LA MASSIMA
L’incapacità naturale, prevista dall’art.428 cc, va accertata dal giudice del merito, la cui valutazione in ordine alla gravità della diminuzione di tali capacità non è normalmente censurabile in cassazione se adeguatamente motivata, dovendo l’eventuale vizio della motivazione emergere, in ogni caso, direttamente dalla sentenza e non dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità.
L’incapacità naturale, prevista dall’art.428 cc, si connota non già per la totale o sensibile privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la sola menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere.
In particolare, è necessario e sufficiente che per tale menomazione le facoltà intellettive e volitive risultino diminuite in modo tale da impedire od ostacolare una seria valutazione dell’atto e la formazione di una volontà cosciente, facendo quindi venire meno la capacità di piena autodeterminazione del soggetto e la completa consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere.
L’incapacità naturale, prevista dall’art.428 cc, non ricorre in presenza di UNO STATO D’ANIMO INDOTTO DA DISPIACERI ANCHE GRAVI, a meno che questi non abbiano cagionato un’autentica patologica alterazione mentale.Più in generale, non è sufficiente che il normale processo di formazione e di estrinsecazione della volontà SIA IN QUALCHE MODO TURBATO, come può accadere in caso di grave malattia, ma è necessario che le facoltà intellettive e volitive del soggetto siano, a causa della malattia, perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio.
Sulle pronunce di interdizione e di inabilitazione si forma allora un giudicato sui generis in quanto la decisione cristallizza esclusivamente l’assenza e/o la sussistenza dei requisiti per pronunciare l’inabilitazione. Il giudice, in un successivo giudizio ove viene contestata la capacità di agire ex art.428 cc, è tenuto, in ogni caso, a verificare l’effettivo stato del soggetto, senza alcuna sorta di preclusione e senza alcuna presunzione di persistenza intermedia della capacità di intendere. Nel caso di specie è stata ritenuta errata ed incongrua la decisione che aveva fondato nella sentenza di rigetto dell’istanza di inabilitazione, una sorta di intangibile riconoscimento della pienezza della capacità di intendere e di volere fino a quel momento e della carenza di diminuzioni di tali facoltà in ogni singolo momento di qualunque periodo anteriore, senza motivare in relazione ad altri elementi rivelatori del possibile stato di incapacità.
LA SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2074/2010 proposto da:
TIZIO, CAIO e SEMPRONIO
RICORRENTI
contro
MEVIO e OTTAVIO
CONTRORICORRENTI
avverso la sentenza n.1419/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 28/10/2009 R.G.N. 2139/06;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.1. TIZIO, CAIO e SEMPRONIO ricorrono per la cassazione della sentenza n.1419 del 28.10.09 della Corte di appello di Firenze, con la quale, in accoglimento dell’appello di loro zio MEVIO e di loro cugino OTTAVIO, era stata rigettata la domanda di annullamento di tre contratti di compravendita immobiliare stipulati con questi ultimi da SONIA GIALLO, nonna delle ricorrenti e di R., nonchè madre di MEVIO, domanda intrapresa dalla tutrice della SONIA GIALLO dopo la dichiarazione di interdizione della medesima e proseguita dalle odierne ricorrenti a seguito del decesso della comune dante causa.
1.2. In particolare, il tribunale di Firenze aveva ritenuto provata l’incapacità dapprima sulle ammissioni, da parte di uno degli acquirenti, contenute in un precedente per inabilitazione da lui prima intentato, ma concluso con il rigetto, poi sulle cc.tt.u. del procedimento di inabilitazione e di interdizione, nonchè sulle prove testimoniali via via assunte; ed aveva dato rilievo alla mancata prova del versamento dei corrispettivi, nonché alla mala fede dei convenuti desunta tra l’altro, dai pessimi rapporti coi congiunti.
Da tanto era derivato il rigetto della domanda riconvenzionale dei convenuti, volta a conseguire il risarcimento dei danni per la trascrizione della domanda di annullamento.
1.3. Invece, la corte di appello: ha ritenuto che, con il passaggio in giudicato della sentenza che aveva rigettato l’istanza di inabilitazione, la carenza dei relativi requisiti doveva aversi per indubbia almeno fino alla sua pronuncia e quindi fino al 27.4.87, con conseguente inutilizzabilità del contenuto della CTU svolta nel corso del relativo giudizio e di tutte le testimonianze riferibili all’epoca anteriore; ha qualificato come assai dubbia l’affermazione del C.T.U. del procedimento di interdizione in ordine alla RETRODATAZIONE DELLO STATO DI INFERMITÀ MENTALE, nonostante la certezza dell’ictus in data anteriore alla stipula dei contratti, per l’assenza di elementi certi sugli stati intermedi; ha ritenuto irrilevante la deposizione del medico di fiducia, siccome riferita a tempi anteriori e comunque a situazioni potenzialmente transeunti; ha escluso l’affidabilità delle deposizioni testimoniali valorizzate dal primo giudice, in quanto riferite a periodi anteriori alla definitività del rigetto dell’inabilitazione, oppure relative a tratti caratteriali dell’interdicenda, oppure ancora contraddette dalla deposizione di altro e più qualificato testimone, l’infermiera professionista della casa di cura ove la S. era stata ricoverata; ha escluso la mala fede, deponendo in senso contrario sia il rigetto dell’inabilitazione (che avrebbe potuto fondare l’affidamento sulla buona salute psichica della interdicenda), sia la produzione di certificazione sulle capacità della venditrice (perchè funzionale i all’accertamento in tal senso del notaio rogante); ha al contempo rigettato la domanda dei convenuti in primo grado ai sensi dell’art.96 cpc, per la presenza di elementi che, rendendo se non altro plausibile la tesi dell’incapacità, escludono la mala fede.
1.4. Al ricorso di TIZIO, CAIO e SEMPRONIO, articolato su DUE MOTIVI.
Resistono con controricorso MEVIO e OTTAVIO.
Per la pubblica udienza del 17.1.12, tutte le parti illustrano le rispettive posizioni con le memorie ai sensi dell’art.378 cpc, e prendono parte alla discussione orale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Le ricorrenti TIZIO, CAIO e SEMPRONIO sviluppano due motivi:
2.1. con il PRIMO – rubricato “violazione e/o falsa applicazione dell’art.428 cc, comma 1, e degli artt.2727 e 2729 cc, anche in relazione agli artt.115 e 116 cpc, (art.360 cpc n.3); omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art.360 cpc, n.5)”,dalle pagine 13 a 36 del ricorso – esse censurano la gravata sentenza per L’ERRONEITÀ DELLA NOZIONE DI INCAPACITÀ NATURALE POSTA A BASE DELLA DECISIONE e per la conseguente SCORRETTEZZA DELLA VALUTAZIONE DELLE PROVE; quanto al primo aspetto, esse ricordano i principi di questa Corte di legittimità e si dolgono della svalutazione delle risultanze delle consulenze tecniche di ufficio e di tutti gli altri elementi probatori, anche presuntivi, invece raccolti, da valutarsi oltretutto complessivamente e non singolarmente presi; e trascrivono poi in ricorso, indicandone pure la sede processuale, le risultanze istruttorie a loro dire a sostegno dell’allegata incapacità;
2.2. con il SECONDO – rubricato “violazione e/o falsa applicazione dell’art.428 cc, comma 2, e degli artt.2727 e 2729 cc, anche in relazione agli artt.115 e 116 cpc (art.360 cpc, n.3); omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art.360 cpc, n.5)”, dalle pagine 36 a 44 del ricorso – esse lamentano analoghi vizi della gravata sentenza in ordine all’ESCLUSIONE DELL’ELEMENTO DELLA MALAFEDE della controparte degli atti annullabili, che esse rinvengono in specifiche circostanze e soprattutto nella manifesta sproporzione del prezzo indicato come versato rispetto a quello di mercato, del tutto trascurata dalla pronuncia della corte territoriale.
3. Dal canto loro, MEVIO e OTTAVIO contestano in rito e nel merito gli avversi motivi, escludendo i prospettati errori in diritto e nella valutazione delle prove, le quali ultime a loro volta richiamano esaltandone gli aspetti e gli elementi che a loro dire avrebbero escluso la dedotta incapacità naturale.
4. Il primo motivo è fondato.
4.1. La corte territoriale esclude la prova di un’incapacità naturale al tempo della stipula dei contratti:
– per il giudicato sul rigetto dell’istanza di inabilitazione e quindi sulla piena capacità fino a quel momento;
– per l’irrilevanza delle risultanze di ogni singola testimonianza in astratto favorevole alla tesi della incapacità: ora – come quella del medico di fiducia – perché riferita a tempi anteriori e comunque a situazioni potenzialmente transeunti; ora perché relative a fatti accaduti prima della definitività del rigetto dell’istanza di inabilitazione; ora perché relative a meri fatti caratteriali dell’interdicenda; ora perché contraddetti dalla deposizione di infermiera professionista della casa di cura ove ella era stata ricoverata;
per il carattere dubitativo dell’affermazione del CTU del procedimento di interdizione in ordine alla retrodatazione dello stato di infermità mentale, nonostante la certezza dell’ictus in data anteriore ai contratti, per l’assenza di elementi certi sugli stati intermedi.
4.2. Per valutare la congruità logica e giuridica di tali argomentazioni, è necessario, in considerazione del tempo in cui fu resa la pronuncia di rigetto dell’istanza di inabilitazione e per l’individuazione del contenuto dell’eventuale preclusione da giudicato riconosciuta ad essa dalla corte territoriale, ricordare I PRESUPPOSTI DELL’INABILITAZIONE in base all’interpretazione dell’istituto anteriore all’entrata in vigore della Legge 9 gennaio 2004, n.6, che ha riformato, con l’introduzione dell’ISTITUTO DELL’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO, il regime di protezione delle persone incapaci ed innovato grandemente anche il regime dei reciproci discrimina tra gli istituti tradizionali ed il nuovo (dovendosi ora invece ritenere, in conformità con l’indirizzo interpretativo di questa Corte, che piuttosto la scelta dell’istituto da applicare dipende dalla maggiore rispondenza di ciascuno alle reali esigenze del loro beneficiario: Cass. 22 aprile 2009, n.9628):
tali presupposti si individuavano sostanzialmente in un’infermità mentale tale da ridurre l’inabilitando in uno stato permanente di incapacità di provvedere da sè solo alla cura dei suoi affari, bisogni ed interessi, sia pure in misura meno grave dell’interdizione, la quale escludeva del tutto l’idoneità del soggetto a tal fine; 1’infermità mentale che veniva in considerazione per la dichiarazione d’inabilitazione consisteva in un’alterazione delle facoltà mentali in un grado tale da determinare un’incapacità parziale di curare i propri interessi, tale da imporre, a tal fine, la cooperazione di un altro soggetto (tra le altre, anteriori alla richiamata riforma del 2004: Cass. 11 febbraio 1994, n. 1388).
4.3. Al contrario, l’incapacità naturale, prevista dall’art.428 cc:
4.3.1. si connota non già per la totale o sensibile privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la sola menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere (Cass. 1 settembre 2011, n.17977;Cass. 8 giugno 2011, n.12532): in particolare, è necessario e sufficiente che per tale menomazione le facoltà intellettive e volitive risultino diminuite in modo tale da impedire od ostacolare una seria valutazione dell’atto e la formazione di una volontà cosciente, facendo quindi venire meno la capacità di piena autodeterminazione del soggetto e la completa consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere (tra le molte: Cass. 14 maggio 2003 n.7485; Cass. 15 gennaio 2001, n.515);
4.3.2. NON ricorre in presenza di UNO STATO D’ANIMO INDOTTO DA DISPIACERI ANCHE GRAVI, a meno che questi non abbiano cagionato un’autentica patologica alterazione mentale (Cass. 8 marzo 2005, n.4967): più in generale, non è sufficiente che il normale processo di formazione e di estrinsecazione della volontà SIA IN QUALCHE MODO TURBATO, come può accadere in caso di grave malattia, ma è necessario che le facoltà intellettive e volitive del soggetto siano, a causa della malattia, perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio; ciò che va provato in modo rigoroso e specifico (Cass. 26 maggio 2000, n.6999); pertanto, non è sufficiente neppure argomentare sulla base di una pure conclamata malattia, ma che ammetta fasi o momenti di lucido intervallo (Cass. 25 novembre 2003, n. 17915, riferita al morbo di Alzheimer di grado medio);
4.3.3. va accertata dal giudice del merito, la cui valutazione in ordine alla gravità della diminuzione di tali capacità non è normalmente censurabile in cassazione se adeguatamente motivata (tra le molte: Cass. 8 giugno 2011, n.12532, Cass. 26 febbraio 2009, n. 4677; Cass. 2 : novembre 2004, n.21050; Cass. 5 febbraio 2004, n.2210; Cass. 15 gennaio 2004, n.515; Cass. 14 maggio 2003, n.7485;Cass. 28 marzo 2002, n.4539), dovendo l’eventuale vizio della motivazione emergere, in ogni caso, direttamente dalla sentenza e non dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 1 settembre 2011, n.17977).
4.4. Sulle pronunce di interdizione e di inabilitazione si forma allora un giudicato sui generis:
4.4.1. già nell’impostazione originaria del codice – ma a maggior ragione a seguito della riforma del 2004, che le ha relegate al rango di extrema ratio – l’interdizione e l’inabilitazione, siccome grandemente limitative della capacità di agire, costituivano l’eccezione alla regola della pienezza dell’esercizio dei propri diritti da parte di ciascun individuo e dovevano necessariamente correlarsi ad un’infermità mentale (idonea ad escludere la capacità di provvedere ai propri interessi) che non soltanto fosse abituale, ma che soprattutto persistesse nel tempo; la pronuncia costitutiva che dichiara un soggetto interdetto o inabilitato è così da subito stata ritenuta indissolubilmente correlata alla persistenza di tale infermità, tanto da essere qualificata come resa allo stato degli atti;
4.4.2. se allora tale pronuncia passa in cosa giudicata formale, ciò che è coperto da quest’ultima non è certo che la persona, cui quella si riferisce, sia affetta da quell’infermità da allora in avanti e per sempre: ma soltanto che quella persona è affetta da detta infermità nel momento della pronuncia e che lo è stata fino a quel momento con le modalità accertate nella sentenza stessa;
4.4.3. in tutti i casi in cui una simile infermità – e nel grado di gravità specificamente riconosciuto con la pronuncia – venga invece meno, o le sue caratteristiche siano modificate, vuoi per il decorso spontaneo della malattia, vuoi per i progressi della scienza medica e quindi delle valutazioni diagnostiche o dell’efficacia delle terapie, è prevista la revoca della pronuncia di interdizione od inabilitazione, al fine di adeguare (nuovamente) la situazione di diritto a quella di fatto.
4.5. Simmetricamente, in caso di rigetto dell’istanza di inabilitazione, non può passare in giudicato allora altro che l’assenza, al momento della sentenza, dei requisiti per pronunciare l’inabilitazione, cioè di una permanente e seria menomazione delle facoltà mentali dell’interessato, nonchè l’irrilevanza, ma a questi soli e specifici fini, degli episodi valutati fino a quel momento; questi ultimi, come pure il complessivo stato psichico dell’interessato, rilevano invece in sè considerati, oppure anche quali fatti noti da utilizzare, ove peraltro ne ricorrano tutti i presupposti, per risalire ad eventuali fatti ignoti, secondo lo schema della presunzione.
4.6. A tutto concedere, il rigetto dell’istanza di inabilitazione potrebbe comportare l’inoperatività della presunzione di persistenza intermedia dell’incapacità di intendere e volere, riconosciuta dalla giurisprudenza in caso di accertamento di due momenti temporali di sicura incapacità (da ultimo, confermando un orientamento costante, v.: Cass. 9 agosto 2011, n.17130; Cass. 12 marzo 2004, n.5159, in merito a malattie permanenti, ma non anche ad andamento c.d. bipolare, per questa occorrendo invece la prova positiva dell’incapacità all’atto della stipula; Cass. 28 marzo 2002, n.4539): ma lascia del tutto impregiudicata la rilevanza dei fatti anteriori, anche se è plausìbile che essa sia in concreto inversamente proporzionale alla loro lontananza temporale dalla stipula dei contratti sospetti di annullabilità; ed anche le valutazioni, quand’anche dubitative, dei medesimi operate nel corso del relativo giudizio dagli ausiliari del giudice possono essere se non altro in concreto valutate, in quanto tese ad accertare una condizione di fatto diversa da quella immediatamente rilevante per l’annullamento.
4.7. Erra allora la corte territoriale nell’affermare che quel rigetto comporti una sorta di intangibile riconoscimento della pienezza della capacità di intendere e di volere fino a quel momento e della carenza di diminuzioni di tali facoltà in ogni singolo momento di qualunque periodo anteriore: ed è pertanto incongrua, appunto da un punto di vista strettamente giuridico, la valutazione di irrilevanza dei fatti e degli accertamenti anteriori, i quali andavano invece considerati in sè e per sè, in rapporto al contesto successivo ed agli sviluppi della malattia dell’interessata.
4.8. Già solo per questo si impone la cassazione della gravata sentenza, affinché la corte territoriale rinnovi la sua valutazione, considerando l’eventuale rilevanza degli episodi anteriori alla pronuncia di rigetto dell’istanza di inabilitazione, in rapporto allo sviluppo della malattia della SONIA GIALLO ed al tempo della stipula dei contratti di cui si chiede l’annullamento. Resta allora assorbito l’ulteriore profilo di doglianza del primo motivo, relativo alla considerazione atomistica dei singoli elementi, potendosi apprezzare la congruità o meno delle scelte solo all’esito della rinnovata valutazione a farsi.
5. Anche il secondo motivo è fondato.
5.1. La corte fiorentina, pur dando per assorbito l’esame del requisito della mala fede e di ogni altro per l’invocato annullamento, comunque non tanto esclude la sussistenza del primo in ordine ad una sola delle controparti della SONIA GIALLO in base, ancora una volta, ad un’interpretazione della sentenza di rigetto dell’istanza di inabilitazione che si è visto non condivisibile, quanto piuttosto neppure si pone il problema degli altri elementi rivelatori, quali i fatti anteriori e, soprattutto, la notevole sproporzione tra il valore di mercato dei beni venduti ed i prezzi esposti nei tre contratti per cui è causa.
5.2. La valutazione sull’affidamento, da parte peraltro di uno solo dei contraenti, cioè MEVIO (v. pag. 11 della gravata sentenza), sull’esito del rigetto dell’istanza di inabilitazione oppure sul conseguimento di un certificato – benchè, a quanto consta, non proveniente da uno specialista qualificato per la fattispecie – da produrre in sede di stipula rimane stavolta in punto di mero fatto e sfugge quindi alla censura di incongruità ed illogicità della motivazione: del resto non potendosi pretendere dall’interessato una serie di nozioni giuridiche, quali quelle qui coinvolte per il giudizio di diritto sull’insussistenza di qualsiasi giudicato derivante dal rigetto dell’istanza di inabilitazione (e che invece inficia la decisione di secondo grado per quanto su argomentato).
5.3. Non sfugge invece alle censure delle ricorrenti la mancata considerazione dell’ulteriore elemento, ampiamente sostenuto in giudizio (stando a quanto riportato nel ricorso per cassazione ed in ossequio al principio della sua autosufficienza), del divario tra valore di mercato e prezzo esposto negli atti di cui si chiede l’annullamento; mentre comunque non è svolta alcuna considerazione in ordine all’altra delle controparti della MEVIO e OTTAVIO.
5.4. Benchè l’accertamento in concreto della malafede rilevante ai fini dell’art.428 cc, sia rimesso al giudice del merito e sia incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato (tra le molte, Cass. 5 febbraio 2004, n.2210; Cass. 26 febbraio 2009, n. 4677), la totale omissione della considerazione di un simile divario tra valore di mercato e prezzo esposto – il quale, se accertato, costituirebbe un importante sintomo rivelatore della malafede del contraente non incapace (Cass. 14 maggio 2003, n. 7403;Cass. 9 agosto 2007, n. 17583; Cass. 26 febbraio 2009, n.4677) – vizia allora il giudizio della corte territoriale, la cui pronuncia va cassata anche sul punto.
6. In conclusione, la gravata sentenza va cassata, con rinvio alla corte di appello di Firenze in diversa composizione, affinchè rinnovi la valutazione degli elementi probatori senza la ritenuta preclusione derivante dal rigetto dell’istanza di inabilitazione e, quanto alla malafede delle controparti della SONIA GIALLO, tenendo conto anche dell’eventuale divario tra valore di mercato dei beni e prezzi esposti nei singoli contratti, ove accertato.
PQM
La Corte accoglie il ricorso; cassa, in relazione alle censure accolte, la gravata sentenza e rinvia alla corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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