L’avvocato Giorgia Viola, del Foro di Napoli, illustra il caso in cui il creditore procedente dopo avere avviato gli atti per l’esecuzione forzata di un bene assume comportamenti incoerenti di inerzia, provocando danni alla procedura. “L’art. 8 del Testo Unico delle Spese di Giustizia (Decreto del Presidente della Repubblica del 30 maggio 2002 n. 112), abrogando e sostituendo l’art. 90 c.p.c., stabilisce che ciascuna parte provvede alle spese degli atti processuali e le anticipa per gli atti necessari al processo quando l’anticipazione è opposta a suo carico dalla legge o dal magistrato”.
Che cosa succede se la parte onerata omette di anticipare le somme poste suo carico?
“Il processo esecutivo” – continua l’avvocato Viola – “non può sicuramente restare sospeso in attesa delle eventuali iniziative del creditore procedente rimasto inerte”.
Tra i poteri di direzione del processo esecutivo spettanti al Giudice dell’Esecuzione, infatti, vi è quello di impartire le direttive ed indicare i termini per lo svolgimento dell’esecuzione che si mantenga entro i limiti di ragionevole durata.
Se è vero che, in assenza di specifica norma, i termini fissati dal Giudice dell’Esecuzione hanno natura ordinatoria e non perentoria; è altrettanto vero che l’inutile decorso dei termini ordinatori determina gli stessi effetti preclusivi della scadenza dei termini perentori e, cioè, impedisce la concessione di un nuovo termine per provvedere agli adempimenti prescritti (nei termini, Cass. 1064/2005).
Tale principio risponde del resto a quello costituzionale di ragionevole durata del processo posto a presidio degli interessi collettivi e se violato genera effetti negativi sull’intero apparato giurisdizionale.
Proprio sulla base di questi presupposti, i vari provvedimenti di chiusura anticipata del processo esecutivo giustificati sulla inerzia del creditore procedente.
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