L’imposta di Registro deve essere applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sicché la prevalenza sostanziale dei presupposti dell’imposizione, rispetto al titolo o alla forma apparente dell’atto, deve essere fatta valere dall’Amministrazione finanziaria, sia pure entro i limiti imposti all’attività ermeneutica dall’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986, cioè per intrinseco. Dunque, ai fini dell’Imposta di Registro, la mera cessione della partecipazione societaria non solo non è produttiva degli effetti giuridici propri della cessione aziendale (ancorché l’atto preveda la separata trasmissione dei debiti e crediti sociali), discostandosene quanto ad estraneità di istituti tipici, ma neppure può essere ritenuta espressiva del trasferimento di un compendio produttivo organizzato idoneo, ex articolo 2555 cod. civ., a fungere da azienda o ramo di essa.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Sorrentino – Rel. Stalla, con la sentenza n. 34917 del 13 dicembre 2023.
Nel caso di specie la ricorrente proponeva due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza con la quale la commissione tributaria regionale, in riforma della prima decisione, aveva ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione notificato, per responsabilità solidale, ai controricorrenti in recupero dell’imposta proporzionale di registro sull’atto pubblico, con il quale questi ultimi cedevano l’intera partecipazione da loro detenuta in un’azienda agricola, ciò previa riqualificazione dell’atto di cessione delle quote, D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 20, in cessione di ramo aziendale.
La Suprema Corte, alla luce del principio di diritto già menzionato, ha ritenuto l’infondatezza della tesi dell’amministrazione finanziaria ricorrente.
Per gli Ermellini: “la cessione della partecipazione societaria non solo non è produttiva degli effetti giuridici propri della cessione aziendale (ancorchè l’atto in esame preveda in realtà anche la separata trasmissione dei debiti e crediti sociali), discostandosene quanto ad estraneità di istituti tipici (v. artt. 2556 c.c. e segg., art. 2112 c.c.), ma neppure è stata dal giudice di merito ritenuta espressiva del trasferimento di un compendio produttivo organizzato idoneo, ex art. 2555 c.c., a fungere da azienda o ramo di essa”.
Osserva sul punto la Commissione Tributaria Regionale: “è documentato in atti, e non è contestato, che al momento del trasferimento delle quote la società agricola non rappresentava più quel complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa, dato che l’attività di allevamento di bovini da latte non era più esercitata nè esercitabile a seguito della cessione degli animali, della conversione delle culture nonchè della cessazione del rapporto di lavoro con i dipendenti del ramo allevamento“.
Questa ragione decisoria, secondo la Suprema Corte, è stata contestata sulla base di tutta una serie di elementi, estranei all’atto, dai quali avrebbe dovuto invece evincersi il contrario; e cioè che la partecipazione ceduta esprimeva in effetti una cessione aziendale stante l’idoneità (quantomeno potenziale) dei cespiti e dell’organizzazione della azienda allo svolgimento di attività agricola, anche se diversa dal ramo latte, effettivamente dismesso.
Per gli Ermellini è risultato dirimente – a sfavore della tesi proposta dall’amministrazione finanziaria – l’aspetto prettamente tecnico-giuridico rappresentato dalla preclusione, nella formulazione dell’art. 20 cit., alla qualificazione negoziale sulla base di elementi esterni o attività collegate.
Più in dettaglio, la ricorrente ha obiettato che la natura di ramo aziendale sostanzialmente riconducibile alla cessione della partecipazione societaria avrebbe dovuto desumersi da una serie convergente ed univoca di circostanze attestanti la perdurante idoneità produttiva.
Si trattava dunque di un caso di qualificazione negoziale per estrinseco, là dove l’assunto di partenza – quello secondo cui le parti avrebbero nella sostanza ceduto un ramo aziendale attraverso la trasmissione della intera partecipazione societaria- è stato dimostrato proprio attraverso un’operazione non consentita di valorizzazione di elementi (di natura sia comportamentale sia negoziale) che non erano emersi dall’atto presentato alla registrazione (la riorganizzazione aziendale intercorsa nei mesi precedenti; gli atti collegati costituiti dalla cessazione dei rapporti di lavoro e dalla risoluzione del contratto di somministrazione con la cooperativa; la sostituzione delle colture e del bestiame in funzione di una diversa destinazione produttiva).
Secondo la Suprema Corte “Il già richiamato paradigma dell’imposta di registro quale imposta d’atto esclude che si possa dare ingresso ad elementi esterni comprovanti la circostanza che l’atto presentato alla registrazione costituisca, nella sua sostanza, l’elemento terminale di un più vasto programma negoziale, ovvero di una più o meno complessa operazione preparatoria di tipo giuridico-economico o anche soltanto organizzativo. E l’alienità, rispetto all’atto, dell’elemento escluso ex lege (così come il suo intervenire prima o dopo l’atto, ma non nell’atto) non viene meno per il solo fatto che quest’ultimo possa in ipotesi risultare pacifico in giudizio perché riconosciuto anche dalle parti contraenti che vi abbiano dato causa. Va infatti considerato che questo asserito riconoscimento, non solo costituirebbe esso stesso un fatto estraneo al contenuto dell’atto, ma soprattutto non riguarderebbe fatti suscettibili di essere posti dal giudice a fondamento della decisione ex art. 115 c.p.c., proprio perché rivelatore di fatti esterni o collegati, come tali inutilizzabili ai fini di una qualificazione negoziale diversa da quella dichiarata dalle parti ed evincibile dall’atto in sé”.
Pertanto, il ricorso è stato rigettato, non essendovi, da parte della Commissione Tributaria Regionale, né la violazione o falsa applicazione dell’art. 20 cit. nella sua nuova formulazione (primo motivo di ricorso), e nemmeno l’omesso esame di fatti decisivi (secondo motivo di ricorso). Spese compensate.
Per ulteriori approfondimenti in materia si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
TASSAZIONE ATTI GIUDIZIARI: PER LA SCRITTURA PRIVATA NON AUTENTICATA DI RICOGNIZIONE DI DEBITO SI APPLICA L’IMPOSTA DI REGISTRO IN MISURA FISSA
IL SUO DEPOSITO IN SEDE DI RICORSO PER DECRETO INGIUNTIVO NON INTEGRA “CASO D’USO”
Sentenza | Cass. civ., Sez. Unite, Pres. Curzio – Rel. Stalla | 16.03.2023 | n.7682
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