La remunerazione dell’istituto di credito per l’attività di intermediazione costituisce un dato neutro, non suscettibile di mutare qualificazione in ragione delle caratteristiche dell’investimento. In altri termini, il conflitto di interessi c’è o non c’è indipendentemente dal fatto che l’istituto di credito sia remunerato (e indipendentemente dal fatto che l’operazione sia o non sia adeguata o redditizia), in quanto attiene a un collegamento tra l’istituto e i prodotti finanziari acquistati per suo tramite.
Questo il principio espresso dal Tribunale di Modena, Giudice Paolo Siracusano, con la sentenza n. 609 del 20 maggio 2020.
Nel caso di specie, un cliente ha proposto un giudizio contro una banca, in ordine a contestazioni avanzate su numerosi acquisti di azioni. L’attore aveva precedentemente esperito un altro contenzioso, sulle medesime operazioni di investimento, contestandone la nullità per difetto di informazione e difformità delle firme sugli ordini. Il Giudice, in tal caso, aveva ritenuto infondata la domanda. In questo secondo giudizio, invece, ha introdotto come elemento di “novità” il tema del conflitto di interessi che, secondo le prospettazioni attoree, si basava su un presunto sistema di remunerazioni incassate dalla Banca a fronte di investimenti rischiosi non andati a buon fine per l’investitore.
Il Tribunale ha ritenuto inesistente il preteso conflitto di interessi, enunciando il principio di diritto di cui sopra.
Ragionando all’inverso, il Giudice ha spiegato che, se fossero le caratteristiche del prodotto acquistato – combinate con la remunerazione – a far emergere il conflitto, sarebbe stato necessario dedurre la questione nel giudizio già pendente tra le parti, a maggior ragione se si considera che, secondo la giurisprudenza di legittimità, “nell’ipotesi di operazione inadeguata od in conflitto d’interessi, la violazione dell’obbligo giuridico di astensione a carico dell’intermediario esclude la necessità dell’accertamento del nesso causale, da ritenersi in “re ipsa” (Cassazione, ord. n. 25335/2017).
Infatti, posto che, secondo parte attrice, nel caso di specie, l’inadeguatezza dell’operazione sarebbe elemento costitutivo (insieme con la remunerazione) della fattispecie “conflitto di interessi”, va da sé che il nesso causale sarebbe il medesimo e il danno dovrebbe essere collocato interamente nella sfera giuridico/patrimoniale dell’intermediario per il sol fatto dell’inadeguatezza (ove dimostrata nell’altra causa), senza che il conflitto di interessi possa assumere (secondo la prospettazione di parte attrice relativa al caso di specie) un rilievo autonomo.
Per tale motivo, la domanda è stata rigettata.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
CONTRATTO QUADRO – INVESTIMENTI: ESCLUSA NULLITÀ OVE L’INVESTITORE NON PROVI INADEMPIMENTO DEI DOVERI DELL’INTERMEDIARIO
LA BANCA DEVE DIMOSTRARE DI AVER AGITO CON LA DILIGENZA EX ART. 21 TUF IN MODO DA CONSENTIRE A INVESTITORE SCELTA CONSAPEVOLE
Ordinanza | Cassazione civile, Pres. Giancola – Rel.Falabella | 03.11.2017 | n.26191
LEHMAN BROTHERS: LA VIOLAZIONE DEI DOVERI DI INFORMAZIONE NON DETERMINA LA NULLITÀ DEI CONTRATTI QUADRO
TALE ASPETTO NON PUÒ INCIDERE SULLA GENESI DELL’ATTO NEGOZIALE
Sentenza | Tribunale di Ragusa, Dott.ssa Antonietta Donzella | 02.01.2017 | n.2
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