Ai fini dell’imposta di registro, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 6, deve escludersi che il mero richiamo dell’atto non registrato in atto registrato possa configurare un’ipotesi d’uso; la sola enunciazione degli atti, soggetti a registrazione in caso d’uso, è tuttavia assoggettata all’imposta di registro a prescindere dall'”uso” di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 6, cit. dei medesimi.
Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Pres. Sorrentino- Rel. Dell’Orfano, con l’ordinanza n. 2296 del 23 gennaio 2024.
Il caso, che ha richiesto la decisione della Suprema Corte, riguarda il ricorso proposto da una società per la cassazione della sentenza con cui la Commissione tributaria regionale della Campania aveva respinto l’appello della contribuente avverso la sentenza emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Salerno in rigetto del ricorso avverso l’avviso di liquidazione di imposta di registro, emesso dall’Agenzia delle entrate, relativamente a decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace a favore della ricorrente per credito vantato nei confronti di terzi (“contratto di fideiussione”).
La ricorrente lamentava che la Commissione tributaria regionale avesse confermato la fondatezza della pretesa fiscale sebbene l’Ufficio avesse “erroneamente determinato l’imposta di registro applicando, oltre all’importo fisso dell’imposta di registro sugli atti giudiziari, l’ulteriore somma calcolata su un … diverso rapporto” negoziale sottostante, intercorso tra le parti, e che aveva, quindi, “originato i presupposti per la richiesta ed ottenimento del decreto ingiuntivo” e che sempre la predetta Commissione avesse ritenuto legittima la tassazione del rapporto negoziale relativo ad un atto asseritamente enunciato, non individuato, neppure allegato all’avviso di liquidazione o acquisito al fascicolo processuale del provvedimento monitorio.
Richiamando i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 28559 del 6/11/2019), il Supremo Collegio ha evidenziato, nell’ordinanza in commento, che era incontestato che il decreto ingiuntivo fosse stato emesso sulla base del credito, soggetto ad IVA, riveniente da contratto di fideiussione.
È stato, pertanto, richiamato l’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che recita: “Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate. Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso e dovuta anche la pena pecuniaria di cui all’art. 69. L’enunciazione di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso non dà luogo all’applicazione dell’imposta quando gli effetti delle disposizioni enunciate sono già cessati o cessano in virtù dell’atto che contiene l’enunciazione. Se l’enunciazione di un atto non soggetto a registrazione in termine fisso e contenuta in uno degli atti dell’autorità giudiziaria indicati nell’art. 37, l’imposta si applica sulla parte dell’atto enunciato non ancora eseguita“.
Ciò posto, per potersi configurare l’enunciazione, è necessario che nell’atto sottoposto a registrazione vi sia espresso richiamo al negozio posto in essere, sia che si tratti di atto scritto o di contratto verbale, con specifica menzione di tutti gli elementi costitutivi di esso che servono a identificarne la natura ed il contenuto in modo tale che lo stesso potrebbe essere registrato come atto a sé stante.
La tassazione per enunciazione, dunque, non può operare se nell’atto soggetto a registrazione siano menzionate circostanze dalle quali possa solo dedursi che esiste tra le parti il rapporto giuridico non denunciato, essendo sempre necessario che le circostanze enunciate siano idonee di per sé stesse, e quindi senza necessità di ricorrere ad elementi non contenuti nell’atto, a dare certezza di quel rapporto giuridico.
Ciò posto, secondo la Suprema Corte, era indubbio che nell’atto enunciante (decreto monitorio) fossero indicati elementi tali da consentire di identificare l’operazione negoziale enunciata sia in ordine ai soggetti che al suo contenuto oggettivo e alla sua reale portata in modo da fornire non solo la prova della sua esistenza ma da costituirne il titolo, essendo stato richiesto dalla stessa società ricorrente, nel ricorso monitorio, il pagamento di somme relative al contratto di fideiussione in questione, come riportato nella sentenza impugnata e non contestato dalla contribuente.
Secondo la Corte, ne conseguiva che la contribuente ben sapeva, sin dal ricorso proposto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, che la doppia tassa di registro fissa pretesa dall’ufficio riguardasse il decreto ingiuntivo emesso dall’autorità giudiziaria e il contratto di prestazione d’opera professionale in esso enunciato, sicché anche la motivazione dell’avviso di liquidazione era congrua ed idonea a rappresentare al contribuente le ragioni della ripresa a tassazione.
A seguire, richiamato il dettato dell’art. 22, dianzi trascritto, gli Ermellini hanno evidenziato che ai sensi, poi, del d.P.R. n. 131 del 1986, art. 6, dianzi indicato, si ha caso d’uso quando un atto si deposita, presso le cancellerie giudiziarie, nell’esplicazione di attività amministrative, o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, per essere acquisito agli atti, salvo che il deposito avvenga ai fini dell’adempimento di un’obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organi, ovvero sia obbligatorio per legge o regolamento.
Occorre dunque stabilire se un atto soggetto a registrazione solo in caso d’uso, quale è l’atto in questione, è assoggettabile ad imposizione solo ed esclusivamente in tale ipotesi ovvero anche quando sia enunciato in altro atto registrato, ovvero ancora se tale enunciazione configuri o meno un caso d’uso.
Ha rilevato al riguardo la Corte che, alla stregua della stessa testuale dizione del richiamato d.P.R. n. 131 del 1986, art. 6, doveva escludersi nell’ipotesi di specie che il mero richiamo dell’atto non registrato in atto registrato potesse configurare un’ipotesi d’uso (cfr. Cass. n. 5946/2007 in motivazione).
Si è poi verificato se il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, richiamato si riferisse anche all’enunciazione di atti soggetti a registrazione solo in caso d’uso.
Secondo la Suprema Corte, il tenore letterale della norma in esame imponeva una risposta positiva al quesito atteso che, se il legislatore ha specificato, nella parte finale del comma 1, che “se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di cui al d.P.R. n. 131 del 1986, art. 69“, è evidente che ha inteso includere anche gli atti soggetti a registrazione in caso d’uso e poiché l’enunciazione da tali ultimi atti non configurava, ai sensi dello stesso d.P.R. n. 131 del 1986, art. 6, come innanzi rilevato, un “uso”, doveva concludersi per l’assoggettamento di tali atti all’imposta a prescindere dall'”uso” di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 6, cit. dei medesimi e sulla base della sola enunciazione.
In caso contrario, invero, come già precisato dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 5956/2007 cit.), sarebbe stata da considerare inutiliter data la specificazione che assoggetta a pena pecuniaria solo gli atti soggetti a registrazione in termine fisso, in quanto, non concretando l’enunciazione un “uso”, sarebbero stati imponibili solo gli atti soggetti a registrazione a termine fisso enunciati nell’atto registrato e quindi sarebbe stato superfluo specificare che solo per tali atti era dovuta oltre all’imposta anche la pena pecuniaria.
Con riguardo, poi, alla doglianza circa una pretesa errata doppia imposizione per lo stesso rapporto giuridico con riguardo all’atto enunciante ed a quello enunciato (decreto ingiuntivo e contratto sotteso alla fattura di cui era stato richiesto il pagamento), la Corte ha evidenziato che l’imposta di registro è una imposta d’atto, e dunque si applica a tutti gli atti previsti dalla legge come ad essa soggetti.
Per la Corte, la circostanza che il decreto ingiuntivo fosse stato emesso sulla base di un contratto di fideiussione non escludeva la tassazione di quest’ultimo, nel caso in cui esso fosse stato enunciato nel contesto del provvedimento giurisdizionale, in quanto tale eventualità era contemplata proprio nel terzo comma dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986.
Infine, gli Ermellini hanno rilevato che, come indicato nell’avviso di accertamento impugnato riportato dalla stessa ricorrente, fosse correttamente applicata la tassazione in misura fissa, e non proporzionale, sia con riguardo all’atto enunciante, che a quello enunciato.
Il ricorso è stato, dunque, integralmente respinto. Le spese hanno seguito il principio di soccombenza.
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