La registrazione di un domain name che riproduca o contenga il marchio altrui costituisce una contraffazione del marchio poiché permette di ricollegare l’attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone, quindi, un indebito vantaggio. Ne consegue che solo il titolare di un marchio registrato potrebbe legittimamente usarlo sul proprio sito o come nome di dominio.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, sez. I civ., Pres. Scotti – Rel. Caiazzo, con l’ordinanza n. 4721 resa il 21 febbraio 2020.
Il caso si riferisce ad una controversia in materia di proprietà industriale ed intellettuale fra una privata cittadina, titolare di un marchio, ed una casa editrice. In primo grado quest’ultima aveva chiamato in giudizio la signora, per aver registrato e utilizzato il proprio nome a dominio, in violazione dei diritti di esclusiva relativi al marchio e ad una nota testata giornalistica. Ed il Tribunale aveva applicato l’art. 28 CPI per condannare il comportamento della titolare del marchio, che aveva interposto appello.
La Corte territoriale aveva respinto l’appello della titolare del marchio ed accolto parzialmente l’appello incidentale della casa editrice, osservando che la signora avesse registrato e utilizzato in mala fede il segno distintivo con l’illecito intento di procacciarsi clienti consapevole che il risultato proveniente dal marchio “mega-tag” rendesse la sua pagina web tra i primi risultati dei motori di ricerca e che, contestualmente, rendesse più appetibile per i clienti la possibilità di visionare un sito che potesse rievocare i medesimi elementi propri del vero nome a dominio registrato dalla casa editrice.
La titolare del marchio ha così proposto ricorso per Cassazione.
La Suprema Corte ha osservato che la registrazione di un domain name che contiene e/o riproduce il marchio altrui integra la fattispecie di contraffazione del marchio, in quanto fa sì che le attività svolte dai due soggetti possano essere tra loro ricollegate. Solo il titolare del marchio registrato può usarlo sul proprio sito o come nome a dominio.
Per ciò che concerne il periodo antecedente all’entrata in vigore del codice della proprietà industriale, contestabile era un unico principio di legittimità sui segni atipici secondo cui “nel periodo anteriore all’entrata in vigore del codice della proprietà industriale anche ai nomi a dominio deve applicarsi, sebbene si tratti di segni distintivi atipici, il R.D. 21 giugno 1942, n. 929, essendo essi strumenti attraverso cui accedere, nell’ambito di internet, ad un vasto mercato commerciale di dimensioni globali che consentono di identificare il titolare del sito web ed i prodotti e servizi offerti al pubblico, onde tali nomi rivestono una vera e propria capacità distintiva, in quanto, secondo la attuale concezione sulla natura e sulla funzione del marchio, non si limitino ad indicare la provenienza del prodotto o del servizio, ma svolgano una funzione pubblicitaria e suggestiva che ha la finalità di attrarre il consumatore, inducendolo all’acquisto”.
Nel caso di specie è indiscussa la “forza” del marchio registrato dalla casa editrici, pertanto la stessa è tutelata maggiormente dalla normativa ed ha una maggiore incisività che rende illegittima qualsivoglia variazione anche originale che lascerebbe intatto il nucleo ideologico che riassuma l’attitudine individualizzante del segno, per tali ragioni anche lievi modificazioni che il marchio debole è tenuto a tollerare condurrebbe al mero pregiudizio conseguibile con l’uso del marchio in discussione.
In conclusione, indubbio era che l’uso del marchio avesse comportato un agganciamento al marchio rinomato e distintivo in oggetto, presente come testata editoriale sin dal 1940, non meritava peraltro censura la decisione del giudice di merito in merito alla sussistenza della mala fede – elemento impeditivo della convalidazione del domain name – all’atto di registrazione del marchio.
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