ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di imposta di registro, l’art. 52 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, laddove stabilisce un limite al potere di accertamento dell’Ufficio del registro in ordine agli atti concernenti immobili, ha come presupposti applicativi il fatto che:
– il cespite oggetto dell’atto da registrare sia dotato di rendita catastale;
– che il contribuente abbia indicato il valore attribuito al bene così da permettere il rapporto tra valore c.d. automatico e catastale.
Ne consegue che detta norma non può trovare applicazione quando, avendo ad oggetto l’atto da registrare più immobili, ad alcuni di essi non sia stata attribuita la rendita catastale e nell’atto il contribuente abbia dichiarato un valore complessivo per tutti i beni.
Così la Corte di cassazione, con sentenza n.5543 del 06/03/2013, ha esaminato gli effetti derivanti dalla dichiarazione resa dal contribuente con cui intenda avvalersi del sistema della rivalutazione automatica D.P.R. n.131 del 1986, ex art.52, comma 4 che, se da un lato, costituisce in capo all’Ufficio un limite al potere di accertamento per valori diversi, ma dall’altro non esclude la doverosità di riscontro della sussistenza, nei beni oggetto dell’atto, dei requisiti che rendano possibile una sicura corrispondenza del valore dichiarato a quello automaticamente determinabile in base ai coefficienti moltiplicatori delle rendite.
Tale controllo non appare pienamente perseguibile ove nell’atto, come nella specie (compravendita di un appartamento e di un posto auto) sia indicato un valore unitario ed indistinto, circostanza che impedisce detta verifica e per contro giustifica l’esercizio del potere di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta, ai sensi del cit. art. 52, comma 1, D.P.R. 131/1986 (RETTIFICA DEL VALORE DEGLI IMMOBILI E DELLE AZIENDE), il quale prevede che “L’ufficio, se ritiene che i beni o i diritti di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 51 hanno un valore venale superiore al valore dichiarato o al corrispettivo pattuito, provvede con lo stesso atto alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta, con gli interessi e le sanzioni.”
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE;
RICORRENTE
contro
C. G. D.;
INTIMATA
per la cassazione della sentenza Comm. Tribut. Regionale di Milano 17.2.2006;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE
Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano 17.2.2006 che, in conferma della sentenza C.T.P. di Milano n. 78/09/2004, ebbe a rigettare l’appello dell’Ufficio contro la decisione di accoglimento del ricorso del contribuente, a suo tempo proposto avverso l’avviso di accertamento di maggior valore, emesso a carico dell’odierna intimata, in rettifica di quello dichiarato in un atto di compravendita immobiliare.
L’Ufficio aveva liquidato la maggiore imposta di registro, rettificando il valore dei beni compravenduti dal dichiarato di L. 200 milioni a 418 milioni L., trattandosi di un appartamento ed un posto auto, senza che anche il secondo e dunque entrambi avessero rendita catastale e che nell’atto vi fosse discriminazione esatta quanto ai beni trasferiti, al fine di poter operare la rivalutazione ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3.
La C.T.R. riconobbe che:
a) era compito dell’Ufficio procedere ad un calcolo dei valori dei singoli beni componenti il coacervo venduto e verificarne la coerenza con i rispettivi dati catastali, ivi comprese le rendite;
b) incoerente doveva essere intesa la valutazione complessiva data dall’Ufficio, com’era evincibile dalla non credibilità del valore riferibile ipoteticamente al posto auto ove si fosse detratto quello dell’appartamento dal valore complessivo espresso dall’Ufficio stesso;
c) la prerogativa di rettifica dei valori dichiarati, in quanto inferiori a quelli di mercato, non poteva che realizzarsi attraverso i moltiplicatori già definiti per i valori catastali, senza il cui cambiamento nessuna divergenza avrebbe potuto trovare considerazione.
Il ricorso è affidato ad un unico complesso motivo, l’intimata si è costituita depositando memoria con documenti.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE.
Con due motivi, esposti unitariamente, la ricorrente deduce vizio di motivazione e violazione di legge, per errata applicazione del D.P.R. n.131 del 1986, art.52, in relazione agli art.360 cpc, comma 1, nn. 5 e 3, avendo la corte di merito erroneamente ritenuto, e conseguentemente mal motivato, il presupposto del potere di rettifica che la norma attribuisce all’Ufficio, escludendolo in virtù della considerazione ad opera della parte dei valori catastali rivalutati attribuiti ad uno dei due beni in compravendita, ma in realtà trascurando che, a tale scopo, non è sufficiente che il contribuente dichiari di avvalersi di tale valutazione automatica, dovendo l’Ufficio procedere ad una verifica sull’effettiva rispondenza del valore dichiarato a quello automaticamente determinabile in base all’applicazione dei coefficienti catastali ed ai loro moltiplicatori.
Evidenziando la fattispecie decisa una dichiarazione cumulativa dei valori, senza precisazione nell’atto del valore attribuito a ciascuno dei due beni ed emergendo che uno di essi (il posto auto) non era dotato al momento dell’atto di autonoma rendita catastale, l’Ufficio ben avrebbe potuto, come esperito, procedere al controllo di congruità ed in particolare sottoporre ad una diversa valutazione di mercato l’oggetto plurimo della compravendita.
1. Osserva in via preliminare il Collegio che la “memoria” dell’intimata è stata depositata in epoca ampiamente eccedente il limite temporale di cui all’art.370 cpc, conseguendone l’inammissibilità per tardività e dunque anche, già per tale ragione, l’identico esito quanto al deposito dei documenti allegati a tale atto.
2. I motivi, da esaminare in via congiunta stante l’evidente connessione, sono fondati.
Un decisivo profilo di esame è costituito dalla evidenziazione degli effetti implicati dalla dichiarazione resa nell’atto dal contribuente e con cui egli intenda avvalersi del sistema della rivalutazione automatica D.P.R. n.131 del 1986, ex art.52, comma 4:
essa, da un lato, costituisce in capo all’Ufficio un limite al potere di accertamento per valori diversi, ma dall’altro non esclude la doverosità di riscontro della sussistenza, nei beni oggetto dell’atto, dei requisiti che rendano possibile una sicura corrispondenza del valore dichiarato a quello automaticamente determinabile in base ai coefficienti moltiplicatori delle rendite.
Tale controllo non appare pienamente perseguibile ove nell’atto, come nella specie avvenuto in sede di compravendita di un appartamento e di un posto auto, sia indicato un valore unitario ed indistinto, circostanza che impedisce detta verifica e per contro giustifica l’esercizio del potere di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta, ai sensi del cit. art. 52, comma 1.
Secondo un indirizzo cui il Collegio intende dare continuità, opera infatti in materia il principio, cui la sentenza impugnata non ha ottemperato, per cui “in tema di imposta di registro, il D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, laddove stabilisce un limite al potere di accertamento dell’Ufficio del registro in ordine agli atti concernenti immobili, ha come presupposti applicativi il fatto che il cespite oggetto dell’atto da registrare, sia dotato di rendita catastale ed il fatto che il contribuente abbia indicato il valore attribuito al bene così da permettere il rapporto tra valore c.d. automatico e catastale; ne consegue che detta norma non può trovare applicazione quando, avendo ad oggetto l’atto da registrare più immobili, ad alcuni di essi non sia stata attribuita la rendita catastale e nell’atto il contribuente abbia dichiarato un valore complessivo per tutti i beni” (Cass. 22207/2011; 3927/2002 e, più in generale anche per altre imposte, altresì Cass. 6417/2003).
Correttamente invero Agenzia delle Entrate ha contestato, indicando le rispettive sedi processuali di enunciazione e riportando in sintesi le censure avanzate al cospetto dei giudici di merito, che entrambi gli immobili fossero dotati di rendita catastale, poiché il posto auto, ancora un terreno agricolo da adibire a tale uso, era privo di rendita catastale adeguata a tale utilizzo e soprattutto a quello richiamato nella compravendita, potendosi perciò censurare la motivazione della C.T.R. che non ha offerto sufficiente argomentazione a tale doglianza, così contravvenendo al principio per cui, ancora con riguardo al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, “laddove stabilisce un limite al potere di accertamento dell’Ufficio del Registro in ordine agli atti concernenti immobili, richiede che l’immobile oggetto dell’atto da registrare sia dotato di rendita catastale riferibile allo stato del bene trasferito al momento della cessione, sicchè il criterio di valutazione automatica non può trovare applicazione quando, a causa di intervenute modifiche, la situazione di fatto e giuridica risulti modificata rispetto a quella catastale, poichè in tale evenienza e come se l’immobile fosse privo di rendita” (Cass. 26685/2009;11279/2003).
2. Il ricorso va pertanto accolto, con cassazione della sentenza e rinvio alla C.T.R. di Milano in altra composizione, affinchè decida in conformità ai principi di diritto sopra evidenziati ed altresì sulle spese del presente giudizio.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, ai sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e, per l’effetto, rinvia le parti alla Commissione Tributaria Regionale di Milano, in altra composizione, rimettendo alla stessa altresì la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
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Numero Protocolo Interno : 143/2013