ISSN 2385-1376
Testo massima
La caparra (sia confirmatoria che penitenziale) è una clausola che ha lo scopo di rafforzare il vincolo contrattuale; il relativo patto contrattuale ha natura reale, e, come tale, è improduttivo di effetti giuridici ove non si perfezioni con la consegna della relativa somma.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 10056 del 24 aprile 2013, intervenendo al termine del giudizio in opposizione a decreto ingiuntivo instaurato da una società al fine di far valere l’inefficacia del patto con cui, a garanzia dell’esecuzione di un contratto di appalto, era stata prevista la corresponsione di una caparra confirmatoria, che però non era stata versata.
Nel confermare la decisione di merito (che aveva già revocato il decreto ingiuntivo), la Corte di Cassazione ha sottolineato la natura reale della clausola contrattuale che prevede la caparra confirmatoria, altresì rilevando la possibilità per le parti, nell’ambito della loro autonomia negoziale, di differire la dazione della caparra in tutto o in parte ad un momento successivo alla conclusione del contratto, purché anteriore alla scadenza delle obbligazioni pattuite.
Tale possibilità hanno precisato gli Ermellini non comporta anche quella di escludere la natura reale del contratto, sicché ove la somma di denaro pattuita a titolo di caparra confirmatoria non sia stata versata, non potranno prodursi gli effetti che l’art. 1385, comma 2, c.c. ricollega alla sua consegna.
Ne consegue che, non essendo avvenuta, nel caso di specie, la consegna della caparra, la parte che avrebbe dovuto riceverla non può legittimamente vantare il diritto a recedere dal contratto obbligando la parte obbligata a corrisponderle la somma pattuita a titolo di caparra.
Testo del provvedimento
Svolgimento del processo
La ALFA srl, con atto ritualmente notificato, proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n.1165/2000 con cui il Tribunale di Monza – sez. distaccata di Desio, le aveva ingiunto il pagamento, in favore della ricorrente BETA SRL, della somma di L. 161.778.725 oltre accessori, a titolo di caparra confirmatoria prevista nel contratto d’appalto stipulato tra le parti, avente ad oggetto la realizzazione e fornitura di facciate continue, serramenti in alluminio e facciate, contratto che era stato risolto proprio per la mancata corresponsione della caparra in questione.
Deduceva la società opponente in specie l’inefficacia e/o nullità del patto relativo alla caparra stante il mancato versamento della somma e la natura reale del patto stesso nonché l’intervenuta risoluzione del contratto per muto consenso e non per inadempimento, per cui non sussistevano i presupposti per la risoluzione o il recesso del contratto.
Chiedeva quindi la revoca del decreto opposto, previo accertamento dell’inesistenza e/o inefficacia del patto relativo alla caparra confirmatoria e la declaratoria dell’avvenuta risoluzione del contratto per concorde volontà della parti.
In riconvenzionale chiedeva la condanna della BETA SRL al pagamento della somma di L.22.620.000 a saldo della fattura n. ….
Instaurato il contraddittorio, la società opposta chiedeva il rigetto dell’opposizione, sostenendo che il mancato versamento della caparra aveva legittimato il suo recesso dal contratto in questione.
Previa sospensione della provvisoria esecutorietà del provvedimento monitorio opposto, l’adito tribunale, con sentenza n.39/04 accoglieva l’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e in accoglimento della riconvenzionale condannava la BETA SRL al pagamento in favore dell’opponente della somma di Euro 11.682,00, oltre interessi legali. Il primo giudice, qualificato come appalto il contratto concluso tra le parti e rilevata la natura reale del patto di caparra, osservava che l’inadempimento dell’obbligo di versare la caparra non era così grave da giustificare il venir meno dell’interesse al mantenimento del contratto e il rapporto fiduciario con la ALFA SRL
Avverso tale pronunzia proponeva appello la BETA SRL che insisteva in specie sull’erronea qualificazione della natura reale della caparra confirmatoria e della mancanza d’inadempimento ai fini del legittimo recesso dell’appellante, lamentando altresì l’omessa pronuncia sulla domanda di risoluzione contrattuale.
Resisteva la ALFA SRL che proponeva appello incidentale in punto compensazione delle spese processuali; l’adita Corte d’Appello di Milano, con sentenza n.2961/06 depos. in data 12.12.2006 rigettava sia l’appello principale che quello incidentale, condannando BETA SRL al pagamento delle spese del grado.
Secondo la corte, non vi era alcun vizio di omesso esame della domanda di risoluzione, in quanto il tribunale si era implicitamente pronunciato sulla stessa respingendola, ritenendo che l’inadempimento della ALFA SRL non era ancora definitivo, trattandosi di un mero ritardo nel versamento dell’acconto e del correlato patto accessorio di caparra.
Rilevava tra l’atro che, in mancanza di specifici motivi d’appello circa la cause della risoluzione del contratto per inadempimento, si era formato il giudicato su tale specifico punto. Precisava la Corte che “il mancato versamento della caparra non (poteva) configurare inadempimento…., né una legittima causa di recesso del contratto, ma giustificare un’azione obbligatoria per il versamento di tale importo”.
Per la cassazione di tale pronunzia, ricorre BETA SRL sulla base di 4 mezzi; la società intimata non ha svolto difese.
Motivi della decisione
1 – Con il primo motivo, la società ricorrente eccepisce il vizio di motivazione ‘per non avere la corte d’appello enunciate le ragioni che l’hanno portata a ritenere valide le argomentazioni del giudice di primo grado in ordine alla questione della natura degli effetti della caparra confirmatoria’. Eccepisce altresì la violazione e falsa applicazione degli artt.1385, 1322 e 1655 cc ‘nella parte in cui si è ritenuto non applicabile l’istituto della caparra confirmatoria in mancanza della materiale consegna della corrispondente somma di danaro’.
Ritiene pertanto l’esponente che l’accordo circa il versamento della caparra ha efficacia vincolante per le parti anche se la relativa somma non sia stata versata al momento della stipula del contratto.
Il mezzo si conclude con i seguenti quesiti di diritto:
a) ‘se contrattualmente pattuito il versamento di una somma a titolo di caparra confirmatoria, si producano gli effetti di cui all’art.1385 comma 2 cc anche in mancanza di materiale versamento della relativa somma’;
b) ‘se in relazione al disposto di cui all’art.1655 ult. comma cc e nel rispetto dell’autonomia contrattuale previsto dall’art.1322 cc, possa ritenersi valida ed efficace la pattuizione che pone a carico della parte committente l’onere del versamento di una somma di danaro a titolo di caparra confirmatoria, prima della realizzazione dell’opera da parte dell’appaltatore’.
La doglianza è infondata.
Occorre premettere che la caparra confirmatoria costituisce un contratto che si perfeziona con la consegna che una parte fa all’altra di una somma di danaro o di una determinata quantità di cose fungibili per il caso d’inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad essa collegato (c.d. contratto principale).
La caparra (sia confirmatoria che penitenziale) è dunque, come è noto, una clausola che ha lo scopo di rafforzare il vincolo contrattuale; il relativo patto contrattuale ha natura reale, e, come tale, è improduttivo di effetti giuridici ove non si perfezioni con la consegna della relativa somma (Cass. n.2870 del 07/06/1978).
Ciò tuttavia non esclude che le parti, nell’ambito della loro autonomia negoziale, possano differire la dazione della caparra in tutto o in parte ad un momento successivo alla conclusione del contratto, come previsto dall’art.1385, primo comma cc, purché anteriore alla scadenza delle obbligazioni pattuite (Cass. n.5424 del 14.4.2002; Cass.3071 del 13.02.2006; Cass. n.17127 del 9.8.2011).
Tale possibilità non comporta tuttavia anche quella di escludere la natura reale del contratto e ad attribuire all’obbligazione della sua prestazione gli effetti che l’art.1385, 2 comma cc ricollega alla sua consegna, che nel caso di specie non è avvenuta. Con tale conclusione resta assorbito l’esame delle ulteriori censure contenute nel motivo.
2 – Con il 2 motivo la società denuncia la violazione degli artt.1655, 1453 e 1455 cc ‘nella parte in cui la corte ha ritenuto l’insussistenza dell’inadempimento e della sua gravità’. Assume che dagli elementi acquisiti risultava che la ALFA SRL non aveva né intenzione e né possibilità di adempiere al contratto di appalto e che erano pretestuosi i motivi da lei addotti per ritardare il pagamento della caparra, la quale peraltro era economicamente rilevante per la ricorrente, che doveva a sua volta, affrontare altri impegni economici con altre aziende per adempiere agli obblighi scaturenti dal contratto d’appalto stipulato con la controparte.
La doglianza non è fondata, non ravvisandosi i denunciati vizi.
Al riguardo la corte distrettuale ha puntualmente osservato che il recesso era stato fondato sul mancato versamento della caparra e non sul mancato pagamento del prezzo; che inoltre si era formato il giudicato sul rigetto implicito della domanda di risoluzione perché ‘era riscontrabile un mero ritardo nell’adempimento dell’obbligo di versamento dell’acconto e del correlato patto accessorio di caparra e che siffatto ritardo non era così grave da giustificare il venir meno dell’interesse al mantenimento del contratto avente ad oggetto una fornitura d’ingente valore (quasi un miliardo di lire).
3 – Con il 3 motivo si deduce la violazione dell’art.342 cpc, nonché il vizio di motivazione per non avere la corte specificato le ragioni per cui ha ritenuto l’esame della domanda di risoluzione precluso dalla formazione del giudicato e ciò nonostante detta domanda sia stata espressamente proposta in grado d’appello e siano state enunciate le ragioni poste a suo fondamento e non accolte in primo grado.
La doglianza non ha pregio ed è inammissibile perché non attiene alla ratio decidendi. La sentenza infatti non ha negato la riproposizione della domanda di risoluzione in grado d’appello, ma ha affermato che, essendosi implicitamente pronunciata su di essa il giudice di primo grado, non era sufficiente riproporre la domanda, ma doveva essere impugnato il rigetto della stessa.
Il rigetto di tale motivo comporta anche l’assorbimento del 4 motivo (la violazione e falsa applicazione dell’art.1385 cc nella parte in cui si ritenuta non ammissibile la domanda di risoluzione del contratto).
Il ricorso dev’essere dunque rigettato. Nulla per le spese non avendo l’intimata svolto difese.
PQM
la Corte rigetta il ricorso.
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