ISSN 2385-1376
Testo massima
La legge elettorale che ha determinato la ripartizione dei seggi delle ultime tre legislature è incostituzionale. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, affidando alle poche righe di un comunicato stampa l’anticipazione delle ragioni della propria decisione.
La decisione rischia di lasciare un incolmabile vuoto normativo in una disciplina costituzionalmente necessaria, che deve essere operante in ogni momento nella sua interezza.
Ecco il comunicato stampa:
“La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della legge n. 270/2005 che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.
La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali “bloccate”, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza.
Le motivazioni saranno rese note con la pubblicazione della sentenza, che avrà luogo nelle prossime settimane e dalla quale dipende la decorrenza dei relativi effetti giuridici.
Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali”.
In particolare può ritenersi che la Corte Costituzionale abbia sostanzialmente superato (e/o travolto) il precedente orientamento espresso con la sentenza n.12 del 24.01.2012, ove aveva ritenuto inammissibili i quesiti referendari per l’abrogazione (anche parziale) della legge n.270/2005, atteso che l’espunzione, totale o parziale, delle disposizioni della legge elettorale dall’ordinamento avrebbe determinato un incolmabile “vuoto normativo” in una materia costituzionalmente necessaria.
Nell’occasione, rigettando la tesi dei comitati promotori del referendum, sostenitori di un possibile effetto di “reviviscenza” o “riespansione” del previgente sistema elettorale, la Corte aveva affermato i seguenti principi di diritto:
“La tesi della reviviscenza di disposizioni a séguito di abrogazione referendaria non può essere accolta, perché si fonda su una visione «stratificata» dell’ordine giuridico, in cui le norme di ciascuno strato, pur quando abrogate, sarebbero da considerarsi quiescenti e sempre pronte a ridiventare vigenti. Ove fosse seguita tale tesi, l’abrogazione, non solo in questo caso, avrebbe come effetto il ritorno in vigore di disposizioni da tempo soppresse, con conseguenze imprevedibili per lo stesso legislatore, rappresentativo o referendario, e per le autorità chiamate a interpretare e applicare tali norme, con ricadute negative in termini di certezza del diritto; principio che è essenziale per il sistema delle fonti e che, in materia elettorale, è «di importanza fondamentale per il funzionamento dello Stato democratico» (sentenza n. 422 del 1995)”.
“Il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate [
] non opera in via generale e automatica e può essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate, e comunque diverse da quella dell’abrogazione referendaria in esame. Ne è un esempio l’ipotesi di annullamento di norma espressamente abrogatrice da parte del giudice costituzionale, che viene individuata come caso a sé non solo nella giurisprudenza di questa Corte (peraltro, in alcune pronunce, in termini di «dubbia ammissibilità»: sentenze n. 294 del 2011, n. 74 del 1996 e n. 310 del 1993; ordinanza n. 306 del 2000) e in quella ordinaria e amministrativa, ma anche in altri ordinamenti (come quello austriaco e spagnolo). Tale annullamento, del resto, ha «effetti diversi» rispetto alla abrogazione – legislativa o referendaria – il cui «campo […] è più ristretto, in confronto di quello della illegittimità costituzionale» (sentenza n. 1 del 1956)”.
E ancora, con particolare riguardo al quesito sulla abrogazione parziale della legge, l’inammissibilità derivava dalla difficile interpretazione della normativa risultante e “ciò non può ammettersi in una materia come quella delle fonti del diritto, regolata da leges strictae, in cui è assente, o comunque minimo, lo spazio per l’interposizione dell’interprete che trae dalla disposizione la norma”.
Con il verdetto oggi espresso, la Corte Costituzionale, ritenendo illegittimi il premio di maggioranza senza soglia e le liste bloccate, ne ha, di fatto, stralciato le relative norme dalla legge n.270/2005, producendo un effetto analogo a quello in precedenza ritenuto inammissibile.
Deve concludersi che, per effetto della attuale pronunzia e per i principi espressi con la pregressa sentenza n.12 del 24.01.2012, contrariamente ad un’opinione assai diffusa, giammai si potrà avere la reviviscenza delle norme previgenti con un ritorno automatico al Mattarellum.
Non resta che attendere la pubblicazione della sentenza, con le relative motivazioni, per comprendere a fondo le conseguenze della pronuncia in assenza di un intervento legislativo riformatore sul risultante sistema elettorale.
Testo del provvedimento
Di seguito si riporta il testo della precedente pronuncia della Consulta, in tema di inammissibilità dei quesiti referendari (sentenza n.13 del 24 gennaio 2012).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Svolgimento del processo
Nei giudizi di ammissibilità, ai sensi dell’articolo 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, delle richieste di referendum popolare per l’abrogazione totale della legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica) – giudizio iscritto al n. 156 del registro referendum – e per l’abrogazione della medesima legge limitatamente alle seguenti parti:
(OMISSIS)
Vista l’ordinanza del 2 dicembre 2011 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conformi a legge le richieste;
1. – Con ordinanza del 2 dicembre 2011, l’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 12 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), e successive modificazioni, ha dichiarato conformi alle disposizioni di legge due richieste di referendum popolare, entrambe promosse da ventinove cittadini italiani, su due distinti quesiti riguardanti la legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), pubblicati nella Gazzetta Ufficiale del 12 luglio 2011, serie generale, n. 160.
1.1. – Il primo quesito (reg. amm. ref. n. 156) è il seguente: «Volete voi che sia abrogata la legge 21 dicembre 2005, n. 270, Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, come modificata dal decreto-legge 8 marzo 2006, n. 75, convertito in legge 21 [recte: 20] marzo 2006, n. 121?».
Per tale richiesta sono state depositate dai presentatori 1.210.873 sottoscrizioni. Di queste, il Centro elettronico di documentazione della Corte di cassazione ha verificato 563.241, accertando la regolarità di 534.334. L’Ufficio centrale ha attribuito al quesito il n. 1 e il titolo «Elezioni Politiche – Abrogazione della legge 21 dicembre 2005, n. 270, contenente modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica».
1.2. – Il secondo quesito (reg. amm. ref. n. 157) è il seguente: «Volete voi che sia abrogata la legge 21 dicembre 2005, n. 270, Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, limitatamente alle seguenti parti:
art. 1, comma 1, limitatamente alle parole: “1. L’articolo 1 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, di seguito denominato «decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957», è sostituito dal seguente:”;
art. 1, comma 2, limitatamente alle parole: “2. L’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 è sostituito dal seguente:”;
art. 1, comma 3, limitatamente alle parole: “3. All’articolo 7, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «In caso di scioglimento anticipato della Camera dei deputati» sono sostituite dalle seguenti:”;
art. 1, comma 4, limitatamente alle parole: “4. All’articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 1, comma 5, limitatamente alle parole: “5. Dopo l’articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, è inserito il seguente:”;
art. 1, comma 6, limitatamente alle parole: “6. L’articolo 18-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 è sostituito dal seguente:”;
art. 1, comma 7, limitatamente alle parole: “7. All’articolo 19, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, il secondo periodo è sostituito dal seguente:”;
art. 1, comma 8, limitatamente alle parole: “8. L’articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 è sostituito dal seguente:”;
art. 1, comma 9, limitatamente alle parole: “9. Al decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, dopo la tabella A, sono inserite le tabelle A-bis e A-ter di cui all’allegato 1 alla presente legge.”;
art. 1, comma 10, limitatamente alle parole: “10. All’articolo 58 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 1, comma 11, limitatamente alle parole: “11. L’articolo 77 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 è sostituito dal seguente:”;
art. 1, comma 12, limitatamente alle parole: “12. L’articolo 83 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 è sostituito dal seguente:”;
art. 1, comma 13, limitatamente alle parole: “13. L’articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 è sostituito dal seguente:”;
art. 1, comma 14, limitatamente alle parole: “14. L’articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 è sostituito dal seguente:”;
art. 2;
art. 4, comma 1, limitatamente alle parole: “1. L’articolo 1 del testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica, di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, e successive modificazioni, di seguito denominato «decreto legislativo n. 533 del 1993», è sostituito dal seguente:”;
art. 4, comma 2, limitatamente alle parole: “2. L’articolo 8 del decreto legislativo n. 533 del 1993 è sostituito dal seguente:”;
art. 4, comma 3, limitatamente alle parole: “3. L’articolo 9 del decreto legislativo n. 533 del 1993 è sostituito dal seguente:”;
art. 4, comma 4, limitatamente alle parole: “4. All’articolo 11 del decreto legislativo n. 533 del 1993 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 4, comma 5: “5. Le tabelle A e B allegate al decreto legislativo n. 533 del 1993 sono sostituite dalle tabelle A e B di cui all’allegato 2 alla presente legge.”;
art. 4, comma 6, limitatamente alle parole: “6. L’articolo 14 del decreto legislativo n. 533 del 1993 è sostituito dal seguente:”;
art. 4, comma 7, limitatamente alle parole: “7. L’articolo 16 del decreto legislativo n. 533 del 1993 è sostituito dal seguente:”;
art. 4, comma 8, limitatamente alle parole: “8. L’articolo 17 del decreto legislativo n. 533 del 1993 è sostituito dal seguente:”;
art. 4, comma 9, limitatamente alle parole: “9. Dopo l’articolo 17 del decreto legislativo n. 533 del 1993 è inserito il seguente:”;
art. 4, comma 10, limitatamente alle parole: “10. L’articolo 19 del decreto legislativo n. 533 del 1993 è sostituito dal seguente:”;
art. 5, comma 1, limitatamente alle parole: “1. Il Titolo VII del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, è sostituito dal seguente:”;
art. 6, comma 1, limitatamente alle parole: “1. All’articolo 15, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «di cui all’articolo precedente» sono sostituite dalle seguenti:”;
art. 6, comma 2: “2. All’articolo 16, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «delle candidature e», ovunque ricorrono, sono soppresse.”;
art. 6, comma 3: “3. All’articolo 17, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «delle candidature nei collegi uninominali e» sono soppresse.”;
art. 6, comma 4: “4. L’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 è abrogato.”;
art. 6, comma 5, limitatamente alle parole: “5. All’articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 6: “6. All’articolo 21, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «delle candidature nei collegi uninominali e» e: «a ciascuna candidatura nei collegi uninominali e» sono soppresse.”;
art. 6, comma 7, limitatamente alle parole: “7. All’articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 8: “8. All’articolo 23, primo e secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 le parole: «dei candidati nei collegi uninominali e» sono soppresse.”;
art. 6, comma 9, limitatamente alle parole: “9. All’articolo 24, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 10, limitatamente alle parole: “10. All’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 11: “11. All’articolo 26, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 le parole: «di ogni candidato nel collegio uninominale e» sono soppresse.”;
art. 6, comma 12, limitatamente alle parole: “12. All’articolo 30, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 13: “13. All’articolo 40, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «dei candidati nei collegi uninominali e» sono soppresse.”;
art. 6, comma 14: “14. All’articolo 41, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «dei candidati nei collegi uninominali e» sono soppresse.”;
art. 6, comma 15, limitatamente alle parole: “15. All’articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 16, limitatamente alle parole: “16. All’articolo 45 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, l’ottavo comma è abrogato.”;
art. 6, comma 17, limitatamente alle parole: “17. All’articolo 48, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «e dei candidati nei collegi uninominali» e: «del collegio uninominale o» sono soppresse; le parole: «del collegio» sono sostituite dalle seguenti:”;
art. 6, comma 18: “18. All’articolo 53, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «e dei candidati» sono soppresse.”;
art. 6, comma 19: “19. All’articolo 59 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, il secondo periodo è soppresso.”;
art. 6, comma 20, limitatamente alle parole: “20. All’articolo 62 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «le schede» sono sostituite dalle seguenti:”;
art. 6, comma 21, limitatamente alle parole: “21. All’articolo 63, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «una scheda» sono sostituite dalle seguenti:”;
art. 6, comma 22, limitatamente alle parole: “22. All’articolo 64, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «le urne e le scatole» sono sostituite dalle seguenti:”;
art. 6, comma 23, limitatamente alle parole: “23. All’articolo 64-bis, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole «delle urne» sono sostituite dalle seguenti:”;
art. 6, comma 24, limitatamente alle parole: “24. All’articolo 67, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 25, limitatamente alle parole: “25. All’articolo 68 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 26, limitatamente alle parole: “26. All’articolo 71 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 27, limitatamente alle parole: “27. All’articolo 72 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 28, limitatamente alle parole: “28. All’articolo 73, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «del Collegio» sono sostituite dalle seguenti:”, e alle parole “e le parole: «dei candidati nel collegio uninominale e» sono soppresse.”;
art. 6, comma 29, limitatamente alle parole: “29. All’articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 30, limitatamente alle parole: “30. All’articolo 75 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 31, limitatamente alle parole: “31. All’articolo 79 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 6, comma 32, limitatamente alle parole: “32. All’articolo 81, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «dei candidati nei collegi uninominali e» sono soppresse.”;
art. 6, comma 33, limitatamente alle parole: “33. All’articolo 104, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «dei candidati nei collegi uninominali e» sono soppresse.”;
art. 6, comma 34, limitatamente alle parole: “34. All’articolo 112, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, le parole: «dei candidati nei collegi uninominali e» sono soppresse.”;
art. 6, comma 35, limitatamente alle parole: “35. Il decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 536, recante «Determinazione dei collegi uninominali della Camera dei deputati» è abrogato.”;
art. 8, comma 1, limitatamente alle parole: “1. All’articolo 2 del decreto legislativo n. 533 del 1993 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 8, comma 2: “2. Alla rubrica del Titolo II del decreto legislativo n. 533 del 1993 le parole: «circoscrizionali e» sono soppresse.”;
art. 8, comma 3: “3. L’articolo 6 del decreto legislativo n. 533 del 1993 è abrogato.”;
art. 8, comma 4, limitatamente alle parole: “4. La rubrica del Titolo III del decreto legislativo n. 533 del 1993 è sostituita dalla seguente:”;
art. 8, comma 5, limitatamente alle parole: “5. All’articolo 10 del decreto legislativo n. 533 del 1993 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 8, comma 6, limitatamente alle parole: “6. All’articolo 12 del decreto legislativo n. 533 del 1993 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 8, comma 7, limitatamente alle parole: “7. All’articolo 13 del decreto legislativo n. 533 del 1993 sono apportate le seguenti modificazioni:”;
art. 8, comma 8: “8. L’articolo 15 del decreto legislativo n. 533 del 1993 è abrogato”;
art. 8, comma 9: “9. L’articolo 16 del decreto legislativo n. 533 del 1993, come sostituito dall’articolo 4, comma 7, della presente legge, è incluso nel Titolo VI e il Titolo V è conseguentemente abrogato”;
art. 8, comma 10, limitatamente alle parole: “10. All’articolo 18 del decreto legislativo n. 533 del 1993, al comma 1 è premesso il seguente:”;
art. 8, comma 11: “11. Il decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 535, recante «Determinazione dei collegi uninominali del Senato della Repubblica» è abrogato”.
Per tale richiesta sono state depositate dai presentatori 1.184.447 sottoscrizioni. Di queste, il Centro elettronico di documentazione della Corte di cassazione ha verificato 563.241, accertando la regolarità di 531.081. L’Ufficio centrale ha attribuito al quesito il n. 2 e il titolo «Elezioni Politiche – Abrogazione delle norme specificamente indicate della legge 21 dicembre 2005, n. 270, contenente modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica».
2. – Il Presidente della Corte costituzionale, ricevuta comunicazione dell’ordinanza, ha fissato, per la conseguente deliberazione, la camera di consiglio dell’11 gennaio 2012, disponendo che ne fosse data comunicazione ai presentatori delle richieste di referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.
3. – I soggetti presentatori della richiesta di referendum, componenti del Comitato Referendario per i collegi uninominali – Co.Re.C.u., hanno depositato presso la cancelleria di questa Corte memorie di costituzione e illustrative in entrambi i giudizi, chiedendo che i quesiti siano dichiarati ammissibili. Nelle memorie sono evidenziate le «irrazionalità» e «la pluralità di motivi» di «illegittimità costituzionale» che caratterizzerebbero la legge n. 270 del 2005, in quanto essa «esclude i voti della Valle d’Aosta ai fini dell’attribuzione del premio di maggioranza», «prevede sbarramenti variabili in ragione della partecipazione o meno ad una coalizione», «aggira il principio del suffragio universale e diretto attraverso il meccanismo delle liste bloccate» e «ammette la possibilità di candidarsi in più circoscrizioni».
3.1. – Con riguardo al quesito n. 1, i soggetti presentatori hanno depositato una memoria illustrativa in data 30 dicembre 2011. La difesa del Comitato sostiene l’ammissibilità di tale quesito in quanto il fine intrinseco della richiesta – il recupero della legislazione elettorale della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica anteriore alle modifiche introdotte dalla legge n. 270 del 2005, della quale ultima si chiede l’abrogazione – sarebbe incorporato nella richiesta stessa in modo evidente e perché, in caso di approvazione della proposta, sopravvivrebbe una normativa di risulta idonea a garantire la continuità degli organi elettorali.
Ad avviso della difesa dei presentatori, proprio la struttura della legge n. 270 del 2005 consentirebbe di «dare una risposta affermativa al quesito indipendentemente dalla discussa problematica della reviviscenza», perché «con l’eliminazione delle modifiche, delle sostituzioni e delle stesse soppressioni di parole, che hanno determinato nei confronti della legislazione previgente al più fattispecie di abrogazioni implicite, si realizza l’espansione delle disposizioni sostituite o modificate, con il ritorno testuale alla formulazione anteriore alla legge n. 270 del 2005 degli originari testi unici». Secondo la difesa dei presentatori la possibilità che norme abrogate da disposizioni meramente abrogatrici possano tornare a rivivere è effetto che può discendere non solo da abrogazione legislativa, ma anche referendaria.
Infine, la difesa del Comitato sostiene che – laddove questa Corte non ritenga applicabili, qualora il referendum avesse esito favorevole all’abrogazione, le norme anteriori alla legge n. 270 del 2005 – debba sollevarsi questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, nella parte in cui, allorché il referendum abbia ad oggetto leggi costituzionalmente necessarie, rende inammissibile la richiesta referendaria, «poiché non prevede che il Capo dello Stato possa reiterare, sino all’intervento delle Camere, il differimento di 60 giorni dell’entrata in vigore del referendum stesso».
3.2. – In data 22 dicembre 2011 è stata depositata una memoria con riferimento al quesito n. 2. Ad avviso del Comitato promotore, la tecnica utilizzata da tale quesito – che mira all’abrogazione dei soli «alinea» che introducono la sostituzione delle disposizioni della disciplina previgente, e non dei «sottotesti» – intende operare la rimozione di quelle norme abrogatrici che hanno impedito, dal 2005 in poi, la vigenza della legislazione elettorale introdotta nel 1993, con la conseguenza che l’abrogazione delle norme abrogatrici (identificabili negli alinea delle singole disposizioni della legge n. 270 del 2005), privando di qualsivoglia funzione le norme materiali poste in essere dalla legge del 2005, «ne determina […] l’abrogazione tacita essendo venuta meno la norma strumentale che ne consentiva l’inserimento nel nostro ordinamento».
In data 4 gennaio 2012, i soggetti presentatori hanno depositato una memoria illustrativa, a sostegno dell’ammissibilità del quesito. La difesa del Comitato rileva che l’indicazione dei soli alinea come oggetto della richiesta referendaria favorirebbe l’incorporazione del fine intrinseco all’atto abrogativo nel quesito stesso, garantendone la chiarezza. Grazie alla sua particolare formulazione, il quesito avrebbe per oggetto esclusivamente norme abrogatrici e, più specificamente, derogatorie, sicché in caso di esito positivo della consultazione non si determinerebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate, ma una loro «riespansione». Tale effetto si produrrebbe non solo in ragione del carattere derogatorio delle disposizioni della legge n. 270 del 2005, ma anche a causa della loro «irrazionalità»: poiché il principio di ragionevolezza è ineliminabile nello Stato di diritto, ne conseguirebbe che «l’abrogazione delle norme derogatorie di tale principio, aventi un determinato oggetto e un dato contenuto […], implicherebbe l’automatica riespansione delle norme, aventi lo stesso oggetto ma un diverso (opposto) contenuto, da esse precedentemente derogate». Inoltre, i soggetti presentatori osservano che, anche laddove si trattasse di reviviscenza in senso stretto, nel caso in specie essa dovrebbe essere ammessa, in quanto rientrerebbe nelle ipotesi «nelle quali l’intento del legislatore o della richiesta referendaria sia quello […] nel quale l’abrogazione della norma abrogante sia strumentale alla reviviscenza ex nunc delle norme abrogate». Infine, la difesa del Comitato rileva che l’abrogazione delle norme strumentali, che conseguirebbe dall’esito positivo della consultazione relativa al secondo quesito, determinerebbe l’abrogazione implicita delle norme materiali della legge n. 270 del 2005, e che, di conseguenza, il quesito non difetterebbe di chiarezza, univocità e omogeneità.
4. – In data 30 dicembre 2011 ha depositato memorie per entrambi i quesiti l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici, deducendo l’ammissibilità delle richieste referendarie e chiedendo alla Corte, in via pregiudiziale, di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, terzo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352.
5. – Nella camera di consiglio dell’11 gennaio 2012 sono stati sentiti, per i soggetti presentatori, gli avvocati Federico Sorrentino e Nicolò Lipari con riguardo al primo quesito e gli avvocati Alessandro Pace e Vincenzo Palumbo con riguardo al secondo quesito. È stato altresì ammesso a illustrare gli scritti presentati l’avvocato Pietro Adami per l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici.
Motivi della decisione
1. – Le due richieste di referendum abrogativo, dichiarate conformi alle disposizioni di legge dall’Ufficio centrale per il referendum con ordinanza del 2 dicembre 2011, riguardano la disciplina elettorale dettata dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica). Poiché le due richieste concernono la stessa legge, perseguono identico fine e presentano identità di oggetto, è opportuno riunire i relativi giudizi di ammissibilità e deciderli con un’unica sentenza.
2. – In via preliminare e in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, debbono essere ritenuti ammissibili gli scritti presentati da soggetti diversi da quelli contemplati dall’art. 33 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), interessati alla decisione sull’ammissibilità del referendum (sentenze nn. 28 e 24 del 2011, nn. 16 e 15 del 2008 e nn. 49, 48, 47, 46 e 45 del 2005).
3. – Entrambi i quesiti hanno ad oggetto la legge n. 270 del 2005, che ha modificato il sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Tale legge, in particolare, è intervenuta su quattro distinti atti legislativi. Per quanto riguarda la Camera dei deputati, essa ha modificato il decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati) e ha abrogato il decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 536 (Determinazione dei collegi uninominali della Camera dei deputati). Per il Senato della Repubblica, la predetta legge n. 270 del 2005 ha modificato il decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica) e ha abrogato il decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 535 (Determinazione dei collegi uninominali del Senato della Repubblica). Le modifiche sono state effettuate mediante interventi di diversa natura: sostituzione di interi articoli, commi, singole frasi e/o parole; inserimento di nuovi articoli o commi e di nuove frasi e/o parole; abrogazione espressa di disposizioni e di interi atti legislativi (i citati decreti legislativi nn. 535 e 536 del 1993); soppressione di singole frasi e/o parole.
La legge n. 270 del 2005 ha così introdotto una nuova formula elettorale per la Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica, basata su un criterio proporzionale di riparto dei seggi tra liste bloccate, corretto da diverse soglie di sbarramento, con premio di maggioranza nazionale (per la Camera) e regionale (per il Senato) a favore della coalizione di liste o della lista più votata, indipendentemente dalla percentuale dei voti riportati. Tale formula ha sostituito quella prima in vigore, prevista nel 1993, fondata invece su un meccanismo di attribuzione dei seggi di tipo misto: per tre quarti, con criterio di tipo maggioritario, sulla base di collegi uninominali a turno unico; per il restante quarto, con criterio di tipo proporzionale.
La difesa del Comitato ha evidenziato quelli che ritiene siano i punti problematici e le «irrazionalità» che caratterizzerebbero la legge n. 270 del 2005: l’attribuzione dei premi di maggioranza senza la previsione di alcuna soglia minima di voti e/o di seggi; l’esclusione dei voti degli elettori della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e degli elettori della «circoscrizione Estero» nel computo della maggioranza ai fini del conseguimento del premio; il meccanismo delle cosiddette liste bloccate; la difformità dei criteri di assegnazione dei premi di maggioranza tra Camera dei deputati e Senato della Repubblica; la possibilità di presentarsi come candidato in più di una circoscrizione.
Come rilevato anche dalla difesa dei soggetti presentatori, non spetta a questa Corte – fuori di un giudizio di costituzionalità – esprimere valutazioni su tali aspetti (sentenze nn. 16 e 15 del 2008 e nn. 48, 47, 46 e 45 del 2005). Già nel 2008, nel decidere sull’ammissibilità di due richieste referendarie riguardanti disposizioni modificate e/o introdotte dalla legge n. 270 del 2005, è stato escluso – in conformità a una costante giurisprudenza – che in sede di controllo di ammissibilità dei referendum possano venire in rilievo profili di illegittimità costituzionale della legge oggetto della richiesta referendaria o della normativa di risulta (e ciò vale anche in caso di quesito riguardante una intera legge elettorale). D’altronde, già in quell’occasione, nell’«impossibilità di dare […] un giudizio anticipato di legittimità costituzionale», fu segnalata al Parlamento «l’esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici» della legislazione prevista nel 2005, con particolare riguardo all’attribuzione di un premio di maggioranza, sia alla Camera dei deputati che al Senato della Repubblica, senza che sia raggiunta una soglia minima di voti e/o di seggi (sentenze nn. 16 e 15 del 2008).
Eventuali questioni di legittimità costituzionale della legge n. 270 del 2005, a prescindere dalla valutazione sulla loro non manifesta infondatezza, non sono pregiudiziali alla definizione dei presenti giudizi, che hanno ad oggetto il controllo dell’ammissibilità delle due richieste referendarie. In questa sede, la Corte, nel rigoroso esercizio della propria funzione, deve accertare la conformità della richiesta ai requisiti fissati in materia dall’art. 75 Cost. e dalla propria giurisprudenza, potendosi spingere solo «sino a valutare un dato di assoluta oggettività, quale la permanenza di una legislazione elettorale applicabile, a garanzia della stessa sovranità popolare, che esige il rinnovo periodico degli organi rappresentativi», e le è quindi preclusa «ogni ulteriore considerazione» (sentenze nn. 16 e 15 del 2008; si veda anche la sentenza n. 25 del 2004).
4. – Le due richieste referendarie hanno lo stesso fine: l’abrogazione della legge n. 270 del 2005, allo scopo di restituire efficacia alla legislazione elettorale in precedenza vigente, introdotta nel 1993. Tale obiettivo – non espressamente indicato nei quesiti, in cui non vi è alcuna menzione della normativa che essi mirano a ripristinare – è perseguito con tecniche diverse: il primo quesito propone l’abrogazione totale della legge n. 270 del 2005; il secondo quesito propone, invece, l’abrogazione delle più significative disposizioni della medesima legge, così da configurare, sostanzialmente, un effetto abrogativo totale.
Le due richieste non soddisfano i requisiti costantemente individuati da questa Corte per i referendum in materia elettorale e sono, pertanto, inammissibili.
In primo luogo, le leggi elettorali, che possono essere oggetto di referendum abrogativi, rientrano nella categoria delle leggi ritenute dalla giurisprudenza della Corte come costituzionalmente necessarie, l’esistenza e la vigenza delle quali sono indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali e a rilevanza costituzionale della Repubblica (da ultimo, sentenze nn. 16 e 15 del 2008). L’ammissibilità di un referendum su norme contenute in una legge elettorale è pertanto assoggettata «alla duplice condizione che i quesiti» che dovrebbero essere sottoposti agli elettori «siano omogenei e riconducibili a una matrice razionalmente unitaria», e che «risulti una coerente normativa residua, immediatamente applicabile, in guisa da garantire, pur nell’eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività dell’organo» (sentenza n. 32 del 1993, nonché, da ultimo, sentenze nn. 16 e 15 del 2008).
In secondo luogo, i quesiti referendari in materia elettorale «non possono avere ad oggetto una legge elettorale nella sua interezza, ma devono necessariamente riguardare parti di essa, la cui ablazione lasci in vigore una normativa complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo», e debbono perciò essere «necessariamente parzial[i]» e mirati «ad espungere dal corpo della legislazione elettorale solo alcune disposizioni, tra loro collegate e non indispensabili per la perdurante operatività dell’intero sistema» (sentenze nn. 16 e 15 del 2008).
5. – Il quesito n. 1, dal titolo «Elezioni Politiche – Abrogazione della legge 21 dicembre 2005, n. 270, contenente modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica», è inammissibile perché riguarda una legge elettorale nella sua interezza e, ove il referendum avesse un esito positivo, determinerebbe la mancanza di una disciplina «operante» costituzionalmente necessaria.
5.1. – La richiesta mira all’abrogazione totale della legge n. 270 del 2005. Tale legge, come già evidenziato, ha introdotto, mediante una copiosa serie di modifiche normative, una nuova formula elettorale per la Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica. L’abrogazione totale della legge n. 270 del 2005 riguarderebbe l’attuale metodo di scelta dei componenti dei detti organi costituzionali nel suo complesso.
Di conseguenza, il referendum, ove avesse un esito favorevole all’abrogazione, produrrebbe l’assenza di una legge costituzionalmente necessaria, che deve essere operante e auto-applicabile, in ogni momento, nella sua interezza (sentenze nn. 16 e 15 del 2008). Gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale non possono essere esposti neppure temporaneamente alla eventualità di paralisi di funzionamento, «anche soltanto teorica» (sentenza n. 29 del 1987). Tale principio «postula necessariamente, per la sua effettiva attuazione, la costante operatività delle leggi elettorali relative a tali organi» (sentenza n. 5 del 1995). Ne discende che la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, terzo comma, della legge n. 352 del 1970, prospettata dalla difesa del Comitato, nella parte in cui prevede che il Presidente della Repubblica possa ritardare una sola volta l’entrata in vigore dell’abrogazione, non può superare l’esame preliminare di non manifesta infondatezza: l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale che consenta la reiterazione del differimento – oltre a rimettere alla mera volontà dei parlamentari in carica la determinazione del momento in cui si produrrebbe l’efficacia stessa del referendum, ove questo avesse un esito positivo – potrebbe comportare, in caso di inerzia del legislatore e di ripetute reiterazioni, una grave incertezza che esporrebbe organi costituzionali a una paralisi di funzionamento anche solo teorica e temporanea, ipotesi esclusa dalla costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenze nn. 16 e 15 del 2008). Viene perciò meno «uno dei presupposti perché la Corte possa accogliere la proposta istanza di autorimessione della relativa questione di costituzionalità» (sentenza n. 304 del 2007).
Una condizione perché un referendum elettorale sia ammissibile è «la cosiddetta auto-applicatività della normativa di risulta, onde consentire in qualsiasi momento il rinnovo delle assemblee rappresentative» (sentenze nn. 16 e 15 del 2008 e n. 13 del 1999). Il quesito n. 1, proponendo l’abrogazione totale della legge n. 270 del 2005, non soddisfa questa condizione.
5.2. – Non può quindi affermarsi, come sostengono i soggetti presentatori, che, laddove l’esito del referendum fosse favorevole all’abrogazione, sarebbe automaticamente restituita in vigore la precedente legislazione elettorale. L’abrogazione referendaria, in tal modo, produrrebbe la reviviscenza degli atti legislativi modificati e abrogati dalla legge n. 270 del 2005, nella versione precedente all’approvazione di quest’ultima: il decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, nel testo previgente alla legge n. 270 del 2005, e il decreto legislativo n. 536 del 1993, per la Camera dei deputati; i decreti legislativi n. 533 – nel testo anteriore alla legge n. 270 del 2005 – e n. 535 del 1993, per il Senato della Repubblica.
La tesi della reviviscenza di disposizioni a séguito di abrogazione referendaria non può essere accolta, perché si fonda su una visione «stratificata» dell’ordine giuridico, in cui le norme di ciascuno strato, pur quando abrogate, sarebbero da considerarsi quiescenti e sempre pronte a ridiventare vigenti. Ove fosse seguìta tale tesi, l’abrogazione, non solo in questo caso, avrebbe come effetto il ritorno in vigore di disposizioni da tempo soppresse, con conseguenze imprevedibili per lo stesso legislatore, rappresentativo o referendario, e per le autorità chiamate a interpretare e applicare tali norme, con ricadute negative in termini di certezza del diritto; principio che è essenziale per il sistema delle fonti e che, in materia elettorale, è «di importanza fondamentale per il funzionamento dello Stato democratico» (sentenza n. 422 del 1995).
È vero che i referendum elettorali sono «intrinsecamente e inevitabilmente “manipolativi”, nel senso che, sottraendo ad una disciplina complessa e interrelata singole disposizioni o gruppi di esse, determinano, come effetto naturale e spontaneo, la ricomposizione del tessuto normativo rimanente, in modo da rendere la regolamentazione elettorale successiva all’abrogazione referendaria diversa da quella prima esistente» (sentenze nn. 16 e 15 del 2008). Nel caso in esame, però, ove l’esito del referendum fosse favorevole all’abrogazione, non si avrebbe alcuna «ricomposizione» della normativa di risulta, perché la lacuna legislativa dovrebbe essere colmata mediante il ricorso a una disciplina né compresente né co-vigente con quella oggetto del referendum: l’abrogazione referendaria non avrebbe l’effetto – che il quesito n. 1 presuppone – di ripristinare automaticamente una legislazione non più in vigore, che ha già definitivamente esaurito i propri effetti.
5.3. – Anche recentemente questa Corte ha affermato che «l’abrogazione, a séguito dell’eventuale accoglimento della proposta referendaria, di una disposizione abrogativa è […] inidonea a rendere nuovamente operanti norme che, in virtù di quest’ultima, sono state già espunte dall’ordinamento» (sentenza n. 28 del 2011), precisando che all’abrogazione referendaria «non conseguirebbe alcuna reviviscenza delle norme abrogate» dalla legge oggetto di referendum, «reviviscenza […] costantemente esclusa in simili ipotesi» dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 24 del 2011, n. 31 del 2000 e n. 40 del 1997). Inoltre, l’ipotesi della reviviscenza di norme a séguito di abrogazione referendaria è stata negata da questa Corte con specifico riguardo alla materia elettorale: quando essa ha stabilito che una richiesta di referendum avente per oggetto una legislazione elettorale nel suo complesso non può essere ammessa, perché l’esito favorevole del referendum produrrebbe l’assenza di una legge costituzionalmente necessaria, ha implicitamente escluso che, per effetto dell’abrogazione referendaria, possa «rivivere» la legislazione elettorale precedentemente in vigore (da ultimo, sentenze nn. 16 e 15 del 2008).
Il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate, dunque, non opera in via generale e automatica e può essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate, e comunque diverse da quella dell’abrogazione referendaria in esame. Ne è un esempio l’ipotesi di annullamento di norma espressamente abrogatrice da parte del giudice costituzionale, che viene individuata come caso a sé non solo nella giurisprudenza di questa Corte (peraltro, in alcune pronunce, in termini di «dubbia ammissibilità»: sentenze n. 294 del 2011, n. 74 del 1996 e n. 310 del 1993; ordinanza n. 306 del 2000) e in quella ordinaria e amministrativa, ma anche in altri ordinamenti (come quello austriaco e spagnolo). Tale annullamento, del resto, ha «effetti diversi» rispetto alla abrogazione – legislativa o referendaria – il cui «campo […] è più ristretto, in confronto di quello della illegittimità costituzionale» (sentenza n. 1 del 1956).
Né l’ipotesi di reviviscenza presupposta dalla richiesta referendaria in esame è riconducibile a quella del ripristino di norme a séguito di abrogazione disposta dal legislatore rappresentativo, il quale può assumere per relationem il contenuto normativo della legge precedentemente abrogata. Ciò può verificarsi nel caso di norme dirette a espungere disposizioni meramente abrogatrici, perché l’unica finalità di tali norme consisterebbe nel rimuovere il precedente effetto abrogativo: ipotesi differente da quella in esame, in quanto la legge n. 270 del 2005 non è di sola abrogazione della previgente legislazione elettorale, ma ha introdotto una nuova e diversa normativa in materia. Peraltro, sia la giurisprudenza della Corte di cassazione e del Consiglio di Stato, sia la scienza giuridica ammettono il ripristino di norme abrogate per via legislativa solo come fatto eccezionale e quando ciò sia disposto in modo espresso. Per questo le «Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi» della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica stabiliscono che «se si intende far rivivere una disposizione abrogata o modificata occorre specificare espressamente tale intento» (punto 15, lettera d, delle circolari del Presidente della Camera dei deputati e del Presidente del Senato della Repubblica, entrambe del 20 aprile 2001; analoga disposizione è prevista dalla «Guida alla redazione dei testi normativi» della Presidenza del Consiglio dei ministri, circolare 2 maggio 2001, n. 1/1.1.26/10888/9.92). E anche in altri ordinamenti (quali ad esempio quello britannico, francese, spagnolo, statunitense e tedesco) il ripristino di norme a sèguito di abrogazione legislativa non è di regola ammesso, salvo che sia dettata una espressa previsione in tal senso: ciò in quanto l’abrogazione non si limita a sospendere gli effetti di una legge, ma toglie alla stessa efficacia sine die.
Né, infine, nel caso in esame si verificherebbe, ove il referendum avesse un esito favorevole all’abrogazione, la cosiddetta riespansione, che si ha, ad esempio, nel rapporto tra due discipline delle quali una generale, l’altra speciale, per cui la disciplina generale produce i propri effetti sulle fattispecie in precedenza regolate dalla disciplina speciale abrogata. La legge n. 270 del 2005 ha introdotto una nuova legislazione elettorale, alternativa a quella previgente e, rispetto a quest’ultima, né derogatoria né legata da un rapporto di specialità.
5.4. – La volontà di far «rivivere» norme precedentemente abrogate, d’altra parte, non può essere attribuita, nemmeno in via presuntiva, al referendum, che ha carattere esclusivamente abrogativo, quale «atto libero e sovrano di legiferazione popolare negativa» (sentenza n. 29 del 1987), e non può «direttamente costruire» una (nuova o vecchia) normativa (sentenze nn. 34 e 33 del 2000). La finalità incorporata in una richiesta referendaria non può quindi andare oltre il limite dei possibili effetti dell’atto. Se così non fosse, le disposizioni precedentemente abrogate dalla legge oggetto di abrogazione referendaria rivivrebbero per effetto di una volontà manifestata presuntivamente dal corpo elettorale. In tal modo, però, il referendum, perdendo la propria natura abrogativa, diventerebbe approvativo di nuovi principi e «surrettiziamente propositivo» (sentenze n. 28 del 2011, n. 23 del 2000 e n. 13 del 1999): un’ipotesi non ammessa dalla Costituzione, perché il referendum non può «introdurre una nuova statuizione, non ricavabile ex se dall’ordinamento» (sentenza n. 36 del 1997).
Il quesito n. 1, per l’effetto che intende produrre, ha natura deliberativa: esso non mira alla mera demolizione di una disciplina, ma alla sostituzione di una legislazione elettorale con un’altra. La richiesta referendaria è diretta a introdurre – senza peraltro indicarlo in modo esplicito – un dato sistema elettorale, tra i tanti possibili, per di più complesso e frutto di ibridazione tra sistemi diversi. Il quesito non consente quindi agli elettori la scelta tra la sopravvivenza di una disciplina e la sua eliminazione e cela diverse intenzionalità, ciò che mette in discussione la chiarezza del quesito. Le norme elettorali di organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, del resto, possono «essere abrogate nel loro insieme esclusivamente con una nuova disciplina, compito che solo il legislatore rappresentativo è in grado di assolvere. Il referendum popolare abrogativo si palesa nella specie strumento insufficiente, in quanto idoneo a produrre un mero effetto abrogativo sine ratione» (sentenza n. 29 del 1987).
5.5. – Né infine può essere condivisa la tesi per cui, in materia elettorale, la reviviscenza della legislazione precedente, a séguito di abrogazione referendaria, sarebbe imposta proprio dalla circostanza che la legge elettorale sia costituzionalmente necessaria. Questo ragionamento tramuta un limite dell’ammissibilità della richiesta referendaria in un fondamento della sua stessa ammissibilità: in caso di abrogazione di una legge elettorale abrogatrice di una legge precedente, non rivive la legge prima in vigore in quanto è costituzionalmente necessaria; è invece costituzionalmente necessaria la legge elettorale più recente che, quindi, non può essere espunta dall’ordinamento tramite referendum.
Né è possibile, al riguardo, postulare la vigenza di un principio di continuità delle leggi elettorali, tale da garantire in ogni momento l’esistenza di un sistema elettorale funzionante mediante l’implicita ultrattività della legge abrogata fino alla piena operatività di quella nuova. Dal principio della continuità funzionale degli organi costituzionali, posto alla base di istituti come la proroga e la supplenza, non può farsi conseguire «l’ultrattività della normativa elettorale degli organi costituzionali, in deroga ai principi che regolano la successione delle leggi nel tempo; […] “ciò non può non valere anche in ordine ai rapporti tra abrogazione referendaria e normativa sottoposta a referendum”» (sentenze n. 26 del 1997 e n. 5 del 1995).
5.6. – Escluso, dunque, che l’abrogazione proposta possa produrre effetti di ripristino o di riespansione della legislazione elettorale previgente, si può concludere che il quesito n. 1 è inammissibile, perché, ove avesse un esito positivo, determinerebbe l’eliminazione di una disciplina costituzionalmente necessaria, che deve essere operante e auto-applicabile, in ogni momento, nella sua interezza.
6. – Il quesito n. 2, dal titolo «Elezioni Politiche – Abrogazione delle norme specificamente indicate della legge 21 dicembre 2005, n. 270, contenente modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica», è inammissibile, oltre che per le medesime ragioni esposte con riferimento al quesito n. 1, per contraddittorietà e per assenza di chiarezza.
Anche questa richiesta concerne l’attuale formula elettorale, pur non riguardando tutta la legge n. 270 del 2005, ma singole disposizioni di essa. Il quesito propone l’abrogazione dell’art. 2 della legge n. 270 del 2005 e di 71 alinea – cioè le frasi iniziali di ognuno dei commi oggetto della richiesta, che dispongono l’abrogazione o la sostituzione delle norme elettorali prima in vigore – contenuti negli artt. 1, 4, 5, 6 e 8 della medesima legge.
Negli alinea sono presenti quattro diverse formule: «è sostituita» o «sono sostituite»; «sono apportate le seguenti modificazioni»; «sono soppresse»; «è abrogata». Tutte queste espressioni hanno efficacia abrogatrice, ma in alcuni casi esse provvedono anche a sostituzioni e modificazioni.
Sono oggetto del quesito solo gli enunciati che ordinano la sostituzione, e non i «sottotesti», vale a dire le disposizioni che sono poste in luogo delle norme abrogate. La richiesta riguarda perciò solo le norme che prevedono o ordinano la sostituzione delle precedenti disposizioni, non quelle che a queste ultime si sostituiscono. Un referendum comporta però, in caso di esito positivo, l’abrogazione di disposizioni, non di norme: esso produce la cessazione non dell’efficacia della norma pro futuro, ma della vigenza della disposizione. In questo caso, l’eventuale abrogazione delle disposizioni che contengono gli «ordini di sostituzione» non implica anche l’abrogazione delle norme che sostituiscono o modificano quelle abrogate, mentre la volontà del legislatore si è espressa non solo con le prime (ossia gli alinea), ma anche – e principalmente – con le seconde (ossia i «sottotesti»); non a caso è su queste ultime che si è svolto il dibattito parlamentare. Il quesito n. 2, quindi, non è idoneo a realizzare l’effetto cui vorrebbe giungere perché, contraddittoriamente, non determinerebbe l’abrogazione proprio delle norme sostitutive della precedente legislazione elettorale.
I «sottotesti», non espunti dall’ordinamento, in molti casi avrebbero essi stessi – per il proprio contenuto oggettivo, incompatibile con le norme precedenti – efficacia abrogativa, mentre, nei rimanenti casi, sarebbero di difficile interpretazione, potendo così produrre effetti inconciliabili con l’intento referendario. Ne discende l’assenza di chiarezza del quesito non solo perché non è evidente quali norme gli elettori siano in concreto chiamati ad abrogare con il referendum, ma anche perché l’effetto abrogativo prodotto dalla eliminazione degli alinea è di difficile interpretazione. Ciò non può ammettersi in una materia come quella delle fonti del diritto, regolata da leges strictae, in cui è assente, o comunque minimo, lo spazio per l’interposizione dell’interprete che trae dalla disposizione la norma. Inoltre, i dubbi interpretativi circa l’applicabilità delle norme contenute nei «sottotesti» esporrebbero gli organi costituzionali della Repubblica alla eventualità, anche soltanto teorica, di paralisi di funzionamento. E, quand’anche si ritenesse che sia gli alinea sia i «sottotesti» siano oggetto di abrogazione referendaria, il quesito presupporrebbe la reviviscenza della legislazione elettorale precedente alla legge n. 270 del 2005 e sarebbe perciò inammissibile per le stesse ragioni precisate con riguardo al primo quesito.
In conclusione, la seconda richiesta di referendum popolare è inammissibile per contraddittorietà e per assenza di chiarezza, oltre che per le medesime ragioni di inammissibilità esposte con riferimento al quesito n. 1.
PQM
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibili le richieste di referendum popolare per l’abrogazione, nei termini indicati in epigrafe, della legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), richieste dichiarate legittime con ordinanza del 2 dicembre 2011 dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2012.
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