Provvedimento segnalato dall’avv. Giorgio Orioli del foro di Ferrara
Il mandato irrevocabile all’incasso, previsto anche nell’interesse del mandatario, è qualificato come semplice mandato a riscuotere somme. Persegue la finalità dell’estinzione dei debiti verso il mandatario, non attraverso il trasferimento della titolarità dei medesimi diritti, realizzata con la loro cessione, ma solamente in maniera indiretta, attraverso il meccanismo di compensazione col debito del mandatario avente ad oggetto il versamento delle somme incassate.
Il difensore di una società cancellata dal registro delle imprese può continuare a rappresentare la parte in sede di riassunzione del processo interrotto, come se l’evento interruttivo non si fosse verificato, quando non ha ricevuto alcuna comunicazione in merito all’avvenuta estinzione della società. In assenza di una tale dichiarazione in udienza fino all’udienza di discussione, la posizione giuridica della parte interessata resta stabilizzata, proseguendo l’iter processuale nello stato anteriore, come se la società continuasse ad essere capace.
La ricorrenza della giusta causa richiesta alla Banca per l’esercizio della facoltà di recesso unilaterale, in base all’art. 1845 c.c., deve essere valutata in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, con particolare riguardo alle caratteristiche dell’andamento del rapporto come convenute tra le parti ed all’esistenza di un concreto ed attuale pericolo al credito ed alle garanzie offerte dal debitore.
Sono questi i principi meritevoli di attenzione della sentenza n. 336 del 31 gennaio 2019, pronunciata dalla Corte d’Appello di Bologna, Pres. Aponte – Rel. Guernelli.
Tale provvedimento presenta alcuni aspetti rilevanti nella quotidiana operatività bancaria.
Il caso fa riferimento ad una controversia fra una società ed una banca. La società lamentava l’inadempimento del mandato conferito alla banca per riscuotere un finanziamento statale, domanda già rigettata in primo grado.
In appello, la società ha censurato la ritenuta inesistenza del danno stante la definitiva esclusione dal finanziamento e l’omessa considerazione del difetto di correttezza e buona fede della banca, la quale non avrebbe esperito i rimedi necessari per rimuovere gli ostacolo all’esecuzione del mandato.
La banca ha resistito all’appello, premettendo che la società era già stata segnalata a sofferenza da altre due banche e ribadendo che il mandato costituiva una mera delega all’incasso per riscuotere somme. Successivamente, vista l’interruzione della causa per due mesi, la banca aveva sollevato questione di ammissibilità, dato che il difensore della società non aveva dichiarato il relativo evento interruttivo.
Il Collegio giudicante ha chiarito le condizioni di applicabilità del principio della c.d. “ultrattività del mandato”, riconoscendone l’applicazione anche nel caso di specie, in cui il difensore della società cancellata dal registro imprese ed estinta, ha continuato a rappresentare la parte in sede di riassunzione del processo interrotto, come se l’evento interruttivo non si fosse verificato.
Si tratta di un principio, oggetto di una lunga elaborazione giurisprudenziale, secondo il quale, nei casi previsti dall’art. 299 c.p.c. (morte o perdita di capacità della parte), qualora l’evento non venga dichiarato o notificato nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione dell’impugnazione.
Nel merito, invece, l’organo giudicante si è soffermato sulla natura del mandato irrevocabile all’incasso, previsto anche nell’interesse del mandatario, evidenziandone anzitutto la finalità solutoria dei debiti verso la banca attraverso il meccanismo di compensazione col debito del mandatario avente ad oggetto il versamento delle somme incassate.
Inoltre – e forse questo è il punto più rilevante della pronuncia – i Giudici hanno affermato che il mandato, non prevedendo alcun obbligo in capo alla banca di garantire alla società l’ottenimento del finanziamento, attribuisce all’istituto di credito solo l’incarico a riscuotere somme, senza cioè comportare in capo alla banca nessun obbligo di attivarsi in vario modo per la riscossione del credito e/o garanzia ulteriore, come invece preteso dalla società mandante che asseriva un presunto inadempimento della banca e chiedeva il risarcimento del danno.
Il Collegio ha, inoltre, ritenuto sussistente, nel caso di specie, una giusta causa di recesso della banca ex art.1845 cc, che “deve essere valutata in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto, con particolare riguardo alle caratteristiche dell’andamento del rapporto come convenute tra le parti ed all’esistenza di un concreto e attuale pericolo ed alle garanzie offerte dal debitore“.
Quindi, la Corte ha osservato che la banca non può essere ritenuta responsabile della mancata erogazione del finanziamento in favore della società cliente in seguito all’avvenuta segnalazione della posizione a sofferenza di quest’ultima presso la Centrale Rischi.
Il Giudice di secondo grado ha evidenziato che non vi è stata un’interruzione abusiva del credito tramite la risoluzione del contratto di mutuo chirografario ovvero con il recesso dal rapporto di c/c.
Appare, pertanto, ragionevole la scelta operata dalla Banca di ritenere probabile l’effettiva incapacità del debitore di far fronte alle obbligazioni assunte.
Alla luce delle suesposte argomentazioni, il Giudice ha rigettato la domanda condannando l’appellante alla rifusione delle spese di lite del grado in favore della banca.
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