ISSN 2385-1376
Testo massima
In materia fallimentare il termine di dodici o diciotto mesi, previsto dal 1° comma dell’art. 101 L. Fall., per la presentazione dell’istanza di insinuazione tardiva, decorre dalla data del deposito del decreto di esecutività dello stato passivo.
È affermazione condivisibile e condivisa da questa corte che il ritardo dovuto all’ignoranza dell’apertura del fallimento per l’omissione del relativo avviso da parte del curatore possa ritenersi dipendente da causa non imputabile al creditore, ai sensi dell’art. 101, u.c., ultima parte, ma da tale affermazione non può ricavarsi, a mo’ di corollario, la giustificazione di qualsiasi ritardo dell’insinuazione anche allorché l’avviso non già sia stato omesso, ma sia solo tardato a sua volta, o quantomeno la giustificazione del ritardo non superiore a un anno dal ricevimento dell’avviso.
Così ha statuito la Suprema Corte, Sezione Prima, Pres. Ceccherini Rel. De Chiara, con la sentenza n. 23975, depositata in data 24.11.2015, respingendo il ricorso proposto da una Banca avverso la decisione del Tribunale che aveva dichiarato inammissibile la domanda “ultratardiva” di ammissione al passivo del fallimento di una società.
In particolare, il Tribunale aveva ritenuto che, pur avendo la banca ricevuto l’avviso dell’apertura della procedura fallimentare, ai sensi della L. Fall., art. 92, allorché era già scaduto il termine annuale di cui all’art. 101, comma 1, della stessa legge, aveva tuttavia poi atteso più di 9 mesi e mezzo per la presentazione dell’istanza di ammissione al passivo, e non aveva dato alcuna giustificazione di questo ulteriore ritardo, tenuto conto che il legislatore ha valutato che novanta giorni siano un tempo ragionevole per presentare la domanda tempestiva (arg. L. Fall., ex art. 16, nn. 4 e 5).
Proposto ricorso per Cassazione, la Banca denuncia violazione della L. Fall., artt. 92, 101 e 112, sostenendo che il termine limite di dodici o diciotto mesi previsto dall’art. 101, cit., comma 1, per la presentazione delle istanze d’insinuazione tardive, ha come presupposto l’avvenuta tempestiva comunicazione di cui all’art. 92, “decorrendo necessariamente dal ricevimento di una siffatta comunicazione“.
Decidendo il ricorso de quo, la Corte ha affermato che il termine di dodici (o sino a diciotto) mesi di cui al comma 1 dell’art. 101 l.f., per il deposito della domanda tardiva di ammissione al passivo del fallimento, decorre, per tutti i creditori, dalla data del deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, mentre l’ultimo comma del predetto articolo si limita a consentire la presentazione dell’istanza “ultratardiva” da parte del creditore allorché quest’ultimo “provi che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile”, ma non prevede la decorrenza di alcun nuovo termine annuale, allorché sia cessata la causa di giustificazione del ritardo del creditore.
Ed invero, precisa la Corte che è onere del creditore istante giustificare il ritardo, tuttavia se tale ritardo è giustificato dall’ignoranza dell’apertura del fallimento dovuta alla mancanza dell’avviso di cui alla l.f., art. 92, come nel caso esaminato, una volta che tale ignoranza sia venuta meno, grazie al ricevimento dell’avviso tardivo, il creditore dovrà trovare altre ragioni impeditive del deposito.
Ha evidenziato la Corte, quindi, che se da un lato al creditore è consentito giustificare il ritardo con l’esigenza di disporre del tempo necessario per valutare l’opportunità di proporre l’istanza di ammissione al passivo e poi di presentarla, dall’altro non è concesso al creditore di usufruire comunque di un altro anno, o diverso periodo di tempo, per provvedervi, se manca un effettivo impedimento a una più sollecita presentazione della domanda, in quanto in tale ipotesi verrebbe meno il presupposto della norma che richiede la giustificazione del ritardo.
Tuttavia, ha ritenuto il Collegio che non è possibile indicare in astratto quale sia il tempo necessario per la valutazione e la presentazione tardiva della domanda da parte del creditore, in quanto tale apprezzamento deve essere fatto in concreto, in base alle particolarità di ciascun caso, secondo un criterio di ragionevolezza, la cui applicazione è rimessa al giudice, per cui ha ritenuto nel caso di specie – di non poter condividere la motivazione del Tribunale, che ha indicato in astratto il termine di novanta giorni, per il deposito della domanda.
Peraltro, così operando, a parere della Corte, non risulterebbe violato il principio costituzionale di uguaglianza tra tutti i creditori, atteso che, secondo la legge, il termine decorre per tutti i creditori dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e che le vicende dell’avviso della pendenza della procedura fallimentare rilevano soltanto ai fini e nei limiti della giustificazione del superamento di tale termine, tenuto conto, d’altra parte, che l’intervenuto fallimento non è affidata al solo avviso in questione, ma può apprendersi anche grazie all’annotazione nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 17, commi 2 e 3 LF.
Alla luce di tali ragionamenti la Corte ha respinto il ricorso.
Testo del provvedimento
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