ISSN 2385-1376
Testo massima
In tema di azione di ripetizione dell’indebito, ove la banca conceda una linea di credito per anticipazione su fatture, fissando il c.d. castelletto di sconto, il termine di prescrizione per l’azione di ripetizione di addebiti nulli decorre dalla data del pagamento, ossia dell’incasso o dell’addebito in conto corrente. Il montante del fido non rappresenta, infatti, la somma di cui il cliente ha facoltà di disporre fino a revoca (o a termine), ma semplicemente il limite entro cui la banca si impegna a scontare gli effetti e le ricevute bancarie che il cliente le presenterà.
Non essendovi creazione di disponibilità, il castelletto di sconto non può essere assimilato all’apertura di credito, tanto è vero che, in tema di azione revocatoria, la giurisprudenza ha qualificato atti solutori i versamenti effettuati dal fallito sul conto corrente bancario nella parte eccedente l’apertura di credito, in quanto il castelletto, pur regolato nel medesimo conto, non rappresenta, in difetto di specifici elementi contrari, una forma di utilizzazione dell’apertura di credito stessa.
L’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 cc, su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; in tal caso la prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo. Ebbene, solo nell’ipotesi in cui la banca confermi l’esistenza di affidamenti, avrà l’onere di indicare specificamente le rimesse ritenute solutorie, distinguendole da quelle ripristinatorie.
In assenza di affidamenti, tutte le rimesse effettuate nei periodi di effettivo scoperto di conto corrente sono da intendersi solutorie, senza necessità di ulteriore specificazione.”
Questi i principi affemati dal Tribunale di Chieti nella persona del dott. Turco nella recente sentenza non definitiva del 19 gennaio 2016, in tema di contratti bancari.
La questione posta all’attenzione del giudicante ha riguardato la presunta illegittimità delle operazioni di addebito annotate dall’istituto di credito nel conto corrente di corrispondenza della società attrice, che ne esigeva la ripetizione.
Più precisamente, la società correntista conveniva in giudizio la banca – con la quale aveva intrattenuto un rapporto di conto corrente di corrispondenza, con relativa apertura di credito, nonché un rapporto di conto anticipi su fatture – lamentando l’illegittimità:
– dell’applicazione di un tasso di interessi passivo ultralegale;
– della modifica unilaterale del tasso di interesse, in assenza di pattuizione scritta;
– della determinazione del tasso di interesse mediante rinvio agli usi di piazza;
– dell’applicazione della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi;
– del superamento del tasso soglia antiusura;
– dell’applicazione della commissione di massimo scoperto;
– dell’addebito di spese per bolli ed oneri postali privo di giustificazione;
– del calcolo della valuta.
I. Data la complessità della pretesa attorea, il giudicante ha ritenuto necessario fare luce, preliminarmente e brevemente, sul funzionamento dell’operazione economica posta in essere mediante il cosiddetto conto anticipi, sottolineando la sostanziale differenza tra una concessione di fido ed il castelletto di sconto.
Ed invero, mentre l’apertura di credito rientra a pieno titolo tra i contratti bancari – ossia quelle operazioni mediante le quali gli intermediari bancari svolgono la propria attività, in termini di esercizio di credito viceversa, il castelletto di sconto altro non è che l’indicazione della cifra complessiva massima anticipabile al cliente.
Più precisamente, con il contratto di apertura di credito la banca si impegna a mettere a disposizione dell’accreditato una certa somma di denaro, con ciò risultando il cliente titolare del diritto potestativo di disporne o meno.
Con il contratto di conto anticipi su fatture, invece, si parla di operazioni di smobilizzo, giacché il cliente cede pro solvendo alla banca un proprio credito verso terzi – risultante dalle copie di fatture presentate – e l’istituto di credito ne anticipa parte dell’importo, generalmente pari al 70%, fornendogli liquidità prima della scadenza del debito.
L’operazione de qua si accompagna, ovviamente, all’apertura di un conto anticipi e, nella prassi, quasi sempre alla concessione di un affidamento, ferma restando la previa esistenza di un conto corrente di corrispondenza.
Pertanto, ci si troverà in presenza di tre rapporti: conto corrente di corrispondenza, conto anticipi su fatture ed affidamento.
Giova chiarire a questo punto che, al momento della costituzione del rapporto di anticipo su fatture, l’istituto di credito sarà solito fissare il limite massimo anticipabile, ossia quella cifra che ogni fattura non potrà superare per potersi procedere all’anticipazione.
Tutto quanto premesso, appare evidente la sostanziale differenza tra la concessione di un fido ed il castelletto di sconto, laddove il montante fissato con quest’ultimo non occorre ad individuare la somma massima utilizzabile dal cliente, ma solo il limite entro il quale la banca si impegna ad anticipargli il quantum scontato risultante dalle fatture che le verranno presentate.
II. Il discrimen poc’anzi sottolineato non è questione di poco conto, giacché rileva soprattutto in tema di prescrizione dell’azione di ripetizione di addebiti nulli – eccezione sollevata, nel caso di specie, dalla banca convenuta e di onere probatorio.
Per quanto concerne il primo profilo, non potendosi assimilare il castelletto alla concessione di fido, non è parimenti corretto discorrere di ripristino della provvista, né rileva a tal uopo la differenza tra rimesse solutorie e ripristinatorie, di guisa che il termine di prescrizione per l’azione di ripetizione di addebiti nulli decorre dalla data del pagamento, ossia dell’incasso o dell’addebito in conto corrente.
In ordine, invece, al secondo profilo, il Tribunale adito ha ritenuto di aderire all’orientamento della recente giurisprudenza di merito, secondo il quale è d’obbligo riconoscere una diversa portata all’onere probatorio della banca in ordine alle rimesse solutorie, a seconda che si alleghi o meno l’esistenza di affidamenti.
Più precisamente, qualora la banca convenuta confermi l’esistenza di fidi, dovrà indicare con precisione quali siano le rimesse solutorie per le quali sia intervenuta la prescrizione.
Viceversa, qualora la banca non confermi l’esistenza di fidi, i versamenti effettuati nei periodi di scoperto si ritengono sempre solutori, senza che sia perciò necessaria alcuna specificazione aggiuntiva.
Nel caso in esame, dunque, il giudicante ha precisato che solo per i periodi coperti da un vero e proprio affidamento – cosa che, si ribadisce, non è il castelletto di sconto – la banca avrebbe dovuto individuare le rimesse solutorie.
III. Superate le considerazioni preliminari di cui sopra, il Tribunale di Chieti ha affrontato il ricorrente problema della validità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi.
Ripercorrendo gli orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati sul punto, il giudice adito ha sinteticamente chiarito che, per i rapporti ante 2000 ossia antecedenti l’entrata in vigore della delibera C.I.C.R. del 9 febbraio 2000 la clausola di capitalizzazione vada considerata certamente nulla, mentre per quelli post 2000, ciò che importa è che la relativa pattuizione preveda la pari periodicità di conteggio per gli interessi creditori e debitori.
Da ciò ne è conseguita la necessità di un ricalcolo (da svolgersi in successiva istruttoria) limitatamente all’arco temporale non assistito da valida pattuizione.
IV. Quanto alla presunta illegittima applicazione della commissione di massimo scoperto (C.M.S.), il giudicante non ha fatto altro che prendere atto di quell’orientamento giurisprudenziale in forza del quale essa è da considerarsi in termini di corrispettivo per la banca per la messa a disposizione delle somme oggetto di affidamento, di guisa che, soltanto laddove risulti calcolata sul massimo importo utilizzato intra fido, configurandosi quale onere aggiuntivo agli interessi passivi, vada dichiarata nulla per mancanza di una valida causa negoziale.
Nel caso di specie, il Tribunale ha rinviato ad un supplemento di istruttoria la verifica della funzione della C.M.S., solo limitatamente ai pochi contratti depositati dalla società attrice, non potendo valutare allo stato degli atti le modalità applicative di detta commissione nel corso del rapporto, rigettando comunque la domanda di nullità per i contratti non prodotti.
V. Ultima questione affrontata dal giudice adito ha riguardato il presunto superamento del tasso soglia ex L. 108/1996.
Il Tribunale, sul punto, ha affermato che “sia per il cliente che per la banca, più che il T.E.G., assume un rilievo assorbente il valore del T.A.E.G., che costituisce specularmente per l’uno il costo per l’altra il ricavo“.
L’affermazione de qua, a parere dello scrivente, non è totalmente condivisibile, in quanto la natura dei valori suddetti non può, e non deve, essere sovrapposta.
Ed invero, il T.A.E.G. viene definito, all’art. 122 del T.U.B., quale “costo totale del credito a carico del consumatore, espresso in percentuale annua del credito concesso“, mentre il T.E.G. è il tasso effettivo globale applicato dagli intermediari alle operazioni bancarie.
Pertanto, se il T.A.E.G. è riferito esclusivamente al credito al consumo ed assolve una funzione di indicazione di costo globale, informazione da portare ex ante a conoscenza dell’utilizzatore del credito, il T.E.G. è, invece, il tasso effettivo globale, su base annuale, segnalato ex post dagli intermediari finanziari alla Banca d’Italia, ai fini della determinazione delle soglie d’usura previste dalla legge 108/96.
È evidente che, per poter verificare che l’intermediario bancario abbia agito nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede e non abbia superato la soglia antiusura, non può che farsi riferimento al valore del T.E.G. applicato, non già a quello del T.A.E.G., non essendosi in presenza di un’operazione di credito al consumo.
D’altro canto, è proprio dalla periodica comunicazione dei T.E.G. applicati che la Banca d’Italia rileva, trimestralmente, il T.E.G.M., ossia il tasso effettivo globale medio.
Valore, questo, che, aumentato (attualmente) di ¼ e 4 punti percentuali, determina il limite da non superare se non si vuole rischiare di incorrere nelle sanzioni penali e civili di cui al combinato disposto degli artt. 644 c.p. e 1815, comma II, c.c.
Parimenti non condivisibile si rivela la valutazione sull’efficacia delle istruzioni della Banca d’Italia, le quali, a parere del giudicante, non avrebbero portata vincolante e contrasterebbero con i dettami giurisprudenziali in materia di soglie usura, “contribuendo a creare zone grigie che minano alla determinatezza e tassatività della norma“.
In realtà, sebbene la giurisprudenza sia da sempre orientata nel senso di disconoscere vincolatività alle istruzioni dell’Organo di Vigilanza, recentemente sembra assistersi ad un rilevante revirement.
Non sono poche, difatti, le pronunce – tra le quali si ricorda la sentenza del Tribunale di Milano del 19 marzo 2015, n. 3586 – che definiscono le suddette istruzioni quali norme tecniche autorizzate da una fonte superiore, con ciò attribuendovi quell’importanza necessaria, soprattutto ai fini della determinazione dei tassi usurari.
D’altronde l’intero meccanismo approntato dalla legge 108/1996 è finalizzato a riscontrare su base oggettiva la fattispecie usuraria, mediante un confronto tra Tasso Effettivo Globale (della singola operazione di finanziamento) e Tasso Soglia (determinato a partire dal TEGM come esposto supra).
In tale contesto, il tema della vincolatività delle istruzioni di Bankitalia (rilevatore dei TEGM) non si pone tanto (a monte) a livello di gerarchia delle fonti del diritto, ma costituisce una necessità (a valle) per l’interprete, al fine di condurre una comparazione aritmetica tra dati omogenei (TEG e Tasso Soglia).
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Sulla base delle suesposte argomentazioni, con sentenza non definitiva, il Tribunale di Chieti ha rigettato le doglianze della correntista, rinviando ad una successiva attività istruttoria le questioni per le quali ha ravvisato la necessità di approfondimenti tecnico-contabili.
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Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 133/2016
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