Benevento, in accoglimento della domanda di P. A., condannava la ALFA SRL al pagamento in favore della parte ricorrente della somma di Euro 563.149,85 a titolo di differenze retributive, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
La decisione era tempestivamente impugnata dalla società. All’udienza di discussione del 16 gennaio 2008 la parte appellata eccepiva il fallimento della società nelle more intervenuto e la Corte dichiarava interrotto il giudizio.
La curatela del Fallimento riassumeva il giudizio con ricorso depositato il 16 luglio 2008.
All’udienza del 13 maggio 2009, fissata in esito alla riassunzione l’appellata eccepiva l’intervenuta estinzione del giudizio per decorso del termine di sei mesi che assumeva decorrere dalla sentenza dichiarativa di fallimento del (OMISSIS) o, al più tardi, dal (OMISSIS) data in cui essa appellata aveva presentato istanza di ammissione al passivo fallimentare. La causa veniva quindi rinviata ad altra udienza con concessione alla curatela di termine per note e per deposito di documenti. All’esito della udienza di rinvio la Corte dichiarava la estinzione del procedimento in grado di appello. I giudici del gravame, richiamata la documentazione prodotta dall’appellata (sentenza dichiarativa di fallimento, missiva del 6.8.2007 con la quale il curatore, nel comunicare la intervenuta dichiarazione di fallimento avvisava l’appellata che l’adunanza dei creditori si sarebbe tenuta il 17.11.2007, istanza del 4/5 .10.2007 di ammissione al passivo) premettevano che la L. Fall., art. 43, u.c. (comma aggiunto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 41), applicabile alla fattispecie in esame ai sensi del D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 153 aveva previsto l’automatica interruzione del processo a seguito dell’apertura del fallimento. Osservavano che ai fini della riassunzione del procedimento interrotto il termine semestrale di cui all’art. 305 cod. proc. civ., in coerenza con la indicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 139 del 1967, iniziava a decorrere dal momento della conoscenza legale dell’evento interruttivo in capo alla parte interessata alla riassunzione e quindi, nel caso de qua, dell’appellante; esso pertanto decorreva “se non dalla pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento – 23.7.2007 – certamente dal 6 agosto 2007 (comunicazione dell’intervenuta dichiarazione di fallimento dell’ALFA SRL con la quale il curatore avvisava l’appellato che l’adunanza dei creditori per la formazione dello stato passivo si sarebbe tenuta il 7.11.2007) o, a tutto voler concedere, dal 4/5.10.2007 (istanza di ammissione al passivo per gli importi dovuti in forza della sentenza n. 185 /2004 del Tribunale di Benevento)”.
In base a tale rilievo i giudici di appello ritenevano che alla data del deposito del ricorso in riassunzione – il 16 luglio 2009 – il termine semestrale stabilito dall’art. 305 cod. proc. civ. per la riassunzione, era ormai decorso ed il giudizio pertanto estinto stante la tempestiva eccezione della parte appellata, eccezione formulata, ai sensi dell’art. 307 cod. proc. civ., prima di ogni altra difesa all’udienza del 13.5.2009 fissata in esito al ricorso in riassunzione del giudizio da parte della curatela fallimentare. I giudici di appello escludevano che il termine per la riassunzione potesse farsi decorrere, come sostenuto dalla curatela, dalla data del provvedimento giudiziale che aveva dichiarato la interruzione osservando che nei casi di interruzione automatica, nessuna rilevanza riveste la pronuncia del giudice – che ha natura meramente dichiarativa – per il perfezionamento della fattispecie interruttiva. Per la cassazione della decisione propone ricorso la curatela del fallimento della ALFA SRL sulla base di sette motivi.
Con il PRIMO motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 416, 436 e 437 cod. proc. civ. per non avere la Corte territoriale rilevato la decadenza della parte appellata dal diritto di proporre l’eccezione di estinzione; tale eccezione – osserva – quale eccezione in senso stretto, soggiace alle preclusioni di cui all’art. 416 cod. proc. civ. richiamato per il giudizio di appello dall’art. 436 cod. proc. civ.. Sostiene quindi che, non essendosi la parte appellata costituita anteriormente al termine di dieci giorni dalla data dell’udienza di discussione del 13 maggio 2009 fissata in esito al deposito del ricorso in riassunzione, la eccezione di estinzione, in quanto formulata solo in detta udienza, sarebbe ormai preclusa.
Con il SECONDO motivo di ricorso deduce il difetto di motivazione in ordine alle ragioni per le quali la Corte territoriale ha ritenuto tempestiva la eccezione di estinzione. Censura che la valutazione di tempestività dell’eccezione di estinzione sia stata effettuata con esclusivo riferimento all’art. 307 cod. proc. civ., nel testo antecedente alla modifica del D.Lgs. n. 40 del 2006, senza tener conto dei termini di decadenza stabiliti dall’art. 416 cod. proc. civ. (richiamato dall’art. 436 cod. proc. civ. per il giudizio di appello) per la proposizione delle eccezioni in senso stretto.
Con il TERZO motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 43, degli artt. 101, 300, 304, 305 e 307 cod. proc. civ. , dell’art. 12 Preleggi e dell’art. 24 Cost.. Contesta in primo luogo che la L. Fall., art. 43, comma 3, preveda un’ipotesi di interruzione automatica del giudizio. Richiama a tal fine le ipotesi di interruzione automatica previste dal’art. 299 c.p.c. e segg. evidenziando come in questi ultimi casi la ratio a base della previsione di automaticità dell’effetto interruttivo risieda nella esigenza di garantire la possibilità di adeguata difesa e di effettività del contraddittorio nei confronti della parte colpita dall’evento prima della sua costituzione, o della parte che sta in giudizio personalmente o che, costituita, sia rimasta priva di ius postulandi per eventi riferiti al procuratore , esigenza questa non ravvisabile nel caso in cui la parte, poi dichiarata fallita, sia costituita a mezzo procuratore. Sostiene che, poichè la previsione di tale automatismo con riferimento alla parte costituita a mezzo procuratore si configura come un’anomalia del sistema e posto che la nuova formulazione della L. Fall., art. 43, non ha modificato espressamente la legge processuale nè contiene elementi dai quali desumere che il legislatore abbia inteso porre in proposito regole “eccentriche” rispetto a quelle ormai accolte dall’art. 305 cod. proc. civ. nella sua lettura costituzionalmente orientata, la interruzione non potrebbe che essere condizionata alla dichiarazione in udienza dell’evento da parte del procuratore.
In ogni caso – afferma -, anche a volere ritenere in base al testo novellato della L. Fall., art. 43, che alla dichiarazione di fallimento consegua in via automatica l’effetto interruttivo del giudizio, l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma imporrebbe, ai sensi degli artt. 305 e 307 cod. proc. civ., che legano l’estinzione del giudizio alla mancata riassunzione entro il termine perentorio legislativamente fissato dalla interruzione, di far decorrere detto termine dal provvedimento giudiziale dichiarativo del verificarsi dell’effetto interruttivo. Richiama, a sostegno di tale tesi, la giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 139 del 1967, in tema di eventi riferiti alla parte non costituita e n. 159 del 1971, in tema di morte o di perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti o del suo rappresentante legale o di cessazione di tale rappresentanza, qualora l’evento interruttivo si veri fichi prima della costituzione) che ha interpretato il disposto dell’art. 305 cod. proc. civ. nel comb. disp. con gli artt. 299 e 301 cod. proc. civ., sancendone la incostituzionalità per contrarietà all’art. 24 Cost., laddove dispone che il processo deve essere riassunto nel termine di sei mesi dall’interruzione anzichè dalla conoscenza in forma legale che la parte interessata alla riassunzione ha avuto della stessa.
Osserva che, diversamente, si vincolerebbe la parte alla riassunzione di un processo quando il giudice non ha ancora accertato i presupposti richiesti dalla legge per la sua interruzione e, nel contempo, se ne precluderebbe la riassunzione in caso di dichiarazione dell’evento interruttivo successiva al decorso del termine. Questa soluzione – assume – contrasta con gli artt. 305 e 307 cod. proc. civ. perchè introduce una ipotesi di estinzione non contemplata dal codice di rito di talchè si impone , ai sensi dell’art. 12 preleggi una interpretazione estensiva ed analogica mancando nell’ordinamento una specifica norma processuale destinata a colmare la lacuna evidenziata.
Sotto altro profilo parte ricorrente segnala i rischi collegati all’ignoranza dell’evento da parte del curatore, ignoranza che potrebbe impedire alla parte interessata il compimento del tempestivo atto di riassunzione; rileva che la conoscenza legale da parte del curatore non potrebbe ritenersi realizzata con riferimento alla sola sentenza dichiarativa di fallimento occorrendo anche la conoscenza legale della pendenza del giudizio relativo a rapporti patrimoniali del fallito, diversamente risultandone vulnerati il diritto di difesa ex art. 24 Cost. e la effettività del contraddittorio posti a base delle richiamate sentenze costituzionali.
Tale conoscenza non potrebbe ritenersi raggiunta in base alla istanza di insinuazione al passivo che consente al curatore solo di apprendere della esistenza di un credito scaturente da sentenza ma non anche della circostanza che il relativo giudizio sia pendente; nè alla mancata conoscenza da parte del curatore potrebbe supplirsi con l’obbligo di tempestiva informazione della curatela a carico del difensore del fallito, analogamente a quanto accade per gli eredi del defunto i quali, ben a conoscenza dell’evento morte, potrebbero essere ignari della pendenza della lite (Corte cost. n. 136 del 1992, n. 151 del 2000). Il difensore della parte dichiarata fallita infatti potrebbe non avere conoscenza dell’evento. In conclusione, secondo parte ricorrente, ai fini della riassunzione, il dies a quo non potrebbe che essere ancorato al provvedimento giudiziale di interruzione oppure alla conoscenza che il curatore abbia della pendenza del giudizio o , al più, alla conoscenza che del fallimento ha avuto il difensore della parte dichiarata fallita.
Con il QUARTO motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 300, 305 e 307 cod. proc. civ.. Viene denunziato l’error in procedendo dei giudici di appello con esplicito richiamo alle ragioni poste a fondamento del motivo precedente.
Con il QUINTO motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,il difetto di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta automaticità dell’effetto interruttivo conseguente all’apertura del fallimento ed alla individuazione del dies a quo di decorrenza del termine per la riassunzione, anche con riferimento alla esclusione di rilevanza a tal fine del provvedimento giudiziale dichiarativo dell’interruzione.
Sostiene la non pertinenza della sentenza di questa Corte (Cass. ss.uu. n. 7443 del 2008) richiamata nella decisione impugnata poichè la stessa concerne la diversa ipotesi dell’evento interruttivo che colpisce la parte costituita, stabilendo che l’interruzione non opera automaticamente essendo condizionata alla dichiarazione in udienza del suo verificarsi.
Con il SESTO motivo di ricorso deduce , ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. anche in relazione agli artt. 2727 e 2729 cod. civ., e alla L. Fall., art. 43 – dell’art. 2967 c.c. in relazione agli artt. 115,116, 300, 305, e 307 cod. proc. civ. e alla L. Fall., art. 43. Sostiene parte ricorrente che la decisione è frutto della non corretta applicazione della regola sulla ripartizione dell’onere probatorio sancita dell’art. 2967 cod. civ. dovendo farsi carico alla parte eccipiente di provare che prima del 16 gennaio 2008 il procuratore (della parte poi dichiarata fallita) era a conoscenza del fallimento o che comunque il curatore era a conoscenza della pendenza del giudizio e quindi la tardività della riassunzione (Cass. 14691/99 4203/01 3085/2010). Ribadisce che nella istanza di ammissione al passivo prodotta da controparte all’udienza collegiale del 13.5.2009 non vi è alcun riferimento alla pendenza del giudizio di appello. Afferma l’errore della sentenza impugnata per non avere considerato che è la parte fallita a dover dichiarare l’evento o al limite prenderne atto nel caso in cui in udienza sia la controparte a dedurne la esistenza (Cass. 1374 del 1987).
Con il SETTIMO motivo di ricorso parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 43, e del D.Lgs. n. 5 del 2006, artt. 150 e 153 con riferimento anche alla L. n. 80 del 2005 ed agli artt. 10 e 11 Preleggi, per avere la sentenza impugnata ritenuta applicabile la disciplina posta dalla L. Fall., art. 43, ad un giudizio pendente all’epoca della sua entrata in vigore . Ciò in contrasto con il principio di irretroattività per cui una norma processuale trova applicazione solo ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore. Deduce infine la illegittimità costituzionale dell’art. 43, cit. u.c., in relazione alla Legge Delega n. 80 del 2005, art. 1 ed agli artt. 3, 24, e 76 Cost.. In particolare assume il difetto di delega in merito alla possibilità di introdurre ipotesi di modifica del procedimento civile e di stabilire la retroattività di tali effetti.
La parte intimata ha depositato controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Parte ricorrente ha depositato note di udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve essere disattesa la preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, formulata dalla parte intimata. Tale eccezione è stata fondata sul rilievo che la curatela ricorrente avrebbe omesso di precisare alcune circostanze della vicenda processuale, così pregiudicando – si assume – la possibilità per il Collegio della completa e chiara visione dell’oggetto della impugnazione, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti. Invero tale eccezione è formulata in termini del tutto generici. In presenza di un ricorso che contiene una non sintetica ricostruzione della vicenda processuale (v. ricorso, pag. da 1 a 6), nonchè una articolata esposizione sia degli elementi posti a base della decisione impugnata sia delle ragioni di fatto e di diritto per le quali di tale decisione è chiesta la cassazione, era onere della parte controricorrente specificare con riferimento ai singoli motivi la rilevanza che l’omissione di alcune circostanze assumeva ai fini dell’adeguata conoscenza dei fatti di causa da parte del Collegio. In particolare, con riferimento alla deduzione dell’omesso richiamo in ricorso, della comunicazione in data 9 gennaio 2008 prodotta dalla parte appellata all’udienza fissata in esito alla riassunzione, (comunicazione con la quale il curatore avvisava la odierna controricorrente dell’ammissione al passivo “con riserva dell’esito del giudizio”, dimostrando in tal modo di essere venuto a conoscenza della pendenza del giudizio) si rileva che poichè tale documento non era stato posto a base della decisione impugnata, il riferimento allo stesso nel ricorso non era funzionale alla verifica della fondatezza delle censure alla decisione della Corte di appello. La eccezione va quindi disattesa in ragione della sua genericità senza tuttavia che ciò precluda, in ipotesi, al Collegio l’autonomo rilievo del difetto di autosufficienza in relazione al singolo specifico motivo ricorrendone le condizioni.
Tanto premesso, passando all’esame dei motivi di ricorso si ritiene, per ragioni di ordine di ordine logico – giuridico, che debba essere affrontata con carattere di priorità la questione posta con il settimo motivo con il quale si contesta l’applicabilità alla fattispecie in esame del disposto della L. Fall., art. 43, u.c., sul rilievo che, diversamente, si consentirebbe, in violazione del principio di irretroattività della legge di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, la possibilità per una norma processuale di produrre i suoi effetti in relazione ad un giudizio di merito già pendente alla data della sua entrata in vigore.
Il motivo è infondato.
La modifica alla L. Fall., art. 43, introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 41 trova applicazione ai sensi dell’art. 153 D.Lgs. cit. a partire dal 16 luglio 2006. Essa era quindi vigente alla data della sentenza dichiarativa di fallimento del Tribunale di Benevento intervenuta il (OMISSIS). Non giova, nel senso preteso da parte ricorrente, il richiamo alla disciplina transitoria dettata dall’art. 150 D.Lgs. cit. che stabilisce che i ricorsi per la dichiarazione di fallimento e le domande di concordato fallimentare pendenti alla stessa, sono definite secondo la legge anteriore; nel caso di specie infatti non si tratta di applicare le norme che regolano la procedura concorsuale, comunque avviata successivamente al 16 luglio 2006 e, quindi regolata dalle nuove disposizioni, quanto piuttosto di applicare ai processi pendenti la nuova disciplina processuale già in vigore all’epoca della dichiarazione di fallimento. E’ poi da rilevare che il principio di irretroattività sancito dall’art. 11 preleggi, che regola l’efficacia della legge nel tempo, non ha copertura costituzionale al di fuori dell’ambito delle norme penali incriminatrici, e può quindi essere derogato dalla legge ordinaria, per cui anche sotto questo profilo, è da escludere la sussistenza della violazione denunziata (ex plurimis, v. Cass. n. 18955 del 2005).
Il primo ed il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente stante la evidente connessione in quanto entrambi attinenti – sotto il profilo della violazione di legge e sotto il profilo del vizio di motivazione – alla verifica della decadenza della parte appellata dal diritto di proporre la eccezione di estinzione. Assume infatti parte ricorrente che la eccezione in oggetto è tardiva. Il rilievo non è fondato. La eccezione di estinzione per tardiva riassunzione del processo interrotto così come quella avente ad oggetto la tardività della eccezione di estinzione, sono eccezioni in senso stretto, soggette nel rito del lavoro alle preclusioni sancite dall’art. 416 cod. proc. civ. (Cass. 2587 del 2007), richiamato nel giudizio di appello dall’art. 436 c.p.c., u.c.. Parte ricorrente nel sostenere la tardività della eccezione di estinzione formulata dalla appellata, avrebbe dovuto in ricorso (e non solo nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. che ha funzione illustrativa e non integrativa dell’atto di impugnazione) dedurre di avere tempestivamente sollevato tale eccezione all’udienza del 13 maggio 2009 o, al più tardi, vista la richiesta di esame della documentazione depositata da controparte nelle note a tal fine autorizzate. In difetto di tale presupposto risulta quindi preclusa ogni verifica nel merito in ordine alla dedotta tardività della eccezione di estinzione. I motivi terzo, quarto, quinto e sesto stante la evidente connessione vanno esaminati congiuntamente. Parte ricorrente contesta in primo luogo che, come ritenuto in sentenza, la disciplina dettata dalla L. n. 267 del 1942, art. 43, comma 3 aggiunto dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 41 delinei un’ipotesi interruzione automatica del giudizio.
L’assunto non ha pregio.
Che con la L. Fall., art. 43, u.c., si sia inteso introdurre una ipotesi di interruzione di diritto dei processi riguardanti il soggetto dichiarato fallito, emerge oltre che dal chiaro tenore letterale della norma “L’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo”, anche dalla ratio della stessa, quale esplicitata nella relazione governativa di accompagnamento a chiarimento della previsione. In essa si sottolinea infatti la esigenza di accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in materia fallimentare e l’intento di evitare che il processo possa essere interrotto a distanza di tempo qualora le parti informino formalmente il giudice ai sensi dell’art. 300 cod. proc. civ.. Nel senso che la L. Fall., art. 43, u.c., colleghi all'”apertura del fallimento” l’effetto interruttivo automatico del processo riguardante il fallito si sono già espresse questa Corte (v. richiamo operato in Cass. ss.uu. n. 7443 del 2008) e la Corte costituzionale (Corte cost. n. 17 del 2010). Quanto ora rilevato consente di superare i dubbi avanzati da parte ricorrente sulla possibilità di un’interpretazione della norma in esame come destinata ad introdurre un’ipotesi anomala di interruzione automatica riferita alla parte costituita, a mezzo di procuratore, interpretazione che si sostiene essere in conflitto con le ragioni di garanzia del contraddittorio sottese all’istituto dell’interruzione.
L’affermazione non è corretta. Conseguenza dell’automatismo dell’effetto interruttivo è la preclusione di ogni ulteriore attività processuale che, se compiuta, sarà causa di nullità degli atti successivi e della sentenza (v. ex multis, Cass. n. 2268 del 2010, n. 3459 del 2007); esso non implica anche, necessariamente, la decorrenza del dies a quo del termine per la riassunzione dalla data del verificarsi dell’evento.
La previsione di cui all’art. 305 cod. proc. civ. deve essere interpretata – al fine di individuare il momento preciso dell’inizio della decorrenza di quel termine – alla luce di quanto stabilito dalle note sentenze n. 139 del 1967, n. 178 del 1970, n. 159 del 1971, n. 36 del 1976 della Corte costituzionale e della esigenza nelle stesse sottolineata di garantire l’adeguatezza del diritto di difesa in particolare sotto il profilo della effettività del contraddittorio ; questo sia con riguardo alla parte colpita dall’evento che con riguardo alla parte cui l’evento interruttivo non si riferisce ma che comunque deve essere posta in grado di conoscere se esso si sia o meno verificato e, in caso positivo, essere posta in condizioni di sapere se e da quale momento, anche per la controparte, decorre il termine semestrale per la riassunzione.
Nelle sentenze n. 36 del 1976, n. 159 del 1971 e n. 139 del 1967 la Corte ha ribadito la necessità costituzionalmente imposta che il termine per la riassunzione o per la prosecuzione del processo civile interrotto decorra dalla data di effettiva conoscenza dell’evento interruttivo; è stato altresì sottolineato che “il diritto di difesa deve essere assicurato in modo effettivo ed adeguato, nel rispetto della esigenza di non rendere impossibile il contraddittorio che non si può svolgere senza la conoscenza delle situazioni di fatto oggettive e soggettive cui la legge collega il concreto esercizio di quel diritto” (Corte cost. sent, n. 17 del 2010). In questa prospettiva, proprio alla luce della possibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 305 cod. proc. civ., è stata esclusa la illegittimità della detta previsione nella parte in cui fa decorrere dalla interruzione del processo per l’apertura del fallimento, ai sensi del R.D. n. 267 del 1942, art. 43, comma 3 e non dalla data di “effettiva” conoscenza dell’evento interruttivo, il termine per la riassunzione ad opera di parte diversa da quella dichiarata fallita (Corte Cost. sent n. 17 del 2010).
Sulla necessità, di un’interpretazione costituzionalmente orientata del disposto dell’art. 305 cod. proc. civ. ha, del resto, espressamente convenuto la sentenza impugnata che ha fatto decorrere il dies a quo del termine per la riassunzione dal momento della conoscenza che il curatore aveva avuto del verificarsi dell’evento interruttivo, identificato, in estrema sintesi, con la data (5.10.1997) di presentazione della istanza di ammissione al passivo per gli importi dovuti in forza della sentenza del Tribunale di Benevento.
In linea con la giurisprudenza costituzionale questa Corte ha ripetutamente affermato che l’art. 305 c.p.c. deve essere interpretato nel senso che il termine per la riassunzione o la prosecuzione del processo, interrotto per morte o per impedimento del difensore, decorre non già dal giorno in cui si è verificato l’evento interruttivo, bensì da quello in cui lo stesso evento è venuto a conoscenza della parte interessata alla riassunzione, in forma legale, ossia attraverso una dichiarazione, notificazione o certificazione, non essendo sufficiente la conoscenza altrimenti acquisita dalla stessa parte (vedi, tra le altre, Cass. n. 11162 del 2003, n. 6654/del 2003, n. 440 del 2002, n. 4691 del 1999).
E’ stato in particolare precisato che la legge, “attribuisce valore di mezzo di conoscenza legale del fatto in esso rappresentato solo alla dichiarazione proveniente dal procuratore, laddove, ovviamente l’evento interruttivo colpisca la parte rappresentata (art. 300 c.p.c., comma 1), ma non riconosce un analogo effetto anche alla dichiarazione fatta dalla parte personalmente, nel caso inverso di morte del proprio difensore ; in tal caso la dichiarazione, di per sè, è di mera scienza privata e non è assistita da alcuna particolare fede privilegiata. La formula “conoscenza legale” sembra infatti stare ad indicare non solo il mezzo di diffusione della notizia, ma anche la fonte dalla quale essa proviene” (Cass. n. 4851 del 2012). La dimostrazione della legale conoscenza dell’evento in data anteriore al semestre precedente la riassunzione del processo incombe sulla parte che ne eccepisce l’intempestività, non potendo farsi carico all’altra dell’onere di fornire una prova negativa (ex plurimis: Cass. n. 3085 del 2010 cit., n. 4203/01).
Questa Corte ha altresì ritenuto che la dichiarazione formale dell’evento interruttivo, al fine del decorso del termine per la riassunzione, può provenire anche dalla parte diversa da quella alla quale si riferisce l’evento medesimo, posto che nè l’art. 305 cod. proc. civ. nè altra norma processuale prescrivono che tale dichiarazione debba provenire dalla parte che ha subito l’evento ovvero che debba essere quest’ultima ad avere l’onere di attivarsi per la prosecuzione o la riassunzione del processo, ed atteso che ciascuna parte processuale, e quindi anche quella estranea all’evento interruttivo, può avere interesse ad una pronta e rapida ripresa del processo interrotto. (Cass. n. 3085 del 2010, cit.).
E’ stato poi chiarito che l’esigenza della conoscenza legale si configura sia in relazione alla parte estranea all’evento interruttivo sia con riguardo alla parte da detto evento coinvolta atteso che – come osservato dal giudice costituzionale nella sentenza n. 139 del 1967 – “il sistema deve essere considerato in modo globale, cioè non solo per quanto giova al soggetto rimasto privo di procuratore, ma anche per quel che gli nuoce: ciò vale a dire che una interpretazione della norma costituzionalmente orientata nel senso del bilanciamento degli interessi in conflitto impone di non ritenere sufficiente che mediante l’interruzione automatica la parte sia preservata dal rischio del compimento di attività processuale in suo danno, occorrendo anche, per la piena tutela del suo diritto di difesa, che detta parte sia posta al riparo dal pericolo che, persistendo la sua ignoranza, maturino preclusioni a suo carico” (Cass. 20361 del 2008).
Nell’ottica di bilanciamento degli interessi in conflitto e della necessità di tutela della parte coinvolta nell’evento interruttivo è stato esclusa rilevanza, ai fini del decorso del termine di riassunzione, alla conoscenza di fatto altrimenti acquisita. (Cass. n. 2340 del 1996).
Alla luce dei richiamati principi reputa il Collegio che, con riferimento alla ipotesi dell’interruzione del processo determinata dall’apertura del fallimento ai sensi della L. Fall., art. 43, u.c., al fine del decorso del termine di riassunzione, non è sufficiente la sola conoscenza da parte del curatore dell’evento interruttivo rappresentato dalla dichiarazione di fallimento ma è necessaria anche la conoscenza dello specifico giudizio sul quale il detto effetto interruttivo è in concreto destinato ad operare.
La conoscenza deve inoltre essere “legale” nel senso sopra chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte; deve cioè essere acquisita non in via di mero fatto ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento che determina l’interruzione del processo, assistita da fede privilegiata. Tale soluzione risulta quella più idonea a garantire le esigenza di tutela del diritto di difesa e di effettività del contraddittorio evitando che, come paventato dai giudici costituzionali nelle sentenze sopra richiamate, la parte colpita dall’evento e cioè nel caso di specie la società poi dichiarata fallita e per essa la Curatela, possa essere esposta al pericolo del maturare di preclusioni a suo danno, in base ad una conoscenza acquisita non per il tramite di atti assistiti da fede privilegiata, gli unici idonei ad offrire compiuta certezza dell’evento (e del processo sul quale esso è destinato a spiegare l’effetto interruttivo). La necessità di garantire l’effettività del diritto di difesa risulta ancor più avvertita se si considerano le esigenze che la procedura fallimentare è preordinata ad assicurare nonchè la particolare posizione del curatore quale portatore di un interesse che non coincide con quello del fallito e che nel procedimento di verifica gli fa assumere una posizione di terzietà, quale espressione dell’interesse della massa alla conservazione del patrimonio fallimentare, sia nei confronti dei creditori concorsuali sia nei confronti del medesimo fallito (ex plurimis: Cass. nn. 5494 del 2012, 24693 del 2010, 5582 del 2005).
Da quanto sopra, con riferimento al caso di specie, scaturisce la inidoneità, degli atti presi in considerazione dai giudici di appello al fine del decorso del termine per la riassunzione, perchè non configuranti una forma di conoscenza legale nei termini sopra indicati. La parte appellata che ne era onerata (avendo eccepito la tardività della riassunzione), non ha offerto prova della legale conoscenza dell’evento da parte della curatela fallimentare in data anteriore al semestre precedente il deposito del ricorso in riassunzione. Ne deriva che in mancanza di prova di notificazioni provenienti dalla controparte, il primo atto idoneo a determinare il decorso del termine per la riassunzione è la dichiarazione resa dal difensore della parte appellata all’udienza del 16.1.2008, in base alla quale la Corte territoriale emetteva ordinanza di interruzione del giudizio. Nè possono esservi dubbi sulla idoneità di tale dichiarazione a determinare la legale conoscenza per la curatela fallimentare dell’evento interruttivo, stante l’obbligo gravante sul procuratore (della parte poi dichiarata fallita), quale mandatario, di rendere nota la circostanza alla curatela, obbligo scaturente dalla disciplina sostanziale in tema di mandato ed in particolare dal comb. disp degli artt. 1728 e 1710 cod. civ., come sottolineato dalla Corte costituzionale (Corte cost. n. 136 del 1992).
Il ricorso va quindi accolto, conseguendone la irrilevanza della prospettata questione di costituzionalità.
Alla cassazione della decisione segue il rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Napoli in altra composizione la quale si conformerà al seguente principio di diritto: “In riferimento all’effetto interruttivo automatico conseguente all’apertura del fallimento ai sensi della L. Fall., art. 43, comma 3, , come novellato a dal D.Lgs. n. 5 del 2006, art. 41 il termine per la riassunzione del processo decorre, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 305 cod. proc. civ., dalla data della legale conoscenza che dell’evento interruttivo ha avuto la parte interessata alla prosecuzione; la parte che eccepisce l’estinzione per tardiva riassunzione, può comunque dimostrare che la conoscenza in forma legale dell’evento (la quale per la curatela fallimentare si estende anche alla conoscenza della pendenza del processo) si è verificata antecedentemente alla dichiarazione in giudizio dell’evento medesimo“.
PQM
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2013
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