ISSN 2385-1376
Testo massima
Il PM può proporre istanza di fallimento anche su segnalazione dello stesso Tribunale fallimentare che, qualora il procedimento finalizzato alla dichiarazione di fallimento non si concluda con una decisione nel merito, può disporre, ai sensi della L. Fall., art. 7, la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero, affinché questi valuti se instare per la dichiarazione di fallimento, senza che ciò comporti alcuna violazione del principio di terzietà del giudice, di cui all’art. 111 Cost., per il solo fatto che il Tribunale sia chiamato una seconda volta a decidere sul fallimento dell’imprenditore a seguito di richiesta del P.M., conseguente alla segnalazione da parte dello stesso giudice.
Il Pubblico Ministero può, dunque, proporre istanza di fallimento se la situazione d’insolvenza emerge non solo da un procedimento penale a carico del fallendo, ma anche da un qualsiasi altro procedimento penale, nonché da elementi acquisiti altrove, al di fuori del procedimento penale.
Ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza, è l’obiettiva incapacità dell’imprenditore di adempiere alle obbligazioni che assume rilievo e non già la genesi della crisi, onde è priva di significato ogni indagine diversa da quella volta ad accertare, su un piano effettuale ed oggettivo, il sussistere dell’insolvenza.
Questi i principi affermati dalla Corte di Cassazione, sezione prima, Pres. Ceccherini – Rel. Ragonesi, con sentenza n. 5447, depositata in data 18.03.2015.
Nel caso in esame, il Tribunale, su ricorso proposto dal Pubblico Ministero, dichiarava il fallimento della Società Alfa.
Avverso tale sentenza, proponevano reclamo innanzi alla Corte d’Appello un socio della società fallita ed il promissario acquirente di un immobile di quest’ultima, deducendo il difetto di legittimazione del P.M. a proporre istanza di fallimento, oltre che l’insussistenza dello stato d’insolvenza.
La Corte di merito rigettava il ricorso, rilevando che la legittimazione del P.M. fosse scaturita dall’accertamento, condotto in sede penale, dal quale era emersa la sussistenza del comprovato stato di insolvenza.
Avverso tale sentenza, veniva dunque proposto ricorso per cassazione.
La Suprema Corte, nel disporre il rigetto del ricorso, ha accertato la legittimazione del P.M. a proporre istanza di fallimento, affermando che tale possibilità ricorra “non solo se la situazione d’insolvenza emerge da un procedimento penale a carico del fallendo, ma anche da un qualsiasi altro procedimento penale, nonché da elementi acquisiti altrove, al di fuori del procedimento penale”.
Statuizione, questa, resa sulla scorta di una recente pronuncia delle Sezioni Unite, intervenute a dirimere ogni contrasto interpretativo sul punto, affermando inequivocabilmente che “il PM può agire anche su segnalazione dello stesso Tribunale fallimentare che, qualora il procedimento finalizzato alla dichiarazione di fallimento non si concluda con una decisione nel merito, può disporre, ai sensi della L. Fall., art. 7, la trasmissione degli atti al P.M., affinché valuti se instare per la dichiarazione di fallimento, senza che ciò comporti alcuna violazione del principio di terzietà del giudice, di cui all’art. 111 Cost., per il solo fatto che il tribunale sia chiamato una seconda volta a decidere sul fallimento dell’imprenditore a seguito di richiesta del P.M. conseguente alla segnalazione da parte dello stesso giudice” (Cass. S.U. 9409/13; http://www.expartecreditoris.it/provvedimenti/fallimento-e-legittima-l-iniziativa-del-pm-su-segnalazione-del-medesimo-tribunale-fallimentare.html).
Le Sezioni Unite hanno al contempo precisato che, in fattispecie del genere, il rispetto del principio della terzietà del Giudice derivi dall’indipendenza dei due organi giudiziari e dall’autonomia dei due procedimenti, fondandosi l’istanza del Pubblico Ministero sull’interesse pubblico a dare impulso all’istanza di fallimento sulla base di una segnalazione qualificata.
In seconda istanza, la Suprema Corte ha rilevato l’incensurabilità, in sede di legittimità, della pronuncia di accertamento dello stato di insolvenza, laddove tale pronuncia risulti “sorretta da motivazione adeguata, immune da vizi logici ed ispirata ad esatti criteri giuridici”.
Requisiti, invero, riscontrati nella pronuncia resa dal Giudice di appello, attenutosi a sua volta ai principi, più volte ribaditi dalla Cassazione, per effetto dei quali, “ai fini dell’accertamento dello stato di insolvenza, è l’obiettiva incapacità dell’imprenditore di adempiere alle obbligazioni che assume rilievo, e non già la genesi della crisi, onde è priva di significato ogni indagine diversa da quella volta ad accertare, su un piano effettuale ed oggettivo, il sussistere dell’insolvenza. In particolare, non esclude l’insolvenza uno stato patrimoniale caratterizzato dall’eccedenza delle poste attive su quelle passive, quando l’incapacità di adempimento regolare e, quindi, a scadenza e con mezzi normali, delle obbligazioni assunte si esprima, comunque, sul piano della carenza di liquidità”.
Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva rilevato che l’attivo patrimoniale non era di pronta liquidazione e che nelle casse della società non vi era liquidità per far fronte alle obbligazioni, risultando la stessa gravata da un ingente passivo. Correttamente, dunque, era stato accertato lo stato di insolvenza.
In ogni caso, le censure articolate dal ricorrente nel contestare l’accertamento operato dalla Corte di merito, tendevano in realtà “a superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, trascurando che quest’ultimo non è un giudizio di merito di terzo grado, nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi”.
Sulla scorta delle medesime argomentazioni, la Cassazione ha altresì rigettato gli ulteriori motivi di ricorso, tendenti a censurare la sentenza della Corte di merito per non aver tenuto conto della possibile liquidabilità dell’attivo mediante la vendita degli immobili, oggetto di già sottoscritti preliminari di vendita.
In conclusione, la Corte di Cassazione ha integralmente rigettato il ricorso, confermando la sentenza resa dalla Corte di Appello.
Testo del provvedimento
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