Testo massima
In tema di imposta di registro,
l’interpretazione più evoluta del disposto dell’art. 20 D.P.R. n. 131 del 1986
porta ad attribuire rilevanza alla natura intrinseca degli atti rispetto al
loro titolo ed alla forma apparente.
È questo
il principio di diritto affermato dalla Cassazione Civile, Sezione Quinta, con
ordinanza n. 24799 del 21 novembre
2014.
Nel caso di specie,
la Commissione Tributaria Provinciale di Rimini, con sentenza n.
117/2006, accoglieva il ricorso dei contribuenti avverso l’avviso di rettifica,
con il quale l’Amministrazione aveva, ai sensi del D.P.R. 26 aprile 1986, n.
131, art. 20, riqualificato la vendita di un fabbricato obsolescente, poi
demolito, come vendita di terreno edificabile, con il conseguente recupero
della maggiore imposta di registro.
Avverso
tale sentenza, l’Amministrazione proponeva appello alla Commissione Tributaria
Regionale dell’Emilia Romagna, la quale, respinto l’appello dell’Ufficio,
confermava con sentenza n. 80/2008, la decisione della Commissione Tributaria
Provinciale di Rimini.
Contro tale
pronuncia, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione.
In
particolare, l’Agenzia assumeva che la CTR avesse erroneamente escluso che la
richiesta di concessione edilizia potesse esser utilizzata per riqualificare la
vendita ai sensi dell’art. 20 del succitato D.P.R. n. 131/86. In particolare,
secondo l’Agenzia delle Entrate, “la
CTR avrebbe postulato un’interpretazione indebitamente restrittiva del
richiamato D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, interpretazione che, di fatto,
sembrava ricollegarsi a una lettura ormai superata della norma stessa“,
evidenziando che “l’interpretazione
più evoluta del portava ad attribuire rilevanza alla natura intrinseca degli
atti rispetto al loro titolo e forma apparente“.
Il
quesito, sottoposto dall’Agenzia delle Entrate alla Corte era il seguente:
“Se l’avviso di rettifica con il quale l’Ufficio aveva riqualificato un
atto di compravendita come trasferimento di “terreno edificabile”, in
considerazione di una pluralità di elementi di fatto, tra cui:
– la
circostanza che la Società acquirente si occupava di demolizione, costruzione e
ristrutturazione di edifici;
– che la
predetta Società pochi giorni dopo l’acquisto presentò domanda di concessione
edilizia, contraendo anche un mutuo per la realizzazione del fabbricato da
costruire;
– che il
prezzo del bene dichiarato in atto (Euro 322.785,00) era pari a circa dieci
volte il valore catastale dell’immobile);
violasse
o meno il D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 1 e 20.
Secondo
l’amministrazione le, suddette, norme dovevano essere correttamente
interpretate nel senso che in base al richiamato D.P.R. n. 131 del 1986, art.
20, l’interprete deve individuare “l’esatta
regolamentazione degli interessi perseguiti dai contraenti“,
sicché in applicazione della norma predetta la CTR avrebbe dovuto riconoscere
la legittimità della riqualificazione operata dall’Ufficio in applicazione del
predetto D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20”.
La Corte
accoglieva il motivo del ricorso.
Secondo
la Suprema Corte, infatti, la giurisprudenza si è consolidata nel senso che l’atto deve esser tassato in ragione degli
effetti giuridici che lo stesso oggettivamente produce (Cass. sez. trib. n.
1634 5 del 2013; Cass. sez. trib. n. 15319 del 2013), con la conseguenza che la
CTR non poteva escludere che la immediata richiesta di concessione edilizia,
per la costruzione di un nuovo immobile al posto di quello “vecchio”
poi demolito, avesse oggettivamente dato luogo a una vendita di terreno
edificabile.
Per
questi motivi la Corte ha cassato la sentenza della CTR e rinviato ad altra
sezione della stessa che nel decidere la controversia dovrà uniformarsi ai
superiori principi e regolare le spese di ogni fase e grado.
Testo del provvedimento
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