ISSN 2385-1376
Testo massima
Con ordinanza del 18 marzo 2014 il Tribunale di Vigevano, a scioglimento della riserva assunta, dichiarava la inammissibilità come teste del funzionario alle dipendenze della banca che aveva intrattenuto rapporti con il cliente.
Le valutazioni su cui si fonda la decisione hanno riguardo due ordini di motivi.
In primo luogo, richiamando una decisione del Tribunale di Vicenza ( sent. n. 187 del 15.02.2011), il giudicante rileva come, ove il funzionario dipendente dell’intermediario sia ritenuto responsabile di eventuali violazioni di obblighi di condotta o di invalidità contrattuali, lo stesso potrebbe essere chiamato in causa dall’istituto di credito stesso per essere ritenuto indenne dalle conseguenze della eventuale condanna.
Secondo altro ordine di valutazione, si evidenzia come debba essere considerata la peculiare situazione in cui il dipendente si troverebbe dinanzi alla alternativa di dover ammettere un eventuale inadempimento di cui si è reso responsabile verso il proprio datore di lavoro, oppure non dire la verità per ovviare a tale stato di cose.
Si deduce pertanto la incapacità del dipendente dell’Istituto di credito anche in considerazione della situazione di inconciliabilità di teste ex art. 246 c.p.c.
La decisione in commento si colloca in un contesto giurisprudenziale non univoco, del quale l’ordinanza stessa dà atto, richiamando anche l’autorevole intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte sulla questione.
In vero un risalente orientamento riteneva come non potesse essere dedotta l’incapacità di testimoniare del dipendente di una banca per il solo fatto che questa, in quanto citata in giudizio, avrebbe potuto poi convenirlo in garanzia nel medesimo procedimento in base alla eventuale responsabilità su cui si fonda la controversia. Ciò in quanto le due cause si fonderebbero su diversi rapporti giuridici.
Altro orientamento giurisprudenziale ha ritenuto invece ammissibile la testimonianza del dipendente della banca compiendo però alcune distinzioni. Da un lato, la si è ritenuta ammissibile nel caso in cui non venga dedotta in giudizio la responsabilità dell’intermediario per fatto illecito altrui disciplinato dall’art. 2049 c.c. (Tribunale di Mantova del 11.04.2006, Tribunale di Parma del 03.03.2006). Dall’altro, la testimonianza del dipendente è stata ritenuta ammissibile in quanto lo stesso avrebbe un interesse marginale riguardo alla soluzione della controversia instaurata contro l’intermediario (Tribunale di Parma 16.06.2005).
Tale ultimo assunto è stato corroborato da una decisione della Corte di Appello di Brescia che, nel merito, ha precisato come sia ammissibile la testimonianza del dipendente dell’intermediario finanziario nel giudizio promosso contro quest’ultimo, in quanto tale giudizio ha causa petendi diversa rispetto a quello in cui l’intermediario chiami in garanzia il proprio dipendente.
Si deve, a questo punto, dare atto anche di una ulteriore tesi che invece conferma la incapacità di testimoniare del dipendente bancario in quanto quest’ultimo, come detto, potrebbe essere chiamato in giudizio per rispondere anche in via solidale con essa.
Nel dibattito sin qui ricostruito è intervenuta anche la Suprema Corte che, a Sezioni Unite (sent.26724/2007), ha sancito come non sia sufficiente che il funzionario o il dipendente bancario abbia mantenuto con il cliente rapporti da cui sono originate poi le pretese risarcitorie, per determinare la loro incapacità a testimoniare o ritenerli titolari di un interesse che ne giustifichi la partecipazione al giudizio.
In vero una recente sentenza della Corte di Appello di Milano ha confermato come la testimonianza del dipendente possa essere ritenuta ammissibile in quanto lo stesso ha solo un interesse riflesso riguardo all’esito della causa, disponendo la necessità di una attenta valutazione della testimonianza resa sulla base di elementi sia soggettivi che oggettivi. ( Corte di Appello di Milano15.04.2009).
Di fatto la decisione in commento si colloca in un dibattito giurisprudenziale non ancora risolto da una tesi prevalente.
Occorre, però, dare atto di come il tribunale di Vigevano prenda in esame il peculiare possibile conflitto in cui il dipendente della Banca si troverebbe nella circostanza di dover ammettere dinanzi al proprio datore di lavoro una propria colpa oppure mentire per ovviare a tale eventualità.
Dinanzi ad una simile scelta è forse da preferire l’inammissibilità della testimonianza anche in considerazione del dettato normativo di cui all’art. 246 c.p.c.
Testo del provvedimento
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