ISSN 2385-1376
Testo massima
Il correntista è privo di legittimazione ad agire per ripetizione di indebito nei confronti del beneficiario dell’assegno con firma apocrifa, in quanto l’azione compete in via esclusiva alla banca trattaria poiché “solvens” del pagamento.
La Corte di Cassazione, sezione terza, con sentenza n. 19565 del 29/09/2004, ha deciso sulla legittimazione attiva dell’azione di ripetizione delle somme indebitamente pagate al beneficiario dell’assegno bancario con firma falsificata, negando la stessa in capo al correntista e riconoscendola in via esclusiva alla banca trattaria.
Si rileva che sussiste l’indebito oggettivo ex art. 2033 cc quando un soggetto versa una somma di danaro sulla supposizione di esser obbligato alla prestazione, mentre in realtà non vi è la causa giustificativa della medesima.
Va, infatti, rilevato che l’indebito oggettivo ex art. 2033 cc si verifica nel caso in cui il pagamento (o la prestazione ovvero ancora l’attribuzione patrimoniale) effettuato non è dovuto da alcuno, nel senso che non sussiste il rapporto debitorio. L’attribuzione patrimoniale effettuata può essere ritenuta priva di una causa giustificativa, per cui colui che ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto a ripetere ciò che ha pagato.
La sentenza in esame, quindi, individua chiaramente il soggetto in capo al quale sussiste la legittimazione ad agire ex art. 2033 cc nonché il principio e i presupposti in virtù dei quali lo stesso viene qualificato come “solvens“.
La Corte di legittimità ha emesso tale decisione, partendo dal presupposto che l’art. 2033 cc sancisce che chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Perciò legittimato al recupero, secondo la norma, è il solvens non colui che ha concretamente subito il pregiudizio economico, precisando che è la Banca che ha soddisfatto i titoli sulla erronea convinzione dell’esistenza dell’obbligazione e dell’ordine del traente, invece mancante, ai sensi dell’art. 10 R.D. 1736/33, essendo stata contraffatta la firma apposta su di essi, per cui:
a) il versamento non è imputabile al traente e, perciò, la banca trattaria lo deve tenere indenne;
b) il diritto – onere di recuperare il versamento sussiste per chi è incappato nell’errore, e cioè la banca trattaria che ha pagato l’accipiens, rapporto a cui è estraneo il traente perchè, non avendo emesso alcun ordine, non può essergli addebitato alcunchè.
In particolare, tale principio è fondato sull’assunto che la falsità della firma di emittenza di un assegno bancario non crea alcuna obbligazione cartolare a carico di colui che appare esserne l’autore (art. 10 legge 21 dicembre 1933 n. 1736), nè promessa di pagamento al prenditore, nè ordine o delega di pagamento alla banca trattaria, e perciò, se questa versa il relativo importo al possessore del titolo, non può riversare il corrispondente importo sul conto del correntista estinguendo la relativa provvista costituita dai fondi su di esso depositati. Pertanto il pagamento effettuato dalla banca – che con l’accettazione dell’assegno non assume alcuna obbligazione autonoma verso il prenditore (Cass. 535/2000) – sull’erroneo presupposto di adempiere un obbligo verso il traente, che invece non esiste – e proprio per questo la somma corrisposta, priva di causa solutoria, configura l’indebito oggettivo – la legittima, in qualità di solvens ad esperire l’azione restitutoria nei confronti dell’accipiens.
La decisione è stata emessa a seguito di una azione proposta dal correntista nei confronti dei beneficiari di assegni con sottoscrizione apocrifa per ottenere la convalida del sequestro conservativo dei beni degli stessi e la restituzione delle somme incassate in virtù dei detti titoli.
Il Tribunale di Catania, con sentenza del 18 febbraio 1995, rigettava la domanda risarcitoria per fatto illecito dei convenuti per mancanza di prova del loro comportamento doloso, e la domanda di restituzione per indebito oggettivo per mancanza di presupposti dell’azione, in quanto la legittimazione attiva spettava a chi aveva effettuato il pagamento, e cioè nella specie alla banca che aveva incassato i titoli di cui era divenuta proprietaria per girata piena.
Proposto gravame dalla società attrice in primo grado, la Corte territoriale di Catania ha accolto l’appello, con sentenza del 29 febbraio 2000, in relazione al motivo concernente la esperibilità e fondatezza dell’azione di indebito arricchimento, affermando la sussistenza della legittimazione attiva della correntista ad agire per la ripetizione di indebito e precisando che, benchè la malafede dei possessori dei titoli non fosse provata, sussistendo però l’indebito oggettivo per le somme riscosse, il beneficiario delle somme di cui agli assegni con firma apocrifa doveva restituire le stesse.
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ritenendo legittimato all’azione di ripetizione ex art. 2033 cc la Banca trattaria, ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata, a norma dell’art. 382 cpc, ultimo comma, sul presupposto che il difetto di legittimazione dell’attrice toglie in radice ogni possibilità di prosecuzione dell’azione (Cass. 2517/2000).
La Corte ha, quindi, affermato che, non essendo possibile l’imputazione giuridica del pagamento ad altri se non a colui che lo ha effettuato, all’azione restitutoria non può esser legittimato colui al quale tale imputazione competerebbe se esistesse il rapporto giuridico da adempiere. Ne consegue che, se la banca, sulla base di una delega supposta, ma inesistente, versi la somma corrispondente ad un assegno bancario che in realtà non è stato tratto, solo provvisoriamente può riferire all’apparente traente il supposto pagamento, ma non in via definitiva e quindi, venuta a conoscenza della falsità della firma di traenza e della conseguente inesistenza dell’ordine di pagare, deve stornare la somma addebitata al correntista.
La Corte ha dato ulteriore peso al principio affermato in ordine alla titolarità dell’actio indebiti precisando, altresì, che la legittimazione a proporre detta azione- il cui fondamento è la mancanza di causa solutoria da parte del solvens nei confronti dell’accipiens e non il depauperamento dell’uno o lo arricchimento dell’altro non può essere vincolata all’accertamento del soggetto responsabile e, cioè, non può variare neanche in dipendenza del previo accertamento di chi sia il soggetto sul quale debbano definitivamente gravare le conseguenze dannose della falsificazione.
L’individuazione del soggetto legittimato a proporre l’azione ex art. 2033 cc non è, quindi, vincolata al preventivo accertamento, nel caso di assegno bancario con firma di traenza falsa, di chi delle parti, tra traente e trattario, sia contrattualmente responsabile in base alla convenzione di cheque (che tra l’altro obbliga il correntista a custodire con ogni diligenza il carnet) ai principi comuni sulla colpa (che, secondo la diligenza del buon padre di famiglia, lo obbliga a denunziarne senza ritardo il furto o lo smarrimento), e alla diligenza professionale del banchiere (che tra l’altro lo obbliga a controllare lo specimen della firma del traente).
Nella motivazione della sentenza in commento, la Corte, affermando di voler conformare il medesimo orientamento assunto con precedenti decisioni, ha richiamato la sentenza n.9167 dell’1 agosto 1992, che, in materia fallimentare, ha enunciato un principio analogo, affermando la non imputabilità al correntista fallito del pagamento eseguito con addebito in conto corrente dopo l’apertura della procedura concorsuale, e la conseguente legittimazione della sola azienda di credito all’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c. nei confronti dell’accipiens.
La titolarità del rimedio ex art. 2033 c.c. in capo alla banca che ha pagato è stata più volte riconosciuta dalla Corte di legittimità con precedenti sentenze e, precisamente, con la sentenza n. 4502 del 28 marzo 2002, con la quale è stato, allo stesso modo, affermato che in tema di conto corrente, qualora la banca girataria per l’incasso di un assegno accrediti al proprio cliente il relativo importo in ragione della comunicazione del buon fine del titolo da parte dell’istituto trattario, l’erroneità di tale presupposto in quanto era stata falsificata la firma di traenza, conferisce alla banca medesima azione di ripetizione, ai sensi dell’art. 2033 c.c., vertendosi in tema d’indebito oggettivo.
Con la innanzi richiamata pronuncia del 2002, infatti, la Corte ha statuito che la falsità della sottoscrizione rende privi di causa i pagamenti effettuati in nome proprio (anche se nell’interesse del traente) dalla banca trattaria, legittimandola all’azione di ripetizione nei confronti di chi ha ricevuto il pagamento (Cass., 3 dicembre 1968, n. 4089; 3 maggio 1978, n. 2050; in senso analogo Cass., 1 agosto 1992, n. 9167; 26 maggio 1990, n. 4911), sia in base alle norme in tema di mandato, per la considerazione che il pagamento è ad essa giuridicamente riferibile (Cass., 7 luglio 1980, n. 4340), sia in base ai principi in tema di delegazione, sul rilievo che la falsità della firma di traenza, determinando il venir meno del rapporto di provvista e del rapporto di valuta, legittima l’autore materiale del pagamento ad agire direttamente nei confronti del delegatario (art. 1271, secondo comma, c.c.).
In definitiva l’azione di ripetizione può essere esercitata esclusivamente dalla Banca, non avendo il correntista alcuna azione nei confronti del terzo.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TIZIO
– RICORRENTE –
contro
ALFA SPA, in persona del suo Presidente e legale rappresentante GM
– CONTRORICORRENTE –
e contro
MM, FM, FG, FP, FPM, FA, BANCA, SG;
– INTIMATI –
avverso la sentenza n. 147/00 della Corte d’Appello di CATANIA, emessa il 19/11/99 e depositata il 29/02/00 (R.G. 754/95);
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 2 aprile 1987 la s.p.a. ALFA conveniva dinanzi al Tribunale di Catania TIZIO e FS chiedendo la convalida del sequestro conservativo ottenuto sui loro beni e, a titolo di risarcimento dei danni per fatto illecito, o, in via subordinata, per mancanza di causa solutoria del versamento, la loro condanna alla restituzione rispettivamente della somma di L. 30.000.000 e L. 88.000.000, oltre accessori, incassata attraverso gli assegni emessi sul suo conto corrente, con la sua firma falsa, tratti da un carnet che le era stato rubato. Specificava che nell’ottobre 1985, dagli estratti del conto corrente intrattenuto con BANCA, aveva riscontrato che erano stati pagati cinque assegni, tutti emessi all’ordine di SG, che li aveva girati uno al FS, e quattro a TIZIO.
Entrambi i convenuti invocavano la loro buona fede e chiedevano il rigetto della domanda.
Il FS otteneva di chiamare in causa lo SG e BANCA. Lo SG restava contumace, mentre BANCA eccepiva l’inammissibilità della domanda, affermandone inoltre l’identità con altra instaurata nei suoi confronti dalla s.p.a. ALFA, per cui eccepiva la litispendenza. Deceduto il FS, e riassunto il giudizio nei confronti dei suoi eredi, si costituiva soltanto MM.
Il Tribunale di Catania, con sentenza del 18 febbraio 1995, rigettava la domanda risarcitoria per fatto illecito dei convenuti FS e TIZIO per mancanza di prova del loro comportamento doloso nel creare una apparente posizione debitoria, formando e usando gli assegni falsi, ovvero della loro consapevolezza della provenienza illecita degli assegni, e la domanda di restituzione per indebito oggettivo per mancanza di presupposti dell’azione, in quanto la legittimazione attiva spettava a chi aveva effettuato il pagamento, e cioè nella specie alla banca che aveva incassato i titoli di cui era divenuta proprietaria per girata piena. Quindi compensava le spese tra l’attrice e le parti da essa convenute. Rigettava altresì le domande dell’erede del FS nei confronti dello SG e della banca, e la condannava alle spese a favore di quest’ultima.
Proposto appello dalla società ALFA, veniva accolto dalla Corte di Appello di Catania, con sentenza del 29 febbraio 2000, in relazione al motivo di appello concernente la esperibilità e fondatezza dell’azione di indebito arricchimento, sulle seguenti considerazioni, per quanto attiene al TIZIO: 1) la contraffazione della firma del soggetto apparente emittente di un titolo di credito impediva il sorgere di qualsiasi obbligazione a carico dello stesso (art. 7 legge cambiaria e art. 10 legge assegni), per cui, se ciononostante il titolo era stato pagato, si configurava l’indebito oggettivo; 2) la statuizione del Tribunale secondo la quale la società ALFA non era legittimata all’esercizio dell’azione di indebito oggettivo perchè il pagamento era stato eseguito dall’istituto bancario che aveva incassato i titoli, era erronea; 3) infatti, in caso di assegno bancario falso, la banca trattaria pagava con fondi del traente in adempimento di una prestazione a questi promessa per effetto della convenzione di assegno e del rapporto di provvista, e dunque le conseguenze pregiudizievoli ricadevano nel patrimonio del correntista, come nella specie, in cui la somma degli assegni falsi era stata addebitata definitivamente sul conto della società ALFA, malgrado il titolo falso non potesse esser base di un valido rapporto di assegno, nè vi era prova che lo SG, o la banca trattaria, o alcuno degli istituti giratari degli assegni, l’avessero reintegrata nel conseguente pregiudizio economico; 4) dunque sussisteva la legittimazione attiva della ALFA ad agire per la ripetizione di indebito; 5) quanto alla legittimazione passiva del TIZIO, questi aveva negoziato i quattro assegni giratagli dallo SG mediante girata con dicitura “pagate all’ordine della Cassa di Risparmio V.E., con clausola valuta per l’incasso” e perciò questo istituto di credito, per effetto di tale girata impropria, li aveva incassati dalla banca trattaria in nome e per conto del suo girante TIZIO, destinatario del pagamento; 6) la svista in cui erano incorsi i giudici di primo grado nel ritenere che anche i titoli in possesso del TIZIO, come quello in possesso del FS, fossero stati pienamente girati alla banca, non impugnata dalla ALFA, costituiva peraltro la ragione della ritenuta carenza di legittimazione attiva di questa all’esercizio dell’azione di indebito, ma non della legittimazione passiva del TIZIO; 7) pertanto, benchè la malafede dei possessori dei titoli non fosse provata, sussistendo però l’indebito oggettivo per le somme riscosse, il TIZIO doveva restituire L. 30.000.000, oltre agli interessi legali dalla domanda giudiziale, e al pagamento delle spese giudiziali del doppio grado; doveva altresì esser convalidato il sequestro conservativo sui beni dello stesso.
Avverso questa sentenza ricorre per Cassazione con due motivi TIZIO cui resiste la s.p.a. ALFA. Il ricorrente ha depositato memoria e osservazioni alle conclusioni del P.M. in udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il PRIMO MOTIVO di ricorso il ricorrente deduce: “Violazione dell’art.2033 cc in relazione all’art.10 R.D. 1736/33, all’art.360 n.3 cpc. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art.360 n.5 cpc Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art.360 n.3 cpc Violazione degli art.20, 24, 25 e 35 R.D. 21/12/1933 n. 1736 sull’assegno bancario in relazione all’art.360 n.3 cpc”.
L’art.2033 cc sancisce che chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Perciò legittimato al recupero, secondo la norma, è il solvens non colui che ha concretamente subito il pregiudizio economico, come ritenuto dai giudici di appello. Nella fattispecie infatti è la Banca che ha soddisfatto i titoli sulla erronea convinzione dell’esistenza dell’obbligazione e dell’ordine del traente, invece mancante, ai sensi dell’art.10 R.D. 1736/33, essendo stata contraffatta la firma apposta su di essi. Quindi da un lato il versamento non è imputabile al traente, e perciò la banca trattaria lo deve tenere indenne; dall’altro il diritto – onere di recuperare il versamento sussiste per chi è incappato nell’errore, e cioè la banca trattaria che ha pagato l’accipiens, rapporto a cui è estraneo il traente perchè, non avendo emesso alcun ordine, non può essergli addebitato alcunchè.
Nè rileva che la girata del TIZIO alla Banca era soltanto per lo incasso, perchè questa non ha provveduto ad alcun versamento, posto che l’unica legittimata al recupero è la Banca trattaria. D’altro canto il pregiudizio economico alla s.p.a. ALFA non deriva dal pagamento effettuato da BANCA, con il quale intratteneva il conto di corrispondenza, bensì dall’esito negativo del giudizio nei confronti dello stesso intrapreso per il colposo ritardo nella denuncia di smarrimento del carnet.
Inoltre la Corte di Catania, omettendo di accertare se la sentenza emessa al riguardo dalla Corte di Torino fosse passata in giudicato, ha dato per scontato l’asserito pregiudizio della ALFA, con conseguente difetto di decisione su punto decisivo della controversia e nuova violazione dell’art.360 n.3 cpc.
Ancora i giudici di appello, omettendo di valutare gli elementi oggettivi della domanda, in violazione dell’art.2033 cc, hanno qualificato come ripetizione di indebito un’azione che era stata qualificata dal Tribunale come risarcitoria. Tra l’altro, stante la autonomia del rapporto cambiario, il debito sussiste non già fra traente e prenditore, bensì fra girante del titolo e giratario e dunque non vi era indebito per il TIZIO. La Banca aveva posto all’incasso i titoli a favore di questi dopo il placet della banca trattaria il che esclude l’indebito avendo questa assunto la corrispondente obbligazione o comunque una garanzia di legittimità del titolo e dell’esistenza dei fondi. Perciò la responsabilità del danno dipende dal ritardo della ALFA nel vietare il pagamento alla trattaria (art. 35 legge assegni), che invece è fatto ricadere su chi aveva riscosso in buona fede le somme incorporate nel titolo giratogli ed in più essendo questi estraneo alle vicende successive al benefondi. Mancando la malafede del prenditore, avendo ricevuto il danaro dopo la suddetta garanzia in merito alla regolarità dell’emissione e all’esistenza dei fondi, la azione, previa esatta qualificazione di essa, doveva esser rigettata.
2.- Con il SECONDO MOTIVO il ricorrente deduce: “Violazione dell’art.91 cpc in relazione all’art.360 n.3 cpc”.
Dall’accoglimento del predetto motivo consegue anche la riforma della condanna alle spese giudiziali, comunque errata non potendosi addossare al TIZIO le spese di un giudizio non determinato da sua colpa essendo accertata la sua buona fede nella percezione e riscossione dell’assegno, sì che al più le spese dovevano esser compensate.
1.1. – Il primo motivo va accolto.
Se un soggetto versa una somma di danaro sulla supposizione di esser obbligato alla prestazione, mentre in realtà non vi è la causa giustificativa della medesima, sussiste l’indebito oggettivo. La falsità della firma di emittenza di un assegno bancario non crea alcuna obbligazione cartolare a carico di colui che appare esserne l’autore (art.10 legge 21 dicembre 1933 n.1736), nè promessa di pagamento al prenditore, nè ordine o delega di pagamento alla banca trattaria, e perciò, se questa versa il relativo importo al possessore del titolo, non può riversare il corrispondente importo sul conto del correntista estinguendo la relativa provvista costituita dai fondi su di esso depositati. Pertanto il pagamento effettuato dalla banca – che con l’accettazione dell’assegno non assume alcuna obbligazione autonoma verso il prenditore (Cass. 535/2000) – sull’erroneo presupposto di adempiere un obbligo verso il traente, che invece non esiste – e proprio per questo la somma corrisposta, priva di causa solutoria, configura l’indebito oggettivo – la legittima, in qualità di solvens ad esperire l’azione restitutoria nei confronti dell’accipiens. Come infatti è stato osservato (Cass. 9167/1992) a sostegno della legittimazione attiva della banca trattaria a ripetere l’indebito, l’art. 2033 cod. civ., nell’usare il termine “pagamento”, si riferisce necessariamente alla situazione supposta da colui che lo esegue all’atto del ritenuto adempimento, poichè invece la mancanza di causa del supposto vincolo obbligatorio ne preclude la qualificazione di “pagamento”, risolvendosi in un mero versamento.
Ne consegue – prosegue il medesimo precedente che questa Corte intende ribadire – che non essendo possibile l’imputazione giuridica di esso ad altri se non a colui che lo ha effettuato, all’azione restitutoria non può esser legittimato colui al quale tale imputazione competerebbe se esistesse il rapporto giuridico da adempiere. Ne consegue che, se la banca, sulla base di una delega supposta, ma inesistente, versi la somma corrispondente ad un assegno bancario che in realtà non è stato tratto, solo provvisoriamente può riferire all’apparente traente il supposto pagamento, ma non in via definitiva e quindi, venuta a conoscenza della falsità della firma di traenza e della conseguente inesistenza dell’ordine di pagare, deve stornare la somma addebitata al correntista.
Nè la legittimazione dell’actio indebiti – il cui fondamento è la mancanza di causa solutoria da parte del solvens nei confronti dell’accipiens e non il depauperamento dell’uno o lo arricchimento dell’altro – può variare in dipendenza del previo accertamento di chi sia il soggetto sul quale debbano definitivamente gravare le conseguenze dannose della falsificazione e cioè, nel caso di assegno bancario con firma di traenza falsa, di chi, tra traente e trattario, sia contrattualmente responsabile in base alla convenzione di cheque (che tra l’altro obbliga il correntista a custodire con ogni diligenza il carnet), ai principi comuni sulla colpa (che, secondo la diligenza del buon padre di famiglia, lo obbliga a denunziarne senza ritardo il furto o lo smarrimento), e alla diligenza professionale del banchiere (che tra l’altro lo obbliga a controllare lo specimen della firma del traente).
Nella specie è pacifico che la firma di traenza degli assegni sul conto corrente della s.p.a. ALFA, da questa intrattenuto con BANCA, è falsa e che il prenditore Sconzo Giovanni ne ha girati quattro a TIZIO, il quale, previa girata per l’incasso alla BANCA, li ha riscossi dalla banca trattaria. Pertanto, per le ragioni innanzi esposte, l’unico legittimato attivo all’azione restitutoria nei confronti del TIZIO è BANCA.
1.3. – Conseguentemente la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, a norma dell’art. 382, ultimo comma cod. proc. civ., perchè il difetto di legittimazione dell’attrice toglie in radice ogni possibilità di prosecuzione dell’azione (Cass. 2517/2000). Altresì va cassata la sentenza di primo grado perchè, pur avendo correttamente dichiarato la carenza di legittimazione attiva della s.p.a. ALFA all’esercizio dell’azione di indebito oggettivo, ha però erroneamente dichiarato legittimato attivamente l’istituto bancario che aveva incassato i titoli.
2.- L’accoglimento in rito del motivo di ricorso preclude di esaminare le questioni di merito, poste nella seconda parte del medesimo, concernenti il valore dell’assegno di conto corrente, emesso con firma falsa, come titolo di credito, in relazione ai principi che ne disciplinano la circolazione – tra i quali la formalità, l’apparenza e l’autonomia delle obbligazioni cambiarie – nel caso che l’accipiens sia in buona fede e vi siano delle valide obbligazioni di regresso non perdute al momento del pagamento, con conseguente applicabilità della disciplina dell’indebito soggettivo ex persona solventis anzichè di quello oggettivo, ovvero se la mancanza di convenzione di assegno e la conseguente mancanza di causa del pagamento del trattario prevalga in ogni caso sullo stato soggettivo dell’accipiens (Cass. 2050/1978).
3.- Il secondo motivo di ricorso è assorbito dalla cassazione della sentenza impugnata.
4.- Ricorrono giusti motivi per dichiarare la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, di appello e di Cassazione.
PQM
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza di primo e secondo grado, senza rinvio. Dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio di primo grado, di appello e di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 26 aprile 2004.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2004
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Numero Protocolo Interno : 611/2004