L’ISC non rappresenta una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, svolgendo unicamente una funzione informativa finalizzata a porre il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi. L’erronea quantificazione dell’ISC, quindi, non potrebbe comportare una maggiore onerosità del finanziamento (non mettendo in discussione la determinazione delle singole clausole contrattuali che fissano i tassi di interesse e gli altri oneri a carico del mutuatario) e, conseguentemente, non renderebbe applicabile a tale situazione quanto disposto dall’art. 117, comma VI, D.Lgs. n. 385/1993.
Questo è il principio espresso dal Tribunale di Roma, Giudice Tommaso Martucci, con la sentenza n. 1726 del 29.01.2021.
In particolare, la vicenda ha riguardato dei mutuatari che hanno convenuto in giudizio una banca, chiedendone la condanna alla ripetizione delle somme incamerate a titolo di interessi e spese, da liquidarsi secondo giustizia, previa declaratoria di nullità parziale del mutuo inter partes per violazione della disciplina in materia di usura e trasparenza nei contratti bancari, nonché dell’art. 117 D.Lgs. n. 385/1993.
Si è costituito in giudizio l’istituto di credito chiedendo il rigetto delle domande attoree, deducendo la legittimità delle pattuizioni relative al mutuo inter partes con particolare riferimento ai tassi di interesse e al piano di ammortamento e contestando l’avverso criterio di calcolo del TEG ai fini della verifica del rispetto della soglia d’usura per i tassi d’interessi moratori. Dava atto, inoltre, che l’ISC era stato espressamente previsto dal contratto originario di mutuo e dal relativo documento di sintesi, in conformità della legge, che non impone l’indicazione dell’ISC anche nei successivi atti modificativi.
Esperiti gli incombenti preliminari, il giudice, preso atto che la convenuta era stata posta in liquidazione coatta amministrativa, dichiarava l’interruzione del processo, che veniva riassunto tempestivamente dagli attori.
Il Giudice, nell’affrontare il thema decidendum, ha evidenziato che, in relazione alle conseguenze della difformità tra l’ISC indicato in contratto e quello concretamente applicato, si sono diffusi vari orientamenti.
In particolare, secondo il primo orientamento l’indicazione nel contratto di un ISC inferiore rispetto al TAEG costituirebbe una violazione dell’art. 117, co. VI, D.Lgs. n. 385/1993, che sancisce la nullità delle clausole che prevedono per i clienti condizioni economiche più sfavorevoli di quelle pubblicizzate, cui consegue la nullità della clausola relativa agli interessi e la necessità di applicare – in sostituzione del tasso dichiarato nullo – il tasso nominale dei buoni ordinari del tesoro ai sensi dell’art. 117, co. VI, D.Lgs. n. 385/1993.
Tuttavia, conformemente all’indirizzo ermeneutico maggioritario, condiviso dall’adito giudicante, l’ISC non rappresenta una specifica condizione economica da applicare al contratto di finanziamento, svolgendo unicamente una funzione informativa finalizzata a porre il cliente nella posizione di conoscere il costo totale effettivo del finanziamento prima di accedervi.
Secondo tale orientamento non si rinviene nel diritto positivo la sanzione della nullità per la fattispecie in questione, essendo stata prevista una simile sanzione solo nel settore del credito al consumo, nella cui disciplina l’art. 125-bis, co. VI, D.Lgs. n. 385/1993 dispone che, nel caso in cui il TAEG indicato nel contratto non sia stato determinato correttamente, le clausole che impongono al consumatore costi aggiuntivi (rispetto a quelli effettivamente computati nell’ISC) sono da considerarsi nulle.
In tal senso, qualora il legislatore avesse voluto sanzionare con la nullità la difformità tra ISC e TAEG nell’ambito di operazioni diverse dal credito al consumo, lo avrebbe espressamente previsto, analogamente a quanto avvenuto con l’art. 125-bis, co. VI, D.Lgs. n. 385/1993.
Ne consegue che l’erronea o la mancata indicazione dell’ISC non determina nessuna incertezza sul contenuto effettivo del contratto stipulato e del tasso di interesse effettivamente pattuito, pertanto la violazione dell’obbligo pubblicitario perpetrata dalla Banca mediante l’erronea quantificazione dell’ISC non è suscettibile di determinare alcuna invalidità del contratto di mutuo (né tantomeno della sola clausola relativa agli interessi), ma può configurarsi unicamente come illecito e, in quanto tale, essere fonte di responsabilità della Banca.
Alla luce di tali argomentazioni, il Tribunale ha rigettato le domande attoree, con conseguente condanna al pagamento delle spese di lite.
Per ulteriori approfondimenti, si rinvia ai seguenti contributi pubblicati in Rivista:
L’ISC non costituisce parte integrante del regolamento contrattuale
Svolge una funzione meramente informativa in ordine al contenuto del contratto
Sentenza | Tribunale di Larino, Giudice Michele Russo | 03.01.2021 | n.2
MUTUO: I.S.C. integra un mero indicatore di costo ai fini della trasparenza
Non può essere considerato quale elemento costitutivo del negozio, ai fini dell’applicazione della predetta sanzione ex art. 117 t.u.b
Sentenza | Tribunale di Brescia, Giudice Angelica Castellani | 16.12.2020 | n.2614
PRESCRIZIONE-INDEBITO BANCARIO: l’eccezione generica della Banca convenuta è valida ed efficace
Incombe sul correntista-attore, per superare tale eccezione, l’onere di provare la natura ripristinatoria delle rimesse
Sentenza | Tribunale di Bologna, Giudice Alessandra Arceri | 03.11.2020 | n.20593
L’ERRONEA INDICAZIONE DELL’ISC NON INCIDE SULLA VALIDITÀ DELLE CLAUSOLE CONTRATTUALI
PUÒ RILEVARE – EVENTUALMENTE – PER LA RESPONSABILITÀ DELLA BANCA E DEL RISARCIMENTO DANNI
Sentenza | Tribunale di Torino, Giudice Silvia Orlando | 21.09.2020 | n.3213
MUTUO – DIVERGENZA ISC /TAEG: non dà luogo a violazione dell’art. 117 del TUB
Si tratta di un mero elemento informativo fornito dalla banca al cliente
Ordinanza | Corte di Appello di Torino, Pres. Maccarone – Rel Morbelli | 28.01.2020
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