ISSN 2385-1376
Testo massima
L’applicazione dell’imposta di registro proporzionale nel caso di conferimento immobiliare in società non viola il diritto comunitario. Nell’ordinamento italiano, i conferimenti di immobili trovano la loro regolamentazione nell’art. 4, lett. a), n. 1 e 2, della Tariffa, Parte I, allegata al D.P.R. n. 131/1986. Infatti l’imposizione proporzionale con le aliquote previste nell’art. 4, lett. a), n. 1, rientra nella deroga accordata dall’art. 12 della direttiva, che consente l’applicazione di imposte in misura superiore all’1%, purché esse siano di ammontare non superiore a quelle previste per operazioni di carattere similare.
Per i soci non è ammissibile il versamento dell’imposta di registro in misura inferiore all’1%: il tutto in compliance con il diritto comunitario: è questo il principio desumibile dalla Corte di Cassazione nella sent. 20308 depositata lo scorso 4 settembre.
La fattispecie oggetto di censura da parte dei giudici di legittimità traeva origine dall’impugnazione, da parte di due contribuenti soci di s.r.l., di un avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia delle Entrate richiedeva loro, inter alia, a fronte di un conferimento di fabbricati e terreni di loro proprietà, il pagamento dell’imposta di registro, nella misura dell’1%.
Dopo aver subìto una parziale soccombenza nei primi due gradi di giudizio, i ricorrenti proponevano ricorso dinanzi ai giudici di legittimità, rilevando tra l’altro, la violazione e falsa applicazione degli articoli 4 e 7 della direttiva CEE n. 69/335, nonché dell’art. 4, comma 1, lettera a), della Tariffa, parte prima allegata al D.P.R. n. 131/1986, sostenendo, a loro parere, che nel caso di specie dovesse trovare applicazione la riduzione dell’aliquota allo 0,5%.
La Corte di Cassazione, nella sentenza 20308/2013, ha tuttavia disatteso le richieste dei contribuenti, argomentando che, sebbene debba riconoscersi la natura di norma “self-executing” (ossia direttamente applicabile nel nostro ordinamento giuridico come ius superveniens, in quanto avente contenuto chiaro, preciso e dettagliato) all’art. 4 della direttiva, la disciplina italiana non vìola la normativa comunitaria, in quanto l’art. 12 della direttiva medesima consente appunto una deroga, applicabile nel caso di specie.
Più specificamente, gli Ermellini hanno avuto modo di evidenziare come, in tema di imposta proporzionale di registro, l’art. 4 della direttiva n. 335/69/CEE deve essere interpretato nel senso che detta imposta non è dovuta in ipotesi di aumento di capitale attraverso conferimenti (senza distinguere tra beni mobili e immobili), in quanto la ratio sottesa a tale norma è quella di favorire tali operazioni.
Alla luce di questo iter logico-giuridico, i giudici di legittimità – uniformandosi ad un (risalente) orientamento della Corte di Giustizia europea (sent.11 dicembre 1997, in causa C-42/96), nonché ad alcuni (anch’essi piuttosto datati) precedenti della stessa Cassazione (15299/02; 11278/03) – hanno stabilito che la riduzione allo 0,5% dell’aliquota dell’imposta di registro sui conferimenti in esame (prevista dall’art. 7 della direttiva n. 69/335) è ammessa, ma solo in caso di conferimenti di interi patrimoni o rami aziendali, non già (come nel caso di specie), qualora detti conferimenti abbiano ad oggetto singoli assets immobiliari. Ragion per cui, le operazioni diverse da queste, scontano invece un’aliquota unica in ogni caso non inferiore all’1%.
Appare infine in tale sede opportuno ricordare come le imposte ipo-catastali, sì come quella di registro, per effetto del D.L. 104/2013, pubblicato sulla G.U. n. 214 del 12 settembre 2013, sono state fatte oggetto di un aumento dagli attuali 168 euro a 200 euro a far data dal primo gennaio 2014. La misura è di vasta portata in quanto interessa non solo i trasferimenti immobiliari, ma anche gli atti societari per operazioni straordinarie.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 28560-2007 proposto da:
B.L., F.G., alfa SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI PARMA in persona del Direttore pro tempore,
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 147/2006 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di PARMA, depositata il 28/09/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/07/2013 dal Consigliere Dott. DOMENICO CHINDEMI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
La Commissione tributaria regionale dell’Emilia, sezione distaccata di Parma, con sentenza n. 147/23/06, depositata il 28.9.2006, confermava la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Parma 22/01/2004 che accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla società alfa s.r.l., F.G. e B.L. avverso l’avviso di liquidazione dell’Agenzia delle Entrate che chiedeva il pagamento dell’imposta proporzionale di registro, delle imposte di trascrizione catastali e Invim in relazione al verbale di assemblea straordinaria della società alfa s.r.l..
Nello specifico veniva respinto il ricorso avverso il provvedimento di diniego di definizione agevolata L. n. 289 del 2002, ex art. 15 e contro la richiesta di applicazione all’atto di conferimento dell’aliquota unica dell’1%, mentre era accolta parzialmente l’impugnazione per il resto, determinando l’imposta di registro con l’aliquota del 4%, anzichè del 8% in relazione al terreno di pertinenza del capannone industriale, confermando la tassazione al 7% dell’immobile identificato come palazzina, uffici e abitazione.
Proponevano ricorso per cassazione i contribuenti deducendo i seguenti motivi:
a) omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento al diniego della definizione agevolata, non avendo la CTR valutato l’effettivo contenuto dell’avviso di liquidazione che ha natura di “vero accertamento“.
b) violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 15, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando come l’atto con il quale l’ufficio liquida l’imposta di registro su una base imponibile rideterminata, rispetto a quella diversa indicata dal contribuente, rientra, quale atto di accertamento in senso sostanziale, tra gli atti definibili con condono;
c) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4, nullità della sentenza, avendo omesso i giudici di appello di pronunciarsi sulla applicabilità nell’ordinamento italiano, della direttiva CEE del 17 luglio 1969 n. 69/335, in forza della quale i conferimenti in società sono assoggettabili all’imposta unica dell’1% sul valore di conferimento;
d) omessa, insufficiente contraddittoria motivazione con riferimento a un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel caso in cui fosse rilevata una decisione solo implicita, ma non espressa nè motivata, circa l’individuazione della norma applicabile nella fattispecie (nazionale e non comunitaria);
e) violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 7 della direttiva CEE del 17 luglio 1969,n. 69/335, nonchè dell’art. 4, comma 1, lett. a), tariffa parte prima, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, non avendo la CTR preso posizione in ordine alla natura dell’imposta di registro (imposta sui conferimenti o sui trasferimenti) nel caso di conferimento di beni in una società di capitali e della applicazione della direttiva CEE n. 69/335;
f) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 347 del 1990, artt. 2 e 10 e dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento ai criteri di determinazione della base imponibile e alla deducibilità di debiti e passività inerenti all’immobile.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso. I ricorrenti depositavano memoria.
Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 17.7.2013, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione
1. Il primo e quarto motivo sono inammissibili essendo stata formulata sotto il profilo del vizio di motivazione una questione di diritto, deducibile sub violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3) concernente il primo e il quarto motivo, rispettivamente sulla condonabilità dell’avviso di liquidazione con il quale l’ufficio determina l’imposta da versare sulla base della dichiarazione presentata dalla parte stessa e sulla individuazione della normativa nazionale o comunitaria applicabile nella fattispecie.
Il PRIMO motivo difetta, inoltre, di autosufficienza non essendo stato riprodotto o allegato il contenuto dell’atto impugnato al fine di consentire al Collegio di verificare se l’Ufficio ha effettuato una mera liquidazione del tributo o un accertamento con la rideterminazione della base imponibile.
2. Il SECONDO motivo è infondato.
Ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 1, la definizione agevolata si riferisce ai soli accertamenti, atti di contestazione, avvisi di irrogazione delle sanzioni, inviti al contraddittorio e processi verbali di constatazione.
Trattasi di ipotesi tassative previste dal legislatore che non consentono una interpretazione estensiva della norma, di carattere eccezionale, a differenza della definizione prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 16 dove si fa riferimento anche a “ogni altro atto d’imposizione” e in relazione al quale si è formata una giurisprudenza che ritiene rilevante non la qualificazione formale dell’atto, ma il suo contenuto sostanziale, con conseguente condonabilità nel caso sia espressione del potere impositivo dell’amministrazione (cfr Cass. Sez. 5, n. 15548 del 02/07/2009, Cass. Sez. 5, n. 9140 del 16/04/2010, Cass. Sez. 5, n. 10588 del 30/04/2010, Cass. Sez. 5, n. 10588 del 30/04/2010). Nella fattispecie in esame, peraltro l’ufficio non ha rettificato i valori dichiarati dal contribuente, ritenuti congrui dall’Agenzia, concernendo la contestazione solo questioni giuridiche, quali le aliquote e la base imponibile dei tributi, in base alla prospettazione degli stessi ricorrenti.
4. Sono, anche, infondati il TERZO e QUINTO motivo di ricorso, esaminati congiuntamente in quanto logicamente connessi, concernenti l’omessa applicazione della Direttiva CEE 69/335.
Nel caso di specie trattasi di determinare i criteri di tassazione delle imposte di registro in relazione al conferimento nella società Fava s.r.l. da parte dei soci F.G. e B.L. di un immobile di loro proprietà.
In tema di imposta proporzionale di registro, l’art. 4 della Direttiva CEE n. 69/335 (concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, normativa poi modificata dalla Direttiva n. 85/303 del 10.6.1986) deve essere interpretato nel senso che detta imposta non è dovuta in ipotesi di incremento del capitale attraverso conferimenti, senza distinzione tra beni mobili o immobili, in quanto “ratio” sottesa alla normativa comunitaria dettata “in subiecta materia”, e volta a favorire, anche con agevolazioni di carattere fiscale – quale l’applicazione dell’imposta fissa di registro anzichè di quella proporzionale, più gravosa – tali operazioni (cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14169 del 24/09/2003) I principi enunciati in tale Direttiva, avendo contenuto positivo, chiaro, preciso e dettagliato ne comportano la diretta applicabilità nell’ordinamento nazionale (essendo “self executing”) e si inseriscono direttamente nell’ordinamento interno, con il valore di ius superveniens, condizionando e determinando i limiti in cui quella norma conserva efficacia e deve essere applicata anche da parte del giudice nazionale (cfr. ordinanze della Corte Costituzionale n. 255 del 1999 e n. 62 del 12-14 marzo 2003).
Tale direttiva va esaminata alla luce della pronuncia della Corte di Giustizia CE (sent. 11 dicembre 1997, in c. 42/96), le cui decisioni in tema di interpretazione del diritto comunitario hanno anch’esse efficacia vincolante per il giudice nazionale (Corte di Giustizia 2 febbraio 1988, in c. 309/85; 11 giugno 1987, in c. 14/86; Cass. 18 febbraio 2000, n. 1844) che ha statuito che l’art. 12 della direttiva 69/335 prevede che l’imposta di registro e quelle ipotecarie e catastali possano essere riscosse dagli Stati membri, quando siano applicate in misura “non superiore” a quella prevista per le altre operazioni “similari” (sent. 11 dicembre 1997, in c. 42/96).
La riduzione allo 0,50% dell’aliquota sui conferimenti è stata prevista dall’art. 7 lett. b) della Direttiva n. 335/69 CEE, come modificata dalla Direttiva CEE n. 73/80, soltanto in relazione al conferimento di interi patrimoni o rami aziendali, operazioni successivamente esentate totalmente in forza della Direttiva CEE 303/85 (Cass. 7554/2003). Le operazioni diverse da quelle di conferimento integrale di patrimonio o di ramo aziendale sono invece rimaste soggette(fino a diversa determinazione assunta, come nella specie, in sede nazionale con la legge 4788/99, art. 10) ad un’unica aliquota facoltativa, ma in ogni caso non superiore all’1% (art. 7 n. 2 della Direttiva CEE 69/335, come modificata), potendo il legislatore nazionale stabilire, per tali diverse operazioni, un’aliquota in misura minore (così come poteva esentare dall’imposta la parte dell’aumento corrispondente alla riduzione del capitale (art. 7 n. 3 della Direttiva CEE 69/335), senza che sussistesse tuttavia un imperativo in tal senso.
L’art. 12 della suddetta Direttiva autorizza gli Stati membri, in deroga agli artt. 10 e 11 (che vietano l’applicazione di ulteriori imposte sugli atti di conferimento) a percepire “imposte di trasferimento, ivi comprese le tasse di pubblicità fondiaria, sul conferimento a società…di beni immobili o di aziende commerciali situati sul loro territorio”.
In funzione di tale deroga la Corte di Giustizia CEE (sent. 11 dicembre 1997 in C-42/96) cui questa Corte di è uniformata (Cass. 15299/2002; 11278/2003) ha stabilito che le imposte di registro, ipotecarie e catastali rientrano nella citata previsione derogatoria della Direttiva, che consente agli Stati membri di riscuoterle, purchè diritti e tributi non siano superiori a quelli applicabili su qualunque altro atto di trasferimento di proprietà effettuato da soggetti privati o da società non commerciali (Cass. 10259/2000).
E’ dunque compatibile col diritto comunitario l’imposta di registro applicata sui trasferimenti di immobili conferiti in società, nella misura prevista dall’art. 4, lett. a) n. 2 della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, così come sono compatibili con la citata Direttiva le imposte di trascrizione, catastali e Invim pretese dall’Ufficio, la cui quantificazione appare correttamente dallo stesso effettuata.
In base alle disposizioni in vigore nel momento (marzo 2000) in cui il conferimento è stato effettuato, l’imposta di registro e quella catastale si applicavano ai conferimenti di immobili con la stessa aliquota prevista per i trasferimenti in genere (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, tariffa, parte prima, artt. 4, 1, a 1; D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635, tariffa, art. 5).
Tali imposizioni devono, quindi, ritenersi compatibili con il diritto comunitario, alla stregua di quanto stabilito dall’art. 12, secondo paragrafo, direttiva CEE 335/69.
5. Anche l’ultimo motivo va disatteso.
Nel caso di conferimento di immobili in società la determinazione della base imponibile per l’applicazione delle imposte ipotecarie e catastali non risente di passività ad esso inerenti (quali i mutui garantiti da ipoteca iscritta sugli immobili stessi) accollate alla società conferitaria, in quanto per le imposte catastali e ipotecarie, a differenza della imposta di registro, con riferimento a formalità che riguardano i singoli immobili, la base imponibile va determinata tenendo conto, come nella specie, del valore degli immobili in sè considerati, restando preclusa la detrazione dal relativo valore degli immobili, degli oneri e passività (quali un mutuo garantito da ipoteca gravante sull’immobile trasferito) che, fanno carico alla conferitaria (cfr Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2074 del 04/02/2004).
Va, conseguentemente, rigettato il ricorso.
La particolarità della questione principale costituisce giusto motivo per la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
Rigetta il ricorso.
Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2013.
Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2013
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Numero Protocolo Interno : 639/2013