E’ nulla in forma insanabile la domanda di ripetizione di indebito che non indichi le singole rimesse di cui chiede la restituzione nell’atto introduttivo della lite e tale mancanza non può essere sopperita dal deposito della perizia di parte a cui la domanda di indebito rinvia atteso che l’omessa esposizione dei fatti di causa pregiudica il potere di cognizione del giudice e il diritto di difesa del convenuto.
Nel giudizio promosso dal cliente di un istituto bancario che eserciti l’azione di ripetizione dell’indebito deducendo la contrarietà a norme imperative di determinate condizioni contrattuali, parte attrice ha l’onere, sotto il profilo delle allegazioni, di rappresentare: la clausola contrattuale illegittima o il comportamento illegittimo della banca, la rimessa compiuta in esecuzione della clausola o del comportamento illegittimo, la natura solutoria della rimessa, la data della rimessa e il procedimento matematico tramite il quale perviene all’indicazione della somma complessiva di cui domanda la restituzione.
L’allegazione implicita compiuta tramite il rinvio con l’atto di citazione alla relazione tecnica depositata in giudizio è dunque inammissibile atteso che, in base al principio del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., le dichiarazioni che rappresentano gli elementi fondamentali dell’azione e, in particolare, la causa petendi, devono essere portate a conoscenza, unitamente all’atto di citazione, del convenuto per consentire allo stesso di esercitare immediatamente, nel termine libero di cui all’art. 163 bis c.p.c., il proprio diritto di difesa, che comprende anche la facoltà di non costituirsi in giudizio e di rimanere inerte, avendo piena e completa cognizione dei fatti che la controparte pone a sostegno della pretesa fatta valere dinanzi al Tribunale.
La banca convenuta deve essere messa in condizione di difendersi: esaminando l’effettiva esecuzione della rimessa; la natura ripristinatoria o solutoria della rimessa; e di eccepire, con riferimento a ogni singola rimessa solutoria (siano esse eseguite su conto scoperto ovvero su conto non scoperto e definitivamente acquisite dall’istituto bancario alla data di chiusura del rapporto) la prescrizione; verificando la correttezza del calcolo della somma richiesta a titolo di ripetizione di indebito.
Questi i principi sanciti dal Tribunale di Napoli Nord, Giudice dott. Arminio Salvatore Rabuano, con sentenza n.107 del 13/01/2017.
Nel caso di specie, con atto di citazione una società cliente deduceva di aver stipulato con la banca un contratto di apertura di credito in conto corrente, e rilevava che nel corso del rapporto l’istituto di credito aveva illegittimamente addebitato alla correntista ed indebitamente riscosso somme non dovute a titolo di interessi illegittimamente determinati, capitalizzazione trimestrale degli interessi stessi, interessi anatocistici, interessi di mora, commissioni di massimo scoperto, il tutto in aperta violazione della disciplina vigente in materia ed in particolare della L. 108/96 e del DL 70/2011 come accertato a mezzo di consulenza tecnica contabile. Parte attrice chiedeva dunque la ripetizione delle rimesse solutorie eseguite.
La banca, costituitasi in giudizio, si difendeva rilevando che la controparte aveva calcolato il TEG utilizzando un metodo errato, che non trovava riscontro in alcuna fonte normativa primaria o secondaria né in alcuna pronuncia giurisprudenziale. Allegava, in particolare, che i contratti stipulati con il cliente che non prevedevano clausole anatocistiche ed evidenziava che in tali contratti erano previsti gli interessi e commissioni contestate dalla società cliente. La banca, inoltre, eccepiva la prescrizione parziale delle domande di restituzione delle somme che si assumevano indebitamente riscosse.
Il Tribunale ha tracciato un percorso argomentativo innovativo delineando gli oneri della parte attrice connessi alla proposizione dell’atto di citazione in una prospettiva costituzionalmente orientata.
L’analisi delle norme del codice di procedura civile inerenti all’attivazione del contenzioso in un’ottica teleologica costituisce un profilo di indubbio interesse in grado di restituire particolare coerenza sistematica all’argomentazione delineata con la sentenza in esame.
Il Giudice ha inteso valorizzare la ratio sottesa all’art. 163 co. 3 n. 3 e 4, che nel prescrivere la necessità di definire con l’atto di citazione gli elementi oggettivi della domanda, svolge la funzione di consentire al giudice di individuare il thema decidendum e al convenuto di svolgere le proprie difese.
La sanzione della nullità prevista dall’art. 164 co. 4 è posta a presidio, dunque, del potere di cognizione del giudice, al fine di consentirgli di avere piena conoscenza dei fatti controversi, e del diritto di difesa del convenuto, per garantirgli la consapevolezza dei fatti sui quali è fondata la pretesa della controparte.
Ne deriva che la nullità opera solo quando nell’atto di citazione i fatti posti a fondamento della domanda sono rappresentati in modo tale da pregiudicare il potere di cognizione del giudice e il diritto di difesa del convenuto.
Sulla base di tali premesse il Giudice ha affermato che nelle azioni di ripetizione dell’indebito il cliente-attore ha l’onere, sotto il profilo delle allegazioni, di rappresentare: la clausola contrattuale illegittima o il comportamento illegittimo della banca, la rimessa compiuta in esecuzione della clausola o del comportamento illegittimo, la natura solutoria della rimessa, la data della rimessa e il procedimento matematico tramite il quale perviene all’indicazione della somma complessiva di cui domanda la restituzione.
Solo se il cliente-attore allega in modo preciso questi fatti che connotano la causa petendi e il petitum, secondo il Tribunale, si consente
a). alla banca convenuta di difendersi: esaminando l’effettiva esecuzione della rimessa; la natura ripristinatoria o solutoria della stessa e di eccepire, con riferimento a ogni singola rimessa solutoria, la prescrizione, verificando la correttezza del calcolo della somma richiesta a titolo di ripetizione di indebito;
b). al giudice di verificare: l’esistenza della clausola o del comportamento della banca qualificato come illegittimo dal cliente, accertare la conformità alla legge della clausola contrattuale o del comportamento della banca tramite C.T.U., l’esecuzione della singola rimessa; la natura di ogni singola rimessa, solutoria o ripristinatoria; la fondatezza dell’eccezione di prescrizione della banca con riferimento a ogni singola rimessa.
Nel caso di specie, invece, parte attrice si era limitata ad allegare l’illegittima applicazione di interessi ultralegali evidenziando che “La clausola contrattuale di cui all’art. 7 del contratto stipulato inter partes, a tenore della quale “Gli interessi dovuti dal correntista all’Azienda di credito si intendono determinati sulla base del tasso ufficiale di sconto, tempo per tempo vigente, maggiorato dell’8,75% (minimo 20,75%)” è affetta da nullità assoluta e insanabile trattandosi di clausola chiaramente vessatoria per il correntista, la quale per legge avrebbe dovuto essere specificamente approvata per iscritto”.
L’attore-cliente non ha indicato le singole rimesse e nemmeno la natura solutoria delle stesse per cui il Tribunale ha rilevato la nullità insanabile dell’atto di citazione.
Il Giudice ha poi precisato che si deve verificare se ai sensi dell’art. 163 co. 3 n. 4 gli elementi di fatto costituenti la ragione della domanda debbano risultare esclusivamente dall’atto di citazione ovvero possano risultare, con una clausola di rinvio, anche dalla documentazione prodotta in giudizio dall’attore tramite, dunque, quelle che in letteratura sono definite “allegazioni silenti”, come nel caso in esame in cui parte attrice ha rinviato, per l’indicazione dei fatti costitutivi del diritto alla ripetizione dell’indebito, alla relazione del proprio consulente depositata in giudizio.
Per il Tribunale, l’allegazione implicita compiuta dalla società attrice tramite il rinvio con l’atto di citazione alla relazione tecnica depositata in giudizio è inammissibile atteso che, in base al principio del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., le dichiarazioni che rappresentano gli elementi fondamentali dell’azione e, in particolare, la causa petendi, devono essere portate a conoscenza, unitamente all’atto di citazione, al convenuto per consentire allo stesso di esercitare immediatamente, nel termine libero di cui all’art. 163 bis c.p.c., il proprio diritto di difesa, che comprende anche la facoltà di non costituirsi in giudizio e di rimanere inerte, avendo piena e completa cognizione dei fatti che la controparte pone a sostegno della pretesa fatta valere dinanzi al Tribunale.
Il Tribunale ha escluso, infine, l’applicabilità dell’art. 164 co. 5 c.p.c. che prevede la sanatoria dell’atto di citazione nullo se “manca” l’esposizione dei fatti posti a fondamento della domanda e risulta, contestualmente, incerto il petitum.
La ratio dell’art. 164 co. 5 c.p.c. è infatti quella di garantire che il processo si definisca con l’adozione da parte del giudice di una decisione sul merito della domanda con la conseguente attribuzione o negazione del bene della vita preteso dall’attore.
Pertanto, per il Giudice, il necessario coordinamento assiologico dei principi e delle norme in esame, impone una lettura restrittiva dell’art. 164 co.5 c.p.c. e di ritenere sanabili, tramite un provvedimento del giudice diretto a consentire alla parte di emendare un proprio errore con la rinnovazione o integrazione dell’atto di citazione, solo le nullità che, come previsto dal testo letterale della disposizione, riguardino alternativamente la causa petendi o il petitum.
Invece, nel caso in cui, come quello in esame, l’omissione e l’assoluta incertezza riguardino tutti i profili oggettivi della domanda (omessa indicazione delle singole rimesse; della natura delle rimesse; della loro data e del relativo calcolo con conseguente incertezza del modo in cui si è pervenuti alla indicazione del petitum ), il principio di imparzialità del giudice e il canone della ragionevole durata del processo (posto a presidio dell’esigenza pubblicistica di garantire il celere svolgimento del giudizio e di quella privatistica di evitare che il convenuto sia esposto per un tempo eccessivo alle altrui pretese giudiziali) impongono di ritenere che nessun termine debba essere concesso per la sanatoria del vizio di nullità come quello in esame che riguarda la mancanza e assoluta incertezza contemporanea della causa petendi e del petitum.
Sulla base dei suddetti principi, il Tribunale ha dichiarato inammissibili le domande di parte attrice condannandola a pagare le spese processuali.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
Il giudice può non tenerne conto ai fini della definizione del giudizio
Sentenza | Tribunale di Foggia, dott.ssa Rosamaria Ragosta | 09.08.2016 | n.2497
Tale vizio non può essere sanato con il termine di cui all’art. 164, co. V, c.p.c.
Ordinanza | Tribunale di Roma, dott.ssa Cecilia Bernardo | 12.06.2016
RIPETIZIONE INDEBITO: inammissibile se il conto corrente è ancora aperto
La mera annotazione di una posta di interessi assunti illegittimi/usurari non integra un pagamento ripetibile
Ordinanza | Tribunale di Civitavecchia, Dott. Rossella Pegorari | 09.04.2016 |
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