ISSN 2385-1376
Testo massima
È inammissibile il ricorso in Cassazione avverso sentenza definitiva se i motivi di doglianza riguardino questioni di giurisdizione che siano stati risolti con altra precedente sentenza non definitiva.
È quanto ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Civili, con la sentenza n.773 emessa in data 16/01/2014.
Nel caso di specie, un Ente, a seguito dell’approvazione di una delibera con cui aveva assegnato a due società di credito l’operazione di ristrutturazione di parte del proprio debito per mutui bancari, stipulava con le stesse anche contratti che prevedevano l’emissione di obbligazioni ed operazioni in strumenti finanziari derivati. Successivamente, però, aveva proceduto ad annullare in autotutela le determinazioni a monte dei contratti, sul presupposto che l’intera operazione si era rivelata economicamente inconveniente.
Le due società di credito aveva impugnato innanzi al Tar Toscana i provvedimenti dell’Ente ottenendo che l’annullamento in autotutela non potesse riguardare anche i contratti derivati, ma solo le delibere di affidamento dell’operazione di ristrutturazione del debito. Il Consiglio di Stato, oltre ad accogliere gli appelli delle due società annullando le deliberazioni emesse in autotutela, ha prima pronunciato sentenza non definitiva con la quale risolveva la questione di giurisdizione sollevata dall’Ente affermando la propria competenza anche per quanto atteneva gli effetti di annullamento dei contratti di finanza derivata.
Avverso la sentenza definitiva ricorreva per cassazione il soccombente Ente, dolendosi con unico motivo che il giudice amministrativo avesse “trattato le negoziazioni privatistiche a valle dell’aggiudicazione, palesemente al di fuori della sua giurisdizione” e chiedendo che la sentenza fosse per questo cassata.
La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso perché lo stesso era stato presentato contro la sentenza definitiva mentre i motivi di doglianza riguardavano altra sentenza, quella non definitiva. Gli ermellini, inoltre, hanno ricordato che, ai sensi di quanto disposto dal comma 3, art. 360 c.p.c., il ricorso avverso sentenze non definitive è possibile solo dopo che vi sia stata una sentenza di merito, anche parziale, che permettesse, però, di individuare la parte soccombente legittimata ad impugnare. Ancora, secondo quanto disposto dalla giurisprudenza della stessa Corte (ex multis, Cass., sez. un.; nn. 23891/2010, 2755/2012, 9588/2012), l’attesa di una sentenza di merito per l’impugnazione è essenziale perché la soccombenza non deve essere virtuale, ma effettiva, e deve quindi riguardare il fondo della controversia. Nel caso di specie, il ricorso in Cassazione per motivi di giurisdizione poteva essere espletato solo avverso la sentenza non definitiva, ma le condizioni per ricorrere erano date dalla sentenza definitiva.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento oltre che delle spese processuali anche di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art.1 della legge 228/2012.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5168/2013 proposto da:
ENTE
– ricorrente –
contro
D. B., D. C. S.P.A.
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 5962/2012 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 27/11/2012;
Svolgimento del processo
1 – Nel 2007 un ENTE, a seguito di delibere consiliari di aggiudicazione a D. C. s.p.a. ed a D. B. pie (con sede in (OMISSIS)) dell’operazione di ristrutturazione di parte del proprio debito per mutui bancari, stipulò con le predette società contratti prevedenti anche emissione di obbligazioni ed operazioni in strumenti finanziari derivati.
Nel 2009 annullò in autotutela le determinazioni a monte dei contratti di interest rate swap (per complessivi Euro 95.494.000) sul rilievo che l’intera operazione si era rivelata economicamente non conveniente in ragione dei “costi impliciti” solo successivamente riscontrati dall’Amministrazione (ed ammontanti ad Euro 1.385.355, a fronte di una utilitas di Euro 409.000).
Tali provvedimenti furono impugnati da D.C. e da D.B. (e in via autonoma dell’ENTE, che chiese la declaratoria di inefficacia dei conseguenti contratti) innanzi al Tribunale Amministrativo regionale per la Toscana che, pronunciando nei giudizi riuniti con sentenza n. 6579 dell’11.11.2010, ha bensì ritenuto legittimo l’annullamento in autotutela delle delibere di affidamento dell’operazione di ristrutturazione del debito, ma ha negato che tanto travolgesse anche i contratti a valle, essendo a tal fine necessaria una pronuncia del giudice competente a conoscere dell’esecuzione del contratto, indicato in quello ordinario.
Con altra sentenza n. 154 del 27.1.2011, richiamata la prima, il Tar ha dichiarato per la stessa ragione inammissibili i ricorsi delle parti.
2- Entrambe le decisioni sono state impugnate innanzi al Consiglio di Stato. L’ENTE s’è doluto, in particolare, che fosse stata “inopinatamente negata la giurisdizione del giudice amministrativo” in ordine alla sorte del contratto concluso in esecuzione della deliberazione annullata in autotutela.
Con sentenza non definitiva n. 5032 del 7.9.2011 il Consiglio di Stato ha dichiarato la propria giurisdizione anche in ordine agli effetti dell’annullamento sui contratti di finanza derivata ed ha rimesso la causa sul ruolo per l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio per la valutazione della convenienza economica – in relazione alla previsione di cui alla L. n. 441 del 2001, art. 41 – delle operazioni di gestione del debito dell’ENTE.
Di seguito, con sentenza definitiva n. 5962 del 27.11.2012, in accoglimento degli appelli delle società Dexia e Depfa e sulla scorta delle risultanze della c.t.u., il Consiglio di Stato ha annullato le deliberazioni emesse in autotutela (peraltro respingendo la domanda risarcitoria delle due società).
3.- Avverso la sentenza definitiva ricorre per cassazione i-l soccombente ENTE, dolendosi con unico motivo che il giudice amministrativo abbia “trattato le negoziazioni privatistiche a valle dell’aggiudicazione, palesemente al di fuori della sua giurisdizione” e chiedendo che la sentenza sia per questo cassata.
Resistono con distinti, identici controricorsi le società Dexia e Depfa.
Tutte le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1.- Il ricorso è inammissibile, siccome proposto dall’ ENTE non già avverso la sentenza non definitiva del Consiglio di Stato (n. 5032/2011) che ha affermato la giurisdizione del giudice amministrativo e disposto che la causa proseguisse per l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio senza definire neppure parzialmente il merito, ma avverso la sentenza definitiva (n.5096/2012) che, senza ovviamente statuire sulla giurisdizione, s’è pronunciata nel merito annullando gli atti impugnati (dunque, in senso sfavorevole all’ENTE il quale, in ordine alla sorte dei contratti conclusi a seguito dell’aggiudicazione, prospetta oggi la giurisdizione del giudice ordinario, benchè avesse proposto appello proprio avverso l’affermazione in tal senso del Tribunale amministrativo regionale).
Va detto che la prima delle due citate sentenze del Consiglio di Stato, appunto espressasi nel senso della giurisdizione del giudice amministrativo, era stata invece fatta segno di ricorso per cassazione dalle società oggi resistenti, che allora sostenevano la giurisdizione del giudice ordinario e che a quel ricorso hanno peraltro rinunciato.
2.- Ora, è benvero che la logica che presiede alla inammissibilità del ricorso immediato per cassazione – ex art. 360 c.p.c., comma 3, – contro la sentenza che abbia deciso solo sulla questione di giurisdizione è che, per attingere il livello del giudizio di legittimità, la soccombenza non deve essere virtuale ma effettiva e dunque riguardare il fondo della controversia (ex multis, Cass., sez. un.; nn. 23891/2010, 2755/2012, 9588/2012) e che, pertanto, perchè sia reso possibile l’accesso alla Corte sulla questione di giurisdizione attraverso l’impugnazione della sentenza non definitiva (nella specie, del giudice speciale di secondo grado) che solo quella questione abbia deciso, è necessario che la parte risulti poi soccombente nel merito (giacchè, se risultasse vincitrice, non avrebbe alcun interesse a dolersi della decisione sulla giurisdizione). Ma, per contestare la giurisdizione affermata dal giudice di secondo grado con la sentenza non definitiva, a seguito della sentenza definitiva il ricorso va pur sempre indirizzato avverso la prima e non avverso la seconda sentenza.
Nel caso in esame, dalla lettera del ricorso (pag. 4, quarta e quinta riga), dalla sentenza prodotta in copia dal ricorrente e dallo stesso contenuto dell’esposizione in fatto inequivocamente risulta che il ricorso è stato rivolto avverso la sentenza definitiva del Consiglio di Stato n. 5962/2012 del 27.11.2012, e non già contro la sentenza non definitiva n. 5032/2011, come erroneamente affermato dalla ricorrente in memoria (a pag. 6, quinta e sesta riga).
3.- Va soggiunto che ad identiche conclusioni sull’inammissibilità del ricorso si addiverrebbe, per la stessa ragione (e per quella ulteriore che non risulta formulata riserva facoltativa di ricorso ex art. 361 c.p.c., comma 1), se si ritenesse – ma tanto va escluso per ragioni che è superfluo esporre – che, rigettando i motivi di appello delle due società circa la predicata illegittimità dell’annullamento in autotutela per motivi diversi dalla ravvisata non convenienza economica dell’operazione, la sentenza non definitiva avesse deciso anche su alcune domande e non solo sulla giurisdizione.
4.- Le spese seguono la soccombenza.
5.- Il ricorso è stato notificato il 15.2.2013, dunque in data successiva a quella (31.1.2013) di entrata in vigore della L. 24 dicembre 2012, n. 228, il cui art. 1, comma 17, ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater, del seguente tenore:
“Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazone, principale o incidentale, a norma dell’art. 1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”.
Essendo il ricorso inammissibile, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE, A SEZIONI UNITE, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese che, per ciascuna delle controricorrenti, liquida in Euro 12.200, di cui 12.000 per compensi, oltre agli accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civile, il 26 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 16 gennaio 2014
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Numero Protocolo Interno : 70/2014