Provvedimento segnalato da Roberto Rusciano di Napoli
L’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una Banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati.
L’annotazione in conto di una posta di interessi (o di commissione massimo scoperto) illegittimamente addebitati dalla Banca al correntista comporta un incremento del debito dello stesso correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria in favore della Banca; con la conseguenza che il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa, allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di credito, nei limiti del fido accordatogli, ma non potrà agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo.
Di pagamento, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la Banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e. perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto.
A fronte di una domanda di ripetizione di indebito genericamente formulata da un correntista, con riferimento al complesso delle operazioni eseguite sui conti correnti, è ammissibile l’eccezione di prescrizione formulata dalla Banca senza l’indicazione delle singole rimesse alle quali la stessa eccezione si riferisce, potendo distinguersi, mediante l’ausilio di un consulente tecnico, tra rimesse aventi funzione “solutoria” e rimesse aventi funzione “ripristinatoria”.
Questi sono i principi espressi dalla Corte d’Appello di Salerno, Pres. De Filippis, con la sentenza n. 515 del 30.05.2017.
Una società correntista conveniva in giudizio la Banca, lamentando l’illegittima applicazione da parte dell’Istituto di credito convenuto, nel corso di quattro rapporti di conto corrente intervenuti tra le parti, di interessi ultralegali determinati con rinvio agli usi, alla capitalizzazione trimestrale degli interessi, all’applicazione di commissioni di massimo scoperto e di valute cc.dd. “virtuali”, onde sentir dichiarare la nullità parziale dei contratti, relativamente alle clausole in contestazione, con condanna della convenuta al pagamento delle somme illegittimamente riscosse, previa rideterminazione del saldo mediante c.t.u..
La Banca, costituitasi in giudizio, contestava punto per punto l’atto di citazione, invocandone il rigetto, con vittoria di spese, eccependo la prescrizione decennale della pretesa restitutoria e, comunque, nel merito, l’infondatezza della stessa.
Avverso la sentenza di primo grado con cui il Tribunale condannava la Banca al pagamento, in favore della attrice, di una certa somma, a titolo di ripetizione di indebito, oltre interessi legali, nonché al pagamento dei compensi professionali, proponeva appello l’Istituto di credito, sulla base di due motivi.
In primo luogo, la Banca rilevava che ai fini della individuazione del “dies a quo” della prescrizione doveva farsi riferimento al momento in cui il correntista acquista la possibilità giuridica di far valere la illegittimità dell’operazione e pretendere, di conseguenza, la restituzione di quanto indebitamente versato, il che si verifica nel momento della registrazione del movimento o, al più, in quello di ricezione degli estratti conto periodici che detto movimento riportano.
L’Istituto di credito deduceva, pertanto, che il Giudice di prime cure aveva errato nel ritenerlo gravato dell’onere di provare l’inesistenza della “causa debendi”, ovvero dell’avvenuto pagamento, quale elemento costitutivo della domanda di ripetizione dell’indebito, fornendo la dimostrazione della natura solutoria delle singole rimesse in relazione alle quali era invocata la restituzione.
In secondo luogo, la Banca chiedeva di rigettare la domanda di ripetizione di indebito formulata dalla societa’ correntista, perché assolutamente infondata in fatto e in diritto, oltre che non provata ed in subordine, di accogliere l’eccezione di prescrizione decennale.
L’appellata si costituiva in giudizio, impugnando l’atto di appello, contestandone punto per punto i motivi e chiedendone il rigetto, previo rigetto della istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza.
La Corte, in particolare, in ordine alla eccezione di prescrizione sollevata dalla Banca, richiamava l’orientamento della Suprema Corte a Sezioni Unite, secondo cui l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente che lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati, infatti, nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di” una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell’accipiens”.
Ad avviso della Corte di legittimità, invero, l’annotazione in conto di una posta di interessi (o di commissione massimo scoperto) illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta un incremento del debito dello stesso correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria in favore della Banca; con la conseguenza che il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa, allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di credito, nei limiti del fido accordatogli, ma non potrà agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo.
Di pagamento in senso proprio, può dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la Banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e. perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto.
Nella specie, il Giudice di seconde cure specificava che, trattandosi di contratti di conto corrente assistiti da apertura di credito, occorreva preliminarmente distinguere, tra tutte le rimesse effettuate dalla correntista, quelle effettuate nei limiti dell’affidamento, da qualificarsi come “ripristinatorie” della provvista, e quelle effettuate al di sopra dei limiti dell’affidamento stesso, configurabili come “pagamenti”, con la precisazione che solo con riferimento a tali ultime la cliente era immediatamente legittimata ad agire per la ripetizione dell’indebito, con conseguente decorrenza della prescrizione dalla data delle singole operazioni di addebito.
La Corte, rilevato che la domanda di ripetizione di indebito era stata genericamente formulata dalla correntista con riferimento ai complesso delle operazioni eseguite sui conti correnti, senza distinzione tra i versamenti aventi carattere “ripristinatorio” e quelli “solutori”, specificava che, a fronte della genericità della domanda, doveva ritenersi ammissibile l’eccezione di prescrizione formulata dalla Banca senza l’indicazione delle singole rimesse alle quali la stessa eccezione si riferisce, potendo distinguersi, mediante l’ausilio di un consulente tecnico, tra rimesse aventi funzione “solutoria” e rimesse aventi funzione “ripristinatoria”.
La Suprema Corte, infatti, con recente ordinanza n. 2308 del 30 gennaio 2017, ha affermato che a fronte di un’eccezione di prescrizione formulata dall’Istituto con riferimento alla richiesta di restituzione di “tutte le rimesse”, correttamente il giudice può dichiararla fondata solo in parte, distinguendo, tramite l’ausilio di un tecnico, tra rimesse aventi funzione solutoria e rimesse aventi funzione ripristinatoria.
Sulla base di quanto esposto, il Giudicante accoglieva parzialmente l’appello.
Per ulteriori approfondimenti in materia, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in rivista:
INDEBITO: INAMMISSIBILE DOMANDA SENZA LA POSITIVA INDIVIDUAZIONE DELLE RIMESSE SOLUTORIE
IL CLIENTE HA L’ONERE DI PROVARE LO SPOSTAMENTO PATRIMONIALE
Sentenza | Tribunale di Monza, Dott. Davide De Giorgio | 14.03.2017 | n.778
LA BANCA È LESA NEL DIRITTO DI DIFESA IN QUANTO NON PUÒ ECCEPIRE LA PRESCRIZIONE RISPETTO AD UNA DOMANDA CON CONTENUTO GENERICO
Sentenza | Tribunale di Napoli Nord, dott. Arminio Salvatore Rabuano | 13.01.2017 | n.107
INDEBITO: SE IL CLIENTE NON PROVA L’AFFIDAMENTO LE RIMESSE SI INTENDONO SOLUTORIE
LA PRESCRIZIONE DECENNALE DECORRE DAL SINGOLO VERSAMENTO
Sentenza | Tribunale di Bari, dott. Savino Gambatesa | 21.05.2015 | n.23
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