ISSN 2385-1376
Testo massima
Si ringrazia per la segnalazione l’Avv. Eduardo Staunovo-Polacco del foro di Milano
Ove vi sia certezza del fatto che la società posta in liquidazione coatta amministrativa abbia seguitato l’attività sociale anche dopo l’apertura della procedura, senza che il commissario liquidatore ne avesse notizia, con la conseguente riconducibilità ad essa dei pagamenti effettuati attraverso operazioni sul conto corrente, deve farsi applicazione dell’art. 42, comma 2, l.f..
Ne deriva che, nel caso la banca provi che le rimesse sul conto abbiano costituito provento della gestione di un’attività d’impresa esercitata dalla società successivamente all’apertura della procedura, il Commissario Liquidatore avrà titolo per richiedere la restituzione delle sole somme corrispondenti al saldo attivo del conto corrente, con esclusione, dunque, dell’art. 44 l.f..
Questi i principi affermati dalla Corte di Appello di Brescia, Pres. Bitonte Rel. Pianta, con sentenza depositata in data 05.05.2015.
IL CASO
Nella fattispecie in esame, la Società in liquidazione coatta amministrativa conveniva innanzi al Tribunale la Banca, al fine di ottenere, previa dichiarazione di scioglimento ex art. 78 l.f. del contratto di conto corrente bancario, la condanna dell’istituto di credito ex artt. 42 e 44 l.f., alla restituzione delle somme corrispondenti al residuo del saldo attivo di conto corrente maturato alla data della dichiarazione della liquidazione coatta amministrativa, nonché alle rimesse attive affluite sul medesimo conto corrente successivamente a tale dichiarazione. In via subordinata, l’attrice chiedeva la condanna dell’istituto di credito alla restituzione della sola somma corrispondente al residuo del saldo attivo di conto corrente, maturato alla data della dichiarazione di Liquidazione Coatta Amministrativa.
Si costituiva in giudizio la Banca, la quale, assumendo di non essere stata informata della procedura a cui la propria cliente era stata sottoposta, concludeva per il rigetto delle domande attoree, deducendo altresì che il conto corrente era rimasto operativo per il periodo successivo alla data di messa in liquidazione coatta amministrativa, sino al momento in cui il Commissario Liquidatore ne aveva disposto la chiusura per procedere ai pagamenti in favore dei terzi.
Il Tribunale accoglieva la domanda articolata in via principale dalla Società in l.c.a., con condanna della Banca alla rifusione delle spese di lite. In particolare, il Giudice adito riteneva applicabile al caso di specie l’art. 78 l.f. (applicabile ex art. 201 l.f. anche alle procedure di liquidazione coatta amministrativa), da cui discende lo scioglimento automatico dei contratti, anche di conto corrente e di commissione, nei casi di fallimento di una delle parti, nonché l’articolo 44 l.f., che sancisce l’inefficacia degli atti e dei pagamenti compiuti dall’impresa dalla data del provvedimento di apertura della liquidazione coatta amministrativa. In sostanza, in virtù del combinato disposto degli articoli 42 e 44 l.f., “una volta scioltosi automaticamente il rapporto di conto corrente (alla data di apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa), tutte le somme a credito del fallito sono ipso iure acquisite dalla procedura e le successive operazioni effettuate dal fallito sul conto corrente sono ope legis inefficaci rispetto ai creditori“.
Avverso la sentenza di primo grado, proponeva appello la Banca, lamentando in particolare la “mancata applicazione dell’art. 42, secondo comma, l.f., nonostante le dichiarazioni confessorie della Procedura circa la prosecuzione dell’attività sociale dopo l’apertura della liquidazione coatta amministrativa“. In applicazione della richiamata norma, il commissario avrebbe avuto titolo per chiedere il solo saldo finale del conto corrente.
LA DECISIONE
Nel disporre l’accoglimento dello spiegato appello, con conseguente riforma della sentenza impugnata, la Corte di merito ha richiamato a fondamento delle proprie statuizioni la sentenza n. 8247 del 7 giugno 2002, della Corte di Cassazione.
In particolare, nonostante le latenti difficoltà interpretative riscontrate in materia, la Corte di merito ha ribadito che “in tema di fallimento, deve riconoscersi al curatore la legittimazione ad appropriarsi immediatamente di tutte le somme affluite su di un conto corrente del fallito in epoca successiva al fallimento e delle quali non risulti provato il titolo di acquisizione (somme da ritenersi ‘beni sopravvenuti al fallito in corso di fallimento’, ex art. 42, secondo comma, legge fall.), mentre la banca convenuta per la restituzione delle somme stesse può opporre, in via di eccezione (restando, per l’effetto, onerata della relativa prova), che le rimesse sul conto abbiano costituito provento della gestione di un’attività d’impresa esercitata dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento, sicché (trattandosi di beni pervenuti a quest’ultimo durante il corso della procedura fallimentare) dall’importo dei versamenti debbono essere detratti i pagamenti eseguiti a terzi mediante assegni bancari tratti sul conto ‘de quo’, quali passività sostenute dal fallito per la produzione del reddito affluito sul conto stesso“.
Sulla scorta di tali indicazioni di diritto, la Corte d’Appello ha ritenuto che fosse “giuridicamente corretta la pretesa della odierna appellante di opporre validamente l’eccezione in parola anche nel caso, come quello di specie, in cui la società posta in liquidazione coatta amministrativa abbia proseguito, per un certo periodo ed in assenza dell’autorizzazione del Commissario (il quale si è proclamato all’oscuro della circostanza), nell’esercizio dell’attività d’impresa“.
In conclusione, il Collegio ha ritenuto fondate le doglianze della Banca appellante, ritenendo applicabile l’art. 42, comma 2, l.f., in luogo dell’art. 44 che il Giudice di prime cure aveva invece posto a fondamento dell’appellata sentenza.
Per approfondimenti, si rinvia all’ulteriore contributo pubblicato in Rivista, consultabile al seguente link:
FALLIMENTO: IN CASO DI PROSECUZIONE DELL’ATTIVITÀ DI IMPRESA DOPO L’APERTURA, SI APPLICA L’ART. 42 LF AI PAGAMENTI EFFETTUATI SUL C/C
LA PROTRAZIONE DELL’ATTIVITÀ DI IMPRESA DEL FALLITO RENDE INAPPLICABILE L’ART. 44 LF
Sentenza | Corte di Appello di Catanzaro, Pres. Rel. G. D’Alitto | 15-07-2014 | n.1094
Ove l’imprenditore, poi fallito, continui ad esercitare la attività di impresa dopo la dichiarazione di fallimento, il curatore fallimentare ha diritto ad ottenere il saldo attivo, detratte le passività incontrate, in forza dell’applicazione dell’art. 42 legge fallimentare in luogo dell’art. 44.
Testo del provvedimento
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Numero Protocolo Interno : 293/2015