ISSN 2385-1376
Testo massima
L’assenza di una corretta informazione da parte della banca in merito all’incidenza del prestito sull’investimento finanziario, nell’ambito dei contratti di acquisto di titoli obbligazionari, produce un vizio del consenso nella parte non edotta. L’errore da parte del consumatore è, inoltre, essenziale, in quanto cade ex art. 1429, I co. n. 1) c.c. sulla natura del contratto. L’acquisto del prodotto finanziario, infatti, è cosa diversa dall’operazione complessiva desumibile dal collegamento negoziale con il prestito, ed è evidentemente riconoscibile dalla banca.
La causa in concreto cambia, infatti, per effetto del collegamento negoziale e, cambiando uno dei requisiti essenziali ex art. 1325 c.c. varia giocoforza anche la natura del contratto (il senso dell’operazione economica vista nella sua complessità).
È questo il principio di diritto enunciato dal Tribunale di Taranto, seconda sezione, giudice relatore dott. Claudio Casarano, nella sentenza n. 2493 del 21/11/2013
Nel caso di specie la cliente di una banca acquistava dalla stessa un prodotto finanziario, stipulando un contratto per la compera di titoli obbligazionari, senza cedole e quindi senza utili, ma con la possibilità del solo eventuale realizzo al momento della vendita, con la garanzia di un rendimento minimo pari al 132,50% del valore nominale, che era stato all’inizio fissato in euro 9.000,00.
Il prezzo dell’acquisto veniva finanziato dalla stessa banca con un prestito, da restituire con rate mensili.
La cliente, accorgendosi che il piano finanziario accettato si atteggiava in maniera del tutto diversa da come aveva supposto, citava in giudizio la banca denunciando in particolare la mancata informazione sui rischi dell’operazione, oltre che l’esistenza di un conflitto di interessi, chiedendo, perciò, la risoluzione del contratto stesso per inadempimento a norma dell’art.1453 c.c. ed in via subordinata il suo annullamento.
La banca convenuta, dal canto suo, sosteneva che l’attrice fosse in realtà informata del rischio dell’operazione finanziaria, come deducibile dal foglio informativo sottoscritto dalla stessa.
Il Tribunale di Taranto, seguendo l’orientamento della Suprema Corte, ha escluso la risoluzione del contratto sulla base del principio per il quale in tema di intermediazione finanziaria, la violazione di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dell’intermediario, può dar luogo esclusivamente ad una responsabilità precontrattuale con conseguenze risarcitorie, ove queste violazioni si verifichino nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti ( cd. “contratto quadro”).
Il Giudice di prima istanza, accogliendo la domanda subordinata, ha, però annullato il contratto, nel mentre trovava ancora regolare esecuzione, sotto il profilo dell’errore, sottolineando che seppure l’attrice aveva stipulato nelle forme di legge l’acquisto del prodotto finanziario, e che le era stata data informazione con apposito modulo del tipo di speculazione prevista, è pur vero che si ci trovava dinnanzi ad una grave lacuna sul piano dell’adeguata informazione.
Il dato relativo alla rischiosità dell’operazione era fuorviante, non trattandosi di un piano finanziario a medio- alto rischio, senonché di un investimento complesso, nella quale l’informazione si era avuta a riguardo di uno solo dei contratti che caratterizzavano l’intera operazione.
Non si è trattato quindi, per il consumatore, di un errore sulla convenienza dell’affare, di certo mai foriero della invalidità del contratto, come si desume dal costante orientamento della cassazione. Tale esito ci sarebbe stato se si fosse trattato di un solo investimento ad alto rischio, relativo alla variazione in un dato tempo dei titoli acquistati sul mercato nazionale od internazionale, al contrario era un’operazione più complessa di cui il consumatore occasionale non poteva di certo venire a conoscenza con propri mezzi.
In conclusione Il Tribunale di Taranto ha deciso l’annullamento del contratto di intermediazione finanziaria e la restituzione da parte della banca non solo delle somme versate a titolo di rate ma anche di ogni altra somma correlata alla stipula del contratto.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TARANTO – II SEZIONE
In composizione monocratica, dott. Claudio Casarano
Ha pronunziato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al n. 5621 R.G. anno 2009 Affari Civili Contenziosi promossa da:
S. S.- rappresentata e difesa dagli avv.ti (omissis);
CONTRO
M.P.S. rappresentato e difeso dall’avv. (omissis);
OGGETTO: “Intermediazione finanziaria Contratti di borsa”;
Conclusioni: le parti rassegnavano quelle in atti riportate e qui da intendersi richiamate;
MOTIVI DELLA DECISIONE
IL FONDAMENTO DELLA DOMANDA
La sig.ra S. S. affermava di aver sottoscritto, in data 03-12-2001, un modulo di contratto denominato “proposta di adesione al piano finanziario 121 Performance”, predisposto dall’istituto di credito (omissis).
Il contratto così stipulato si traduceva in due operazioni: un piano di investimento teso all’acquisto di obbligazioni Notes emesse da Crediop Overseas Banck Limited e garantite da Dexia Crediop S.p.A.; la concessione da parte del predetto Istituto di Credito di un prestito all’istante, utile per l’acquisto dei suddetti titoli finanziari, con il conseguente piano di rimborso della somma elargita dalla banca con rate mensili, comprensive dell’interesse pattuito, ed addebitate sul conto corrente di cui era titolare la stessa investitrice.
La banca si faceva rilasciare altresì, come garanzia della restituzione del prestito, il pegno sugli stessi titoli.
Le rate erano pari ad euro 77,56 mensili e l’ultima di esse scadeva il 31-07-2016.
L’attrice, nel corso del rapporto, si accorgeva che il piano finanziario accettato si atteggiava in maniera del tutto diversa da come aveva supposto, quando contrattava con il funzionario della banca: aveva cioè ritenuto di effettuare un investimento, da un rendimento sicuro, invece si trattava per un verso di un’operazione a rischio, in quanto il rendimento dei titoli era molto aleatorio, e per altro verso implicava un prestito oneroso, in quanto gravato di interessi e spese.
Il costo dell’eventuale recesso poi sarebbe stato così oneroso, sommando all’importo delle rate pagate quelle residue al tasso di attualizzazione, che anche a voler ipotizzare un più che buono andamento dei titoli, il risultato finale non avrebbe neanche pareggiato le somme versate.
Tutto questo l’istante aveva già fatto presente alla banca con lettera raccomandata del 16 luglio del 2008 a firma di un legale.
La difesa istante nella citazione introduttiva del giudizio prospettava in primo luogo una serie di violazioni del d.lgs. n. 58/1998, che a suo dire avrebbero comportato la nullità del contratto dedotto in giudizio.
Denunziava in particolare la mancata informazione sui rischi dell’operazione, in violazione degli art. 21 e 28 del citato d.lgs., oltre che l’esistenza di un conflitto di interessi.
In secondo luogo evocava, sempre con riguardo agli stessi fatti, ma chiedendo in via alternativa l’annullamento del contratto, un vizio del consenso ex art. 1427, 1428 e 1429 c.c. – od anche ex art. 1394 1395 c.c. – posto che il comportamento scorretto della banca, sul piano dell’informazione che aveva preceduto ed accompagnato la stipula del contratto, rendeva la cliente non pienamente consapevole dell’operazione che andava a porre in essere.
In terzo luogo la difesa istante sosteneva una forma di inadempimento della banca, per aver dato corso ad un’operazione inadeguata al profilo di consumatore, al quale doveva essere correttamente ricondotta la propria assistita; infatti era titolare di tabaccheria e non aveva alcuna esperienza specifica in materia di investimento ad alto rischio.
Sotto questo profilo chiedeva, in via di ulteriore subordine, la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c.
In ogni caso l’attrice chiedeva la condanna della banca alla restituzione delle somme versate, a titolo di rate ed oneri, oltre interessi.
LA DIFESA DELLA BANCA CONVENUTA
La banca convenuta , che al tempo della proposizione della domanda, datata settembre del 2009, era subentrata alla Banca 121 – in primo luogo sosteneva che l’attrice era stata in realtà informata del rischio dell’operazione finanziaria, ai sensi degli art. 21 del d.lgs. e 28 del regolamento della Consob n. 11552/1998, oltre che dell’esistenza dell’asserito conflitto di interessi.
Come si poteva desumere dal foglio informativo sottoscritto dalla stessa attrice, questa confermava di avere una conoscenza approfondita in materia di investimenti finanziari, precisava poi di avere una propensione al rischio medio alta e specificava, quanto agli obbiettivi dei suoi investimenti, che erano caratterizzati da prevalenza rivalutabilità rapportata al rischio di oscillazione corsi.
L’attrice poi, quale titolare di conto corrente con la stessa Banca (omissis), peraltro provvisto di adeguata giacenza media, aggiungeva la difesa convenuta, era poi certamente in grado di sostenere l’onere economico dell’investimento concessole, rappresentato dalla somma di euro 77,56 mensili.
Quanto all’informazione riguardante il prodotto finanziario, il testo del contratto – quadro era chiaro ed intelligibile ex art. 21 del d.lgs. citato.
Ben sapeva la cliente, rimarcava la difesa convenuta, che grazie alla somma anticipata dalla banca sarebbe potuta entrare con immediatezza nel mercato finanziario nazionale ed internazionale; di conseguenza, ai sensi dell’art. 29 del regolamento Consob, il prodotto finanziario prescelto non poteva di certo definirsi inadeguato al suo profilo.
Quanto all’asserito conflitto di interessi, la difesa della banca ricordava che il suo operato era stato conforme all’art. 27 del regolamento Consob sopra citato, per aver informato la cliente della sua esistenza.
Escludeva poi che le asserite violazioni di legge, quand’anche dimostrate, avrebbero potuto comportare una forma di nullità ex art. 1418 c.c.
Negava altresì la ricorrenza di un errore da parte dell’attrice nella stipula del contratto, in ordine al tipo di operazione alla quale finiva con l’aderire; né comunque avrebbe potuto dirsi riconoscibile dalla banca.
L’ISTRUTTORIA
L’attrice produceva documentazione dalla quale risultavano le ulteriori rate del prestito nel frattempo pagate, in esecuzione del contratto; emendava quindi la domanda.
Allegava altresì due resoconti della banca circa il credito che le sarebbe stato riconosciuto, qualora avesse provveduto all’estinzione anticipata del finanziamento: uno era relativo alla data del 08-02-2011, con un saldo a credito a favore dell’attrice, di euro 3.416,92; l’altro, alla data del 14-05-2013, con un saldo a credito di euro 6.726,26.
Sulla base poi dei dati desumibili dalle condizioni del finanziamento, l’attrice faceva sviluppare da un proprio perito delle simulazioni su quello che sarebbe stato il saldo che avrebbe conseguito alla scadenza contrattuale fissata (nel 2016), tenuto però conto del costo delle rate pagate, oltre che delle spese connesse.
La causa, sulla base dei documenti prodotti, senza che fosse richiesta istruttoria orale, all’udienza del 15-05-2013 veniva riservata per la decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c. per lo scambio di comparse conclusionali e repliche.
L’ESCLUSIONE DELLE NULLITÀ EVOCATE E DELLA RISOLUZIONE
Come ha avuto occasione di chiarire il S. C. le violazioni non attinenti alla forma scritta del contratto, bensì ai comportamenti scorretti della banca, perché in violazione delle norme sopra citate del d.lgs. n. 58 del 1998, non danno vita alla nullità del contratto.
Sul punto ha avuto occasione di pronunziarsi la S.C. (Sez. Un. 19/12/2007 n. 26724):
“In relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cd. “nullità virtuale”), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità. Ne consegue che, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento finanziario (nella specie, in base all’art. 6 l. n. 1 del 1991) può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. “contratto quadro”, il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del “contratto quadro”; in ogni caso, deve escludersi che, mancando una esplicita previsione normativa, la violazione dei menzionati doveri di comportamento possa determinare, a norma dell’art. 1418, comma 1, c.c., la nullità del cosiddetto “contratto quadro” o dei singoli atti negoziali posti in essere in base ad esso”.
Va poi esclusa anche la risoluzione, per violazioni delle norme sull’informazione adeguata al cliente e sul conflitto di interessi.
Sotto quest’ultimo profilo in effetti è pacifico che l’intermediatore svolge il ruolo di collocatore di titoli senza assunzione di responsabilità connessa alla loro titolarità; alla banca poi è anche assicurata la restituzione della sorte capitale, per di più con la remunerazione costituita dall’interesse praticato.
Se in linea astratta un comportamento poco diligente dell’intermediatore può essere foriero di responsabilità contrattuale ( e quindi autorizzare anche un recesso per giusta causa da parte del cliente), nel caso in esame non risulta neanche evocata una forma di grave inadempimento ex art. 1455 c.c.; ad esempio quale si sarebbe desunta dall’aver indirizzato l’investimento in titoli che dovevano però apparire poco redditizi, sulla base del presumibile andamento del mercato finanziario interno o internazionale( un caso di difetto di diligenza insomma).
In ogni caso non risulta dimostrato il fatto costitutivo della risoluzione ex art. 1455 c.c., né veniva richiesto di provarlo con apposita perizia.
LA RICORRENZA DELL’ANNULLABILITÀ SOTTO IL PROFILO DELL’ERRORE: L’ASSENZA DI INFORMAZIONE SULLA CAUSA IN CONCRETO PERSEGUITA, QUALE DESUMIBILE DAL COLLEGAMENTO NEGOZIALE TRA PROGRAMMATO FINANZIAMENTO E PIANO DI RIENTRO DAL PRESTITO ONEROSO INTERCORSO CON LA STESSA INTERMEDIARIA
E’ vero che l’attrice stipulava nelle forme di legge avuto riguardo alle contestazioni qui in rilievo, in conformità alla regola della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunziato ex art. 112 c.p.c. l’acquisto del prodotto finanziario e che veniva data informazione con apposito modulo del tipo di speculazione prevista.
Ma è pur vero che si aveva una grave lacuna sul piano della adeguata informazione, proprio nel momento in cui si doveva formare correttamente il consenso in capo all’attrice: alla cliente non veniva detto dell’incidenza che il costo del prestito avrebbe avuto sull’investimento finanziario, al punto da poter rendere poco probabile un saldo positivo per la cliente alla scadenza del contratto, fissata per 2016.
Occorre infatti considerare che i titoli obbligazionari sui quali si indirizzava l’investimento, senza cedole e quindi senza utili, ma con la possibilità del solo eventuale realizzo al momento della vendita, garantivano sì un rendimento minimo pari al 132,50% del valore nominale, che era stato all’inizio fissato in euro 9.000,00.
E questo dato a prima vista, per un consumatore, che per di più ricorre occasionalmente a questo tipo di operazione ad alto rischio, finiva con l’apparire, paradossalmente, confortante e quindi allettante: posso permettermi di rischiare, posto che mi sarà assicurato un rimborso minimo, ancorato ad una percentuale calcolata sul valore nominale sopra indicato.
L’extra rendimento (quello cioè superiore al 132,50%) poi doveva venir fuori dalla somma delle medie aritmetiche del valore di ciascuno dei dieci fondi, che formavano il paniere acquistato, rilevati a cadenza annuale; o, in caso di prosecuzione del rapporto fino alla scadenza, quello dell’ultima rilevazione fissata per il 28-09-2016.
I valori dovevano poi essere confrontati con il valore iniziale (28-09 2001) ed in questo modo di sarebbe determinato il realizzo.
Ancora una volta la percezione di un extra rendimento (oltre il 132,50% del valore nominale di euro 9.000,) poteva ancora allettare il consumatore sulla bontà del finanziamento.
Peccato però che non veniva detto alla cliente che su questo extrarendimento avrebbe inciso il costo del finanziamento (tasso del 6,2325%), che si sarebbe poi tradotto nell’esborso della complessiva somma di euro 13.573,00; e che per realizzare un guadagno alla scadenza contrattuale avrebbe dovuto ottenere un notevole extrarendimento.
Si consideri che sulla base della simulazione fornita dal perito dell’attrice, ma su dati non contestati, l’extra rendimento (oltre il minimo assicurato del 132,50% di 9.000,00 del valore nominale iniziale del paniere dei titoli), alla scadenza prevista nel 2016, dovrebbe aggirarsi sul 25,73 %, si badi, per consentire al cliente di andare soltanto in pareggio tra quanto versato e quanto ricevuto (il contratto è infatti ancora in corso):
Rate pagate = uscita = 175 X 77,56 = 13.573,00;
Rimborso paniere titoli = entrata = 132,50% di 9.000,00 + extra rendimento del 25,73 % = 14.240,27
Uscita tassazione fiscale = 667,27.
Il tutto porterebbe ad un risultato finale pari ad 0.
Né sarebbero andate meglio le cose per il caso di anticipata risoluzione, come sopra si è visto; peraltro alla data del 08-02-2011 il controvalore dei titoli si attestava su euro 8.100,15 ed al 30-01-2013 in euro 8.667,38, quindi ben al di sotto del controvalore nominale iniziale di euro 9.000,00, senza contare il costo dell’anticipata risoluzione del prestito prima della sua scadenza.
In altri termini il dato relativo alla rischiosità dell’operazione di investimento era addirittura fuorviante: non si trattava di un investimento finanziario avente la sola caratteristica della medio – alta rischiosità; bensì di un operazione complessa, che comprendendo un prestito oneroso, avrebbe potuto garantire in concreto un saldo positivo solo ipotizzando extrarendimenti davvero ragguardevoli.
E si consideri poi che per determinare l’extrarendimento si doveva operare la media dei dieci fondi che componevano il paniere acquistato; come a dire che il saldo positivo appariva ancora di più difficile verificazione, posto che i rendimenti pur alti di alcuni dei dieci fondi, potevano essere compensati dalle perdite relative agli altri.
Si trattava cioè di un’operazione non più caratterizzata dall’alea di un alto guadagno, ma destinata a garantire un risultato certo alla banca intermediaria, derivante dal tasso del prestito e delle commissioni; viceversa una perdita molto probabile per il cliente, a meno di non ipotizzare dei guadagni davvero molto importanti di tutti e dieci i fondi.
Se fosse stato chiarito al momento genetico del rapporto la reale natura dell’operazione, neanche un semplice consumatore avrebbe mai sottoscritto il contratto.
Di contro ad un investitore professionale un tale pacchetto è lecito supporre che non si penserebbe proprio di proporlo; il quale infatti è ben disposto a sobbarcarsi il rischio dell’alea del guadagno, perché correlato con un grado maggiore di oscillazione del prezzo, ma non di certo il paniere qui in discorso, per il quale solo il realizzo di un valore della media di dieci fondi di molto superiore al 25% rispetto a quello iniziale avrebbe garantito un minimo di guadagno.
L’informazione insomma si è avuta su uno solo dei contratti che caratterizzavano l’operazione, per di più fuorviante, come sopra si è sottolineato, ma non anche sul risultato del collegamento negoziale con l’operazione del prestito.
Senza contare la palese iniquità del contratto per lo squilibrio ab origine esistente tra i certi vantaggi della banca ed i poco probabili guadagni ritraibili dal consumatore; un collegamento negoziale ai limiti della meritevolezza della tutela ex art. 1322, II co, c.c..
PUNTUALIZZAZIONE SULLA NATURA GENETICA DELLA PATOLOGIA CONTRATTUALE: L’ESSENZIALITÀ DELL’ERRORE EX ART. 1429 C.C.
Che fosse mancata l’informazione decisiva di cui sopra si è discorso, emerge già dal rilievo che di essa non a caso la difesa convenuta non faceva riferimento nelle sue ampie ed articolate difese, concentrata come era ad evidenziare la ricorrenza dell’informazione riguardante il solo andamento rischioso dei titoli, il conflitto di interessi etc.
E l’errore da parte della consumatrice era essenziale, in quanto cadeva ex art. 1429, I co. n. 1) sulla natura del contratto: l’acquisto del prodotto finanziario era cosa diversa dall’operazione complessiva desumibile dal collegamento negoziale con il prestito. Ed era anche riconoscibile evidentemente dalla banca.
La causa in concreto cambiava, per effetto del collegamento negoziale e cambiando uno dei requisiti essenziali ex art. 1325 c.c. cambiava giocoforza anche la natura del contratto (il senso dell’operazione economica vista nella sua complessità).
LA VALUTAZIONE NON È QUINDI SULLA CONVENIENZA
Non si è quindi trattato di un errore sulla convenienza dell’affare per il consumatore, di certo mai foriero della invalidità del contratto, come si desume dal costante insegnamento della cassazione.
Un siffatto esito ci sarebbe stato se si fosse trattato di un solo investimento ad alto rischio, relativo alla variazione in un dato tempo dei titoli acquistati sul mercato nazionale od internazionale.
Al contrario era un’operazione più complessa di cui il consumatore occasionale non poteva di certo venire a conoscenza con propri mezzi; infatti non è affatto emerso che l’attrice fosse dedita ad operazioni speculative rischiose o che le avesse già fatto in precedenza; anche perché se così fosse stato, come sopra si è evidenziato, è presumibile che non lo avrebbe mai stipulato il contratto dedotto in giudizio.
Complessità, peraltro tutta suo sfavore, di cui l’attrice non è stata edotta: non solo per la già rimarcata assenza di informativa circa gli effetti sulla probabilità di realizzo derivante dal collegamento negoziale con il prestito oneroso, ma anche per le sopra evidenziate difficoltà di spuntare un realizzo alto, sia nel lungo periodo sia nel caso in cui vi fosse stata l’anticipata risoluzione del contratto, avuto anche riguardo al parametro medio utilizzato per determinare l’extrarendimento dei dieci fondi che componevano il paniere.
La sua qualità di consumatrice anzi imponeva una forma di informazione molto più dettagliata; di certo non equiparabile a quella che poteva desumere rilevando da sé le condizioni del prestito.
E che l’attrice rivestisse una siffatta qualità emerge dallo stesso contratto quadro.
E’ vero che risulta un documento, da lei firmato, denominato “scheda per l’individuazione del profilo del cliente” nel quale, per gli obbiettivi di investimenti, si attesta la “Prevalenza rivalutabilità rapportata al rischio di oscillazione corsi”, ossia un grado di rischio massimo rispetto a quella indicata come meno rischioso, perché di “pura redditività e minimo rischio a breve periodo”.
Ma è pur vero che si trattava di un modulo prestampato anche in tutto il suo contenuto, per il quale risultava apposta una crocetta proprio sulla casella indicativa del rischio maggiore.
In ogni caso si tratta del profilo dell’informazione riguardante il rischio dell’investimento, ma non quello concretamente desumibile dalla valutazione complessiva del finanziamento tutto considerando, come sopra si è evidenziato.
LE STATUIZIONI RESTITUTORIE
All’annullamento del contratto segue la restituzione non solo delle somme versate a titolo di rate ma di ogni altra somma correlata alla stipula del contratto: spese, commissioni e tributi.
Non solo quelle specificate nella domanda, nella successiva modifica ex art. 183, VI co. ma anche quelle che nelle more abbia versato l’attrice in esecuzione del contratto impugnato.
Non si tratta evidentemente di modifica della domanda principale ma di un suo logico sviluppo, ovvero di un effetto automatico che consegue alla pronunzia di annullamento del titolo che fonda non solo l’esborso di somme avvenute prima del processo ma anche nel suo svolgersi (a denotare peraltro la correttezza dell’operata dell’attrice che attende l’esito favorevole del processo prima di svincolarsi dalla forza di legge del contratto).
In altri termini non dovrà di certo richiedersi la formazione di un nuovo titolo per ottenere tutto quello che la banca deve restituire per effetto dell’annullamento del contratto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza della banca convenuta e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto dell’effettiva attività svolta.
P.T.M.
Definitivamente pronunziando sulle domande proposte, con citazione regolarmente notificata, dalla sig.ra S.S. nei confronti del M.P.S. S.p.A., rigettata ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:
Accoglie la domanda subordinata ed annulla il contratto dedotto in giudizio;
Condanna la Banca convenuta alla restituzione in favore dell’attrice della somma sborsata a titolo di rate, che alla data del 15-05-2013 ammontava ad euro 10.470,00; ed alla restituzione della somma a titolo di imposte di bollo, che sempre alla stessa data era pari ad euro 393,30; oltre le ulteriori somme versate per i due titoli specificati anche successivamente.
Condanna la banca convenuta al pagamento delle spese processuali sopportate dall’attrice, che si liquidano, in favore dei difensori anticipanti, in solido, in euro 220,00 per esborsi, ed euro 3.500,00 per compenso professionale, oltre accessori di legge.
Il giudice dott. Claudio Casarano
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Numero Protocolo Interno : 38/2013