Testo massima
L’atto
istitutivo del trust (autodichiarato o meno) non può escludersi dall’ambito
applicativo dell’art. 2 comma 49 del D.L. 262/2006 in quanto trattasi di
tipologia negoziale che rientra pienamente nella categoria di quelli
costitutivi di vincoli di destinazione di beni e, quindi, proprio in quanto
tali, soggetti ad imposta ipotecaria e catastale in misura proporzionale.
Così
ha deciso la Commissione Tributaria Regionale di Napoli Sez. 31, con sentenza
9487/31/14 pubblicata il 03/11/2014 in un caso in cui il proprietario di beni
immobili, che li aveva costituiti in trust autodichiarato, sosteneva che tale
forma negoziale non attua alcun trasferimento ad un soggetto terzo, ma si
limita ad apporre un vincolo di destinazione su alcuni suoi beni separandoli
dal suo patrimonio (con conseguente segregazione degli stessi al suo interno), proprio perché il
disponente (settlor) cumula in sé la
qualità anche di trustee , con il compito di gestire i beni stessi a favore di
beneficiari indicati nell’atto costitutivo.
Non
attuandosi alcun trasferimento o arricchimento
patrimoniale a favore di alcuno ma solo un vincolo di destinazione dei
beni conferiti, l’imposta ipocatastale dovrebbe applicarsi in misura fissa.
La
decisione della Commissione Tributaria Napoletana interviene in una materia che
in Italia ha trovato consistente applicazione tanto che il trust, istituto di
origine anglosassone, è nel nostro paese diventato di “moda” per perseguire
molteplici scopi.
È
importante, quindi, brevemente richiamare e delineare i tratti principali di
detto istituto che è complesso e multiforme esistendo “i trusts”, ognuno dei
quali può avere caratteristiche diverse dagli altri sulla base delle esigenze
del singolo disponente.
Orbene,
come abbiamo già accennato il trust è un istituto di origine anglosassone la
cui applicazione nel nostro Ordinamento è stata resa possibile con la Legge 16/10/1989
n° 364 di ratifica ed esecuzione della convenzione dell’Aja del 01/07/1988
sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento.
Il
trust, che letteralmente significa “fiducia” o “affido”, è un particolare
strumento con cui un soggetto (disponente o settlor) affida o
trasferisce, con atto tra vivi o mortis causa, uno o più beni di sua
proprietà ad altro soggetto (trustee) affinché quest’ultimo ne assuma il
controllo e lo gestisca per finalità stabilite dal disponente e nell’interesse
di uno o più beneficiari individuati dallo stesso settlor.
È
possibile che sia nominato un guardiano (protector) con il compito di
vigilare sull’operato del trustee.
L’operazione
si realizza attraverso due negozi, contenuti in un unico atto e per i quali è richiesta
la forma scritta ad probationem: 1) l’atto istitutivo; 2) l’atto di
trasferimento relativo ai beni conferiti in trust.
La
particolarità del trust – che quando è istituito da soggetti residenti in Italia
e con beni che si trovano nel territorio italiano (si parla a tal proposito di
trust interno) è regolato da una legge straniera (generalmente in inglese, in
mancanza nel nostro Ordinamento di norme specifiche in materia)- è dato dal
fatto che il trasferimento dei beni nel relativo fondo è vincolato da un
legame, il c.d. patto di fiducia tra il settlor ed il trustee; il
primo trasferisce al secondo la proprietà del bene ancorché non sia piena, come
di norma un atto di cessione comporta
nel nostro Ordinamento, in quanto in detto trasferimento è posto un vincolo di
destinazione dovendo i beni essere gestiti nell’interesse di beneficiari, ai
quali poi alla fine verranno alienati, nei limiti di quanto stabilito nell’atto
istitutivo. A tal riguardo la Cassazione opera una distinzione fra proprietà formale
o mera intestazione e proprietà sostanziale (v. Cass. 14.10.1997 n. 10031 e
Cass. 22.12.2011 n. 28363)
Da
ciò consegue, sul versante degli effetti dell’operazione di trust la c.d. segregazione per cui i beni
trasferiti non si confondono con il patrimonio del trustee, trattandosi di una proprietà, quella
trasferita, svuotata di tutte le utilità che il bene può procurare al trustee
e finalizzata all’attuazione del programma stabilito del disponente.
In
questo senso, il trustee non può avvantaggiarsi personalmente dall’essere
proprietario dei beni conferiti in trust, non può fare suoi i frutti né godere
dei beni stessi, ma è tenuto ad utilizzarli (gestirli, venderli, permutarli)
solo nell’interesse dei beneficiari e fino all’esaurimento della sua missione.
La
segregazione suddetta comporta anche la loro non aggredibilità per crediti
insoddisfatti del trustee. Tale deroga al principio dell’art. 2740 C.C.,
per cui il debitore risponde con l’intero suo patrimonio, è ammessa nel nostro
Ordinamento in virtù della legge di ratifica della Convenzione dell’Aja, di cui
si è sopra detto. Quest’ultima non ha riconosciuto semplicemente il trust nell’Ordinamento
italiano (come sostenuto dalla giurisprudenza maggioritaria) ma piuttosto ha
ammesso l’applicazione diretta nell’Ordinamento interno della legge straniera
prescelta per disciplinare il trust nel rispetto delle caratteristiche fissate
nella Convenzione stessa.
In
tale contesto è di tutta evidenza che il nostro Ordinamento non tollera un
trust che non sia, per così dire, virtuoso, il che si verifica quando esso è stato
congegnato e realizzato per scopi non meritevoli di tutela e quindi quando la
causa del complesso negozio sia illegittima. Con la conseguenza che, se
appaiono ammissibili i trusts di interesse familiare, ovvero imprenditoriale e
finanziario come ad esempio (per richiamare i molteplici campi di applicazione)
quelli destinati ad assistere soggetti
deboli (minorenni, incapaci), quelli che creano un fondo per i bisogni
della famiglia coniugale o di fatto, quelli che preordinano la successione
ereditaria, quelli che mirano a garantire il mantenimento di figli naturali
nati in una convivenza more-uxorio, quelli preordinati alla gestione del
passaggio generazionale dell’impresa, ma
anche i c.d. trusts di scopo, cioè quelli senza beneficiari funzionali al
perseguimento di un determinato fine, come ad esempio quello caritatevole,
non altrettanto può dirsi per quei trusts congegnati per fini di frode fiscale
o per sottrarsi all’adempimento delle obbligazioni di pagamento nei confronti
dei creditori.
Una
particolare figura di trust è quello definito autodichiarato (sulla cui
inesistenza purtuttavia si è pronunciata recentemente la Cassazione come infra
esamineremo) che ricorre nella ipotesi di coincidenza o cumulo nella stessa
persona del settlor e del trustee, utilizzato
soprattutto in Italia in ragione di una mentalità poco incline ad affidare ad
altri il proprio patrimonio.
Nel
trust autodichiarato in verità non si attua alcun trasferimento in quanto il
settlor si limita ad apporre un vincolo di destinazione su alcuni suoi beni
separandoli dal restante patrimonio, fermo restando l’obbligo di gestione nell’interesse
dei beneficiari ai quali poi verranno alienati. In detta ipotesi la
segregazione si verifica, dunque, all’interno del patrimonio del disponente.
Su
tale caratteristica si è in particolar modo concentrata l’attenzione della
giurisprudenza derivando da essa la
risposta ad alcuni interrogativi, fornita, invero, sulla base di soluzioni
interpretative del tutto contrastanti. Nello specifico, per limitarci al tema
oggetto delle presenti note, essi riguardano
il regime fiscale cui il trust stesso è assoggettato in relazione alle
imposte ipotecaria e catastale dovute, rispettivamente, ogni qualvolta si
debbano eseguire le formalità di trascrizione , iscrizione , rinnovazione ed
annotazione presso i pubblici registri immobiliari relative non
solo al passaggio di proprietà di un immobile ma anche l’iscrizione di un
diritto o di un vincolo sul bene, nonchè le conseguenti volture catastali per
il trasferimento di immobili, a titolo gratuito do oneroso, o per la
costituzione su di essi di detti diritti
o vincoli. E’ appena il caso di rilevare, a tal riguardo, che la relativa
disciplina è stata disegnata dall’art.2, comma 47, del DL 262/2006, che recita
testualmente. “è istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti dei beni e diritti
per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di
vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del T.U. concernenti l’imposta
sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31.10.1990 n. 346, nel alla
data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi 48 e 54”.
Tale
disposizione, per spiegare la quale è stata emanata dalla Agenzia delle Entrate
anche la circolare 48/E del 6/8/2007 è stata
variamente interpretata dalla giurisprudenza
la quale, come detto ha adottato soluzione diverse.
A
titolo esemplificativo, si segnala un gruppo di decisioni che opinano per la
tassazione proporzionale del trust, nelle imposte indirette, solo allorquando si
realizza il trasferimento definitivo del patrimonio a conclusione e scioglimento del trust,
considerato che fino a quel momento l’attribuzione comporta semplicemente una separazione del patrimonio con una consolidazione finale
ed effettiva all’esito dell’effetto traslativo. Ciò comporterebbe l’assoggettamento
a tassazione fissa dell’atto costitutivo del trust ( in questo senso, v. CTP
Treviso 30.04.09 n. 47 e 48; CTR Venezia-Mestre 27.11.2013 e 21.2.2012) Proprio sul presupposto che il trust non
comporterebbe alcun trasferimento di ricchezza al momento della sua istituzione, si è ritenuto, in conformità a
dette pronunce, l’assoggettabilità , in misura fissa delle imposte sulle
successioni e donazioni nonchè ipocatastali. (v. ex multis CTP Lodi
25.7.2013 e 4.4.2011; CTP Macerata 26.09.12; CTP Treviso 22.2.12 e 25.2.11; CTR Firenze 11.4.11; CTP Torino 9.6.2011; CTR
Roma Sez Distaccata Latina 29.9.2011; CTP Bologna 4.2.11). Alla stessa
conclusione giungono, con particolare riferimento al trust autodichiarato le recenti pronunce della CTP di Milano 11.2.2014 n.
1462 e della CTP di Reggio Emilia 418/02/2014 dell 26 settembre, la quale, con
articolata motivazione sostiene , in ragione del suo effetto segregativo , che
si traduce nell’isolare i beni vincolati dal patrimonio di un soggetto per
assoggettarli ad un regime giuridico a sè stante, ha ritenuto la costituzione
soggetta all’imposta di registro indiretta in misura fissa, a nulla rilevando
il fatto che il legislatore abbia previsto l’imposta su successioni e donazioni
anche per la costituzione di vincoli di destinazione (art. 2 comma 47 , DL
262/2006).
Di
diverso avviso, come abbiamo visto, la pronuncia in rassegna della CTR napoletana la quale
– proprio sulla base della previsione esplicita della assoggettabilità alla
imposta in questione, in misura proporzionale al valore dei beni e dei diritti,
non soltanto delle donazioni e degli atti di trasferimento a titolo gratuito di
beni e diritti ma anche con riguardo alla
“costituzione di vincoli di destinazione dei beni” , che peraltro
permette la loro trascrivibilità ex art 2645 ter c.c. ai fini della opponibilità
a i terzi – ha ritenuto che il trust, nella specie autodichiarato,
non potesse non rientrare in detta previsione legislativa indipendentemente dalla controversa questione
della efficacia traslativa o meno dell’istituto.
La
importante decisione, che si discosta da un consistente orientamento contrario
della giurisprudenza tributaria, è stata, per così dire, avallata pochi giorni
orsono da tre decisioni della Cassazione, la quale per la prima volta, a quanto
consta, è intervenuta sul dibatuto problema della individuazione del regime
fiscale di cui si è discusso da applicare al trust autodichiarato.
Orbene con le ordinanze 3735 e 3737 del 24.2 2015 e 3886 del 25.2.2015
si è ritenuto sostanzialmente che laddove “manchi il trasferimento a terzi da
parte del settlor dei beni costituiti in trust al fine del conseguimento dell’effetto,
con carattere reale, di destinazione del bene alla soddisfazione dell’interesse
programmato” il negozio ” benché nominato
trust non ne avrebbe la fisionomia difettando uno dei tratti tipologicamente
caratteristici
. essendo
presupposto coessenziale alla stessa
natura dell’istituto il fatto che il
disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di
determinati poteri che possano
competergli in base alle norme costitutive”; e tale condizione , continua la
Cassazione ” è ineludibile al punto che ove risulti che la perdita del
controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo
e non produce l’effetto segregativo che
gli è proprio”.
E’
questo il contenuto shock, come è già stato efficacemente sostenuto dai primi
commentatori, delle importanti pronunce della S.C. con le quali è stata messa in dubbio la
stessa esistenza del c.d. trust autodichiarato,
destinate, quindi, a suscitare ulteriori discussioni.
In
tale contesto, la assoggettabilità di simili operazioni, indipendentemente dal
loro effetto traslativo, alle imposte ipocastali de quibus, in misura proporzionale e non fissa dipende, come rilevano i Giudici
di Palazzo Cavour, dalla esigenza, chiaramente avvertita ed espressa dal legislatore con l’art 2 comma 47
del D.L. 262/2006, “di rendere tipica
la volontà destinatoria” del negozio attraverso “una imposta nuova che non
colpisce l’atto di trasferimento di beni
e diritti a causa della costituzione di
vincoli di destinazione ma che è istituita
direttamente ed in sé sulla
costituzione dei vincoli” ; ” vincoli che
designano non negozi bensì l’effetto giuridico di destinazione, mediante
il quale si dispone, ossia si pone fuori da sé, un bene orientandone i diritti
dominicali al perseguimento degli obiettivi voluti: alla disposizione non è coessenziale
l’attribuzione a terzi, in quanto mercè la destinazione si modula, non si
trasferisce il diritto”.
Testo del provvedimento
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