ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di imposta di registro, qualora la pretesa erariale si fondi su di una sentenza passata in giudicato, la relativa cartella esattoriale, avendo a oggetto un credito definitivamente accertato a seguito di contenzioso, e come tale avente titolo nella sentenza, va emessa entro il termine decennale di prescrizione previsto dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 78, non trovando applicazione, nell’ipotesi in questione, nè il termine triennale di decadenza di cui all’art. 76, del medesimo D.P.R. che concerne, invece, l’esercizio del potere di imposizione, nè il termine annuale di decadenza sancito dal D.P.R. n. 602 del 1972, art. 17, lett. c), (rilevante pro tempore), che attiene alle somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio divenuti definitivi per mancata impugnazione dell’atto impositivo che li contiene.
Si tratta del principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 8380 del 5 aprile 2013.
Il giudizio nasce dal ricorso presentato da un contribuente che, ricevuta una cartella di pagamento conseguente ad una sentenza della commissione tributaria divenuta irrevocabile, eccepisce la violazione dell’art. 17 D.P.R. n. 602 del 1973, in quanto l’ufficio aveva iscritto a ruolo l’imposta oltre il termine ivi previsto (ossia del 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento era divenuto definitivo), con conseguente decadenza dell’amministrazione dal potere di riscossione dell’imposta accertata.
Ottenuta una pronuncia di accoglimento in primo grado, a seguito dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, la commissione tributaria regionale ribalta la decisione, ritenendo applicabile, nel caso di specie, il termine triennale di decadenza di cui all’art. 76 del D.P.R. n. 131 del 1986, trattandosi di imposta di registro in revoca delle agevolazioni della prima casa.
Da ultimo, la Corte di Cassazione dichiara infondato il ricorso proposto dal medesimo contribuente, provvedendo, però, a correggere la motivazione dell’impugnata sentenza ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c.
Nello specifico, la Suprema Corte chiarisce che il richiamo alla decadenza di cui all’art. 17 D.P.R. n. 602 del 1973 non può ritenersi pertinente in quanto la disposizione citata peraltro modificata dall’art. 6 del d.lgs. n. 46 del 1999 si riferisce unicamente alle somme dovute dai contribuenti in base agli accertamenti dell’ufficio divenuti definitivi per mancata contestazione da parte del contribuente.
Di contro, l’instaurazione del contenzioso dinanzi al giudice tributario fa sì che il titolo posto a base della pretesa fiscale non sia più l’atto amministrativo, bensì la pronuncia giurisdizionale, la quale, sancendo la debenza del tributo, non può reputarsi soggetta ad alcuna decadenza, ma unicamente al termine di prescrizione stabilito dall’art. 78 del D.P.R. n. 131 del 1986, a mente del quale “il credito dell’amministrazione finanziaria per l’imposta definitivamente accertata si prescrive in dieci anni“.
Del pari, risulta inconferente il richiamo dell’art. 76 del D.P.R. n. 131 del 1986 effettuato dalla commissione tributaria regionale in quanto la disposizione in parola non riguarda il piano della riscossione dei tributi ma attiene alle ipotesi di decadenza dell’ufficio finanziario nella determinazione della sua pretesa impositiva.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 653/2007 proposto da:
S.C.;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate ufficio di Benevento;
– intimato –
avverso la sentenza n. 206/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI, depositata il 10/11/2005;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La S. riscossioni s.p.a., concessionaria del servizio di riscossione per la provincia di Benevento, notificò a S.C. una cartella di pagamento derivante da un ruolo reso esecutivo in data 31.3.2003, conseguente alla sentenza della commissione tributaria regionale della Campania n. 184/20/2000 divenuta irrevocabile, per mancata impugnazione, in data 20.7.2001.
Il contribuente impugnò la cartella eccependo, per quanto ancora unicamente rileva, la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, avendo l’ufficio iscritto a ruolo l’imposta oltre il termine di decadenza ivi stabilito.
L’adita commissione tributaria provinciale di Benevento accolse il ricorso, ma, in esito ad appello dell’agenzia delle entrate, la commissione tributaria regionale della Campania riformò la decisione, rilevando che si era in presenza di imposta di registro in revoca delle agevolazioni della prima casa; per cui doveva trovare applicazione il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2, non il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, invocato ex adverso.
Per la cassazione di questa sentenza il contribuente ha proposto ricorso articolato in due motivi.
L’intimata agenzia delle entrate non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, per avere la commissione tributaria regionale affermato l’inapplicabilità della citata disposizione in materia di imposta di registro.
Obietta, di contro, che proprio siffatta disposizione si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, avendo il sistema di riscossione introdotto col D.P.R. n. 43 del 1988, modificato l’originario testo del D.P.R. n. 602 del 1973, in funzione di unificare tutta la metodologia in tema di esazione dei tributi, si fosse trattato di tributi diretti o indiretti. Col secondo motivo il ricorrente deduce invece il vizio di motivazione, per avere la commissione regionale fatto ulteriore riferimento al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78, e all’art. 2934 c.c., e quindi in tal senso confuso tra loro gli istituti della decadenza (effettivamente eccepita) e della prescrizione.
2. – Il ricorso è infondato, sebbene la motivazione dell’impugnata sentenza debba essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.
E’ pacifico in causa che la pretesa erariale era basata sulla sentenza pronunciata dalla commissione tributaria regionale della Lombardia nr. 184/20/2000, passata in giudicato il 20.7.2001.
A fronte della tesi della contribuente, che aveva denunciato, secondo il disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, la decadenza dell’amministrazione dal potere di riscossione dell’imposta accertata, l’impugnata sentenza ha evocato il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76, comma 2.
Ma la tesi sottostante è errata, giacché la decadenza D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 76, comma 2, concerne l’esercizio del potere di imposizione, che va esercitato entro termini stabiliti a garanzia della esigenza di certezza dei rapporti giuridici e dell’interesse del contribuente alla predeterminazione del termine di soggezione all’iniziativa dell’ufficio (v. per tutte Cass. n. 1000/2006).
Nella specie tale esigenza non si poneva, perché la cartella aveva riguardato un credito tributario già definitivamente accertato con sentenza. Per cui il limite temporale da osservare (non per l’accertamento ma per la riscossione, cui era inteso l’atto impugnato) era quello ordinario decennale di prescrizione stabilito dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 78 (cfr. Cass. n. 1196/2000, n. 19207/2004; n. 6617/2011).
3. – A sua volta il richiamo alla decadenza di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 17, comma 3, su cui il ricorrente ancora insiste, non è pertinente. A parte l’erroneità del riferimento ratione temporis, essendo stata la cartella notificata a seguito della sentenza succitata, quando cioè l’art. 17 era stato già modificato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 6, sicché il medesimo constava, pro tempore, di un solo comma suddiviso in tre lettere, deve osservarsi che la disposizione citata – tanto nel vecchio comma 3, quanto nella successiva lett. c) del testo vigente al momento – era riferita alle somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio divenuti definitivi. Solo le somme a essi conseguenti dovevano essere iscritte in ruoli resi esecutivi a pena di decadenza entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento fosse divenuto definitivo.
E solo in questo limitato senso la norma dovevasi considerare operante per tutti i tributi, diretti o indiretti, così come da questa corte affermato in forza del principio che il ricorrente rammenta. E’ invece pacifico che l’insegnamento – secondo il quale, nel quadro della nuova disciplina della riscossione dei tributi introdotta dal D.P.R. 28 gennaio 1988 n. 43, il disposto dell’art. 17 (comma 3, in base a quanto ritenuto, ovvero lett. c), come avrebbe dovuto correttamente evidenziarsi) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (secondo cui le imposte, le maggiori imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base agli accertamenti degli uffici debbono essere iscritte in ruoli formati e resi esecutivi, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo) si applica anche alle imposte diverse da quelle sul reddito e quindi, oltre all’Iva, anche agli altri tributi indiretti specificamente richiamati dall’art. 67 del d.p.r. n. 43 del 1988, tra i quali è ricompresa anche l’imposta di registro (cfr. Cass. n. 1921/2008, quanto all’Invim; cui adde Cass. n. 11235/2002) – nulla ha da spartire con la regiudicanda nella quale si discorra di accertamenti seguiti da contenzioso.
In tal caso la riscossione delle somme conseguenti al passaggio in giudicato delle sentenze che hanno definito il giudizio, sancendo la debenza del tributo, non è soggetta a decadenza alcuna, ma unicamente alla prescrizione.
Non si è difatti in presenza di un’attività esecutiva dell’atto amministrativo di accertamento, perché manca il presupposto correlato al fatto di essere l’accertamento medesimo divenuto definitivo per mancata contestazione.
Come affermato dalle sezioni unite di questa corte, il provvedimento del giudice che definisce la lite sull’accertamento, anche quando si limiti a riconoscere la legittimità dell’atto impositivo contestato, conferisce a questo il crisma della verifica giurisdizionale; e gli effetti del giudicato non possono essere assimilati a quelli della mera acquiescenza amministrativa che si esaurisce nell’ambito del rapporto bilaterale (amministrativo) d’imposta (v. sez. un. n. 25790/2009). In tal caso, invero, il titolo della pretesa tributaria non è più l’atto, ma la sentenza che ne ha confermato la legittimità pronunciando sul rapporto. Sicché è la sentenza, non l’atto, che viene ad avere successiva esecuzione.
4. – Il ricorso va dunque rigettato, dovendosi enunciare il seguente principio di diritto: “In tema di imposta di registro, qualora la pretesa erariale si fondi su di una sentenza passata in giudicato, la relativa cartella esattoriale, avendo a oggetto un credito definitivamente accertato a seguito di contenzioso, e come tale avente titolo nella sentenza, va emessa entro il termine decennale di prescrizione previsto dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 78, non trovando applicazione, nell’ipotesi in questione, nè il termine triennale di decadenza di cui all’art. 76, del medesimo D.P.R. che concerne, invece, l’esercizio del potere di imposizione, nè il termine annuale di decadenza sancito dal D.P.R. n. 602 del 1972, art. 17, lett. c), (rilevante pro tempore), che attiene alle somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio divenuti definitivi per mancata impugnazione dell’atto impositivo che li contiene“.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 7 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2013
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Numero Protocolo Interno : 220/2013