dell’Avv. Arturo Iannelli, del Foro di Roma
SOMMARIO: – 1. Premessa; – 2. I precedenti giurisprudenziali di legittimità e il loro fraintendimento; – 3. L’improprio rinvio alla “sana e prudente gestione”; – 4. I finanziamenti con garanzia pubblica; – 5. Conclusioni
1.Premessa
Il contenzioso bancario è connotato da elevatissimo “tecnicismo” ed è reso ancor più complesso da un non perfetto equilibrio processuale, messo in dubbio dalla sempre maggior tendenza del Giudici a porre rimedio, nel processo, ad un presunto squilibrio contrattuale fra il cliente (considerato, a prescindere, “parte debole”) e la Banca (altrettanto a prescindere ritenuta “parte dominante”).
E così, a volte, gli Istituti si trovano a subire “il danno e la beffa” soprattutto quando – rispondendo a molteplici critiche di ogni strato sociale che imputano loro l’eccessiva rigidità nella concessione del credito – si trovino ad averlo concesso ad imprese che, dopo qualche tempo, si siano dimostrate insolventi o, peggio, siano incorse nel fallimento e, ora, nella procedura di liquidazione giudiziale.
Ancor più problematica diviene la questione quando la linea di credito sia stata assistita dalla garanzia statale del Fondo PMI, gestito da MCC.
Non è raro, in questi casi, che la banca si esponga ad una (spesso generica) contestazione di nullità dei contratti di finanziamento da parte degli organi delle procedure, secondo i quali detti contratti sarebbero nulli in quanto non preceduti da idonea istruttoria e valutazione del merito creditizio e, dunque, idonei ad aggravare il dissesto del finanziato.
Ancor più gravi le contestazioni quando l’esposizione sia garantita dal Fondo MCC, caso nel quale non è raro che qualche Curatore si spinga ben oltre l’eccezione di nullità, andando a contestare l’illecita finalità dell’operazione, volta ad acquisire indebitamente sovvenzioni statali, ipotizzando – quindi – la realizzazione del reato previsto e punito dall’art. 316 ter c.p.
Tanto più frequenti tali questioni, dopo che la legislazione emergenziale risalente all’epoca della pandemia Covid-19 (D.L. 17 marzo 2020, n. 18 – C.D. “Cura Italia”) ha aumentato la platea dei beneficiari dei finanziamenti garantiti dal Fondo statale, assicurando gli aiuti economici anche ad imprese in stato di difficoltà ed agli Istituti il “paracadute” del Fondo di garanzia MCC.
Ma come spesso accade nel nostro Paese, passata l’emergenza ci si è trovati di fronte alla solita realtà, fatta di piccole furberie, di distinguo, di ripensamenti che – ovviamente – sono destinati ad impattare sui bilanci degli Istituti di credito, percepiti come entità che operano contro il sistema delle imprese e non dentro tale sistema.
Con l’aggravante che, in questi casi, la posta in gioco non è solo il credito insoddisfatto ma anche la responsabilità – penale e civile – che si riverbera sugli Istituti di credito, accusati di aver concesso abusivamente il credito, al solo fine di incassare indebitamente gli aiuti di Stato[1][2][3].
In questi casi, peraltro, non sempre gli organi delle procedure traggono da tali posizioni le dovute conseguenze che imporrebbero loro, in quanto pubblici ufficiali, il dovere di trasmettere gli atti al Procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 361 c.p.
Tale tipo di contestazione, dunque, viene esercitata con eccessiva disinvoltura e costituisce più un “escamotage” per acquisire alla procedura liquidità, venuta meno la possibilità di farlo con le azioni revocatorie delle rimesse in conto corrente bancario, drasticamente limitate dal terzo comma dell’art. 67 L.F. e dal terzo comma dell’art. 70 L.F., oggi trasfuse in misura pressoché invariata nell’art. 166, comma e, del CCII.
- I precedenti giurisprudenziali di legittimità e il loro fraintendimento
Il filone giurisprudenziale di cui si discute, ha avuto origine da una pronuncia della Cassazione 2020[4], successivamente richiamata da numerose Sentenze di merito[5] e raggiunta, poco dopo, da Cassazione 31 maggio 2022 n. 17568, in materia di nullità virtuale per violazione di norme penali.
Il ragionamento posto alla base di tali precedenti si fonda sulla considerazione che il finanziamento all’impresa in crisi o in dissesto debba ritenersi illecito se dall’esame del contesto in cui è avvenuta la negoziazione, dall’innesto dell’operazione in una vicenda di aggravamento del dissesto dell’impresa finanziata e dalle carenze di valutazione del merito creditizio, si possa dedurre che la Banca finanziante abbia concorso ad arrecare o ad aggravare quel dissesto che la legge si propone di evitare, anche obbligando l’imprenditore a farlo emergere “senza indugio”[6].
Per cui, secondo i giudici di merito, la Banca che vìoli gli obblighi di “sana e prudente gestione” previsti dall’art. 5 TUB, si renderebbe responsabile di aver concorso all’illegalità, ponendo in essere un negozio contrario all’ordine pubblico ed al buon costume, inteso come contrarietà “con i principi e le esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico”.
Va chiarito, però, che lo spirito dei precedenti di legittimità indicati, è stato frainteso dai Giudici di merito, forse anche a causa di una non perfetta massimazione della sentenza.
Invero dette pronunce non affermano affatto l’illegittimità “tout court” del finanziamento alle imprese in crisi[7] che, anzi, riconoscono come legittimo[8], ma tendono a sanzionare quelle operazioni che, per le circostanze dalle quali ha tratto origine il contratto di finanziamento, dimostrano nel finanziatore un animo di natura predatoria a carico del finanziato e del suo patrimonio.
Solo in questo caso il credito non sarebbe opponibile alla procedura né sarebbe riconosciuto al finanziatore il diritto ad esperire eventuale azione di ripetizione, per effetto del limite posto dall’art. 2035 c.c.
In tal senso si è espresso, interpretando correttamente i precedenti di legittimità, il Tribunale di Modena con la Sentenza 4 giugno 2024 n. 1018.
Secondo il Tribunale emiliano non è seriamente “sostenibile, come allegato in citazione, che alla asserita condotta illecita della banca finanziatrice di c.d. “concessione abusiva del credito” consegua, per ciò solo, la nullità del contratto di finanziamento e correlate fideiussioni”.
Sempre nelle motivazioni del Tribunale, la concessione del credito – ammesso che fosse “abusiva”, nel senso di “imprudente” – non assurgerebbe a causa di nullità sotto il versante genetico (causale) del contratto di finanziamento e correlate fideiussioni, ma, al più, potrebbe assumere rilievo sotto il profilo risarcitorio, laddove risultino provati gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano ascritto alla banca.
Molto importante il passaggio in cui, secondo il Giudice, “legittimati attivi a far valere la suddetta condotta illecita a fini risarcitori (nei confronti della banca autrice dell’illecito, in concorso con gli amministratori) sono solo i creditori della società finanziata che si assumono danneggiati nonché, una volta apertasi la procedura concorsuale, il Curatore a nome della massa dei creditori (cfr. Cass.n. 18610 del 30/06/2021), non già i fideiussori della società finanziata (soci ed anche amministratori nella specie)”.
L’improprio rinvio alla “sana e prudente gestione”
Si è detto dell’improprio rinvio fatto dai Giudici di merito alla citata Giurisprudenza di legittimità, che non ha mai affermato una nullità dei contratti di credito per concorso nell’aggravamento del dissesto.
Ancor più improprio il presupposto che viene posto a fondamento della nullità, costituito – per lo più – da un presunto vizio di istruttoria che viene contestato facendo riferimento ad una verifica ex post di un preesistente merito creditizio, operazione doppiamente scorretta.
Del pari è stato impropriamente richiamato il dovere di “sana e prudente gestione” previsto dall’art. 5 TUB e la sua eventuale violazione.
E infatti, la regola introdotta dal legislatore all’art. 5 TUB non mira a sanzionare l’intermediario che non osservi le regole di “sana e prudente gestione”, tantomeno prevede la nullità dei contratti di credito stipulati in violazione di quel dovere.
Al contrario, mira proprio a proteggere gli intermediari dall’assunzione di rischi eccessivi, protezione che – per effetto dell’erronea interpretazione data al principio dalla Giurisprudenza di merito – viene vanificata dalla declaratoria di nullità dei finanziamenti e dall’irripetibilità delle erogazioni.
Del resto, che la norma vada interpretata come protettiva dell’interesse della Banca (e, dunque, dell’intero sistema delle imprese) si può ricavare, per analogia, esaminando l’evoluzione interpretativa sul limite di finanziabilità ex art. 38 TUB ed i principi di diritto resi, in materia, da SS.UU. 16 novembre 2022 n. 33719.
Anche in questo caso parte della Giurisprudenza si era spinta in un’interpretazione contraria allo spirito della norma, teorizzando la nullità del finanziamento fondiario laddove non risultasse rispettato il limite dell’80% previsto dalla norma[9].
Ciò ha costretto l’intervento delle Sezioni Unite le quali, con la Sentenza 16 novembre 2022 n. 33719 hanno affermato che il limite previsto dall’art. 38 TUB “non costituisce un elemento essenziale del contenuto del contratto, non essendo la predetta norma determinativa del contenuto medesimo, né posta a presidio della validità del negozio, bensì un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto contrattuale, fissato dall’Autorità di vigilanza sul sistema bancario nell’ambito della c.d. “vigilanza prudenziale”, in forza di una norma di natura non imperativa, la cui violazione è, dunque, insuscettibile di determinare la nullità del contratto (nella specie, del mutuo ormai erogato cui dovrebbe conseguire anche il venir meno della connessa garanzia ipotecaria), che potrebbe condurre al pregiudizio proprio di quell’interesse alla stabilità patrimoniale della banca e al contenimento dei rischi nella concessione del credito che la disposizione mira a proteggere”.
Sicché, mutatis mutandis, anche nel in esame, sostenere la nullità dei contratti stipulati con imprese in crisi o l’irripetibilità delle erogazioni determinerebbe il raggiungimento di uno scopo esattamente quello opposto a quello voluto dal legislatore che è quello di garantire la stabilità patrimoniale della banca, contenere i rischi nella concessione del credito.
Né, dal punto di vista squisitamente tecnico, è possibile seriamente affermare che un finanziamento ricevuto dalla banca possa essere idoneo ad aggravare o possa contribuire ad aggravare lo stato di dissesto dell’impresa finanziata.
E, invero, anche se viene concessa nuova finanza all’impresa in crisi, il patrimonio rimane invariato, perché l’operazione comporta l’apertura a bilancio di una posta attiva ed una corrispondente posta passiva.
Ove considerassimo non l’erogazione di nuova finanza ma il mero rinnovo o il mantenimento in vita un affidamento preesistente, sarebbe ancora più evidente la neutralità dell’operazione, essendo in presenza non di concessione di nuove linee creditizie ma solo della permanenza di quelle già in essere.
Ancora, tecnicamente, irrilevante sarebbe un mero riscadenzamento di posizioni debitorie pregresse che non inciderebbe in alcun modo sul patrimonio dell’impresa finanziata.
Conseguentemente, la stipula di un finanziamento non ha (e non può avere) nulla a che vedere con l’aggravamento del dissesto del finanziato perché l’aggravamento dipende, semmai, dal concreto uso che di quel finanziamento ne faccia il finanziato.
Così come, solo al finanziato sarà imputabile una erronea prospettazione delle proprie condizioni economiche e patrimoniali finalizzate ad ottenere, indebitamente, nuova finanza o un rinnovo o mantenimento delle precedenti linee di credito.
- I finanziamenti con garanzia pubblica
Giungiamo, così, al cuore del problema: le implicazioni della declaratoria di nullità dei finanziamenti con garanzia pubblica, tanto nel regime ordinario (L. 662/1996) che emergenziale (D.L. 23/2020).
La questione, dal punto di vista giuridico, non si discosta da quanto affermato, in generale, per i finanziamenti “tout court”.
Ciò che può mutare è la responsabilità dei soggetti nonché la validità della garanzia nei confronti della Banca finanziatrice.
Come noto, secondo i Decreti Ministeriali 248/1999, 20.6.2005 e 23.9.2005 la garanzia del Fondo può essere concessa alle PMI “economicamente e finanziariamente sane” ossia quelle “di cui venga accertata, sulla base della consistenza patrimoniale e finanziaria, la possibilità di far fronte agli impegni finanziari derivanti dalle operazioni per le quali è richiesto l’intervento del fondo”.
In deroga a quanto previsto nei DM indicati, con il D.L. 23/2020 il legislatore ha espressamente previsto il finanziamento di clienti anche con preesistenti esposizioni classificate in “inadempimento probabile”.
In tali situazioni, premessa la teorica inconfigurabilità della nullità contrattuale, possono verificarsi alcune distorsioni, sinteticamente riconducibili a due tipologie, tutte attinenti alla procedura di istruttoria:
- L’iter per il rilascio della garanzia viene alterato dal beneficiario il quale, per avere accesso al finanziamento ed alla garanzia, induce in errore la Banca (es. con la produzione di un bilancio artefatto o di una situazione economico patrimoniale non veritiera o, ancora, con la produzione di documentazione idonea ad ingenerare nella Banca una falsa rappresentazione della consistenza patrimoniale e finanziaria dell’impresa);
- La banca finanziatrice, benché abbia ricevuto una documentazione genuina e veritiera, non ha eseguito la valutazione del merito creditizio o l’ha eseguita in maniera non corretta, al fine di poter beneficiare della garanzia pubblica, soprattutto quando ciò avvenga per consolidare preesistenti esposizioni debitorie di difficile recuperabilità, senza l’intervento della garanzia pubblica.
Nel primo caso, la responsabilità (anche penale) sarebbe, evidentemente, del solo finanziato mentre, nel secondo caso – e per i motivi già esaminati nei paragrafi precedenti – ne dovrebbe discendere la caducazione della sola garanzia, ferma restando la validità del finanziamento ed il conseguente obbligo restitutorio del finanziato.
In tal senso deporrebbe, peraltro, la specifica disciplina delle Disposizioni operative del Fondo di Garanzia (punto G.1, lett. k)[10] che si limita a prevedere l’inefficacia della garanzia, nulla disponendo sulla sorte del finanziamento.
Ma la conseguenza di tale conclusione è che – se il finanziamento resta valido – la Curatela non potrà eccepire alcunché alla Banca, restando l’eccezione di inefficacia della garanzia statale non solo estranea al rapporto creditorio fra finanziato e finanziatrice ma anche riservata alla legittimazione del Fondo.
Semmai si porrà porre in dubbio, rispetto alla massa, l’effetto della surroga del Fondo e l’acquisto da parte dello stesso del privilegio generale come disposto dall’art. 8-bis, del Decreto-legge del 24/01/2015 comma 3, convertito con modificazioni nella Legge 24/3/2015, n. 33, già previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 1 e 9 del D.lgs. 123/1998.
- Conclusioni
La contestazione del credito del ceto bancario per asserita “contrarietà a norme imperative”, per illiceità della causa o del motivo (art. 1418 c.c.) è esercitata, sovente, con troppa superficialità e senza un reale fondamento sulla Giurisprudenza di legittimità.
La Curatela (e lo stesso Giudice delegato) devono osservare grande cautela nella falcidia del credito bancario attribuita a tale ipotetica motivazione, esercitando le loro funzioni quali pubblici ufficiali e, dunque, quali soggetti obbligati, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., alla denuncia nel caso in cui nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, abbiano notizia di un reato perseguibile di ufficio.
D’altro canto, secondo Cassazione penale, sez. VI, 19/02/2020, n. 12076 per configurare la calunnia “non è necessaria per la configurabilità del reato una denuncia in senso formale, essendo sufficiente che taluno, rivolgendosi in qualsiasi forma a soggetto obbligato a riferire all’autorità giudiziaria, esponga fatti concretanti gli estremi di un reato e li addebiti a persona di cui conosce l’innocenza”.
Sicché per esimere gli organi della procedura da responsabilità personali è necessario che tali eccezioni siano formulate non attenzione, prudenza e solo dopo che la procedura abbia acquisito la ragionevole convinzione dell’illiceità del comportamento altrui, solo in tal modo potendo esimersi da responsabilità per calunnia (Cassazione penale, sez. VI, 18/02/2020, n. 12209).
[1] Art. 316 ter c.p. “Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 640 bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poteri. La pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni se il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto sono superiori a euro 100.000(.
Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito”.
[2] Art. 640 bis c.p. “La pena è della reclusione da due a sette anni e si procede d’ufficio se il fatto di cui all’articolo 640 riguarda contributi, sovvenzioni, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.
[3] Art. 323, primo comma, lett. C e D CCII “1. È punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato in liquidazione giudiziale, l’imprenditore che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente: c) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare l’apertura della liquidazione giudiziale; d) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione di apertura della propria liquidazione giudiziale o con altra grave colpa;
[4] Cass. 5 agosto 2020 n. 16706
[5] Tribunale di Vicenza, 19.5.2022; Tribunale di Torino, 4.10.2022; Tribunale di Asti 8 gennaio 2024; Tribunale di Ferrara 3 maggio 2024
[6] Art. 217 L.F. ora art. 3 CCII
[7] Illegittimità che contrasterebbe irrimediabilmente, ad esempio, con molteplici disposizioni normative finalizzate proprio a facilitare il finanziamento delle imprese in crisi, quali – ad esempio – l’art. 38 TUB in materia di finanziamenti fondiari
[8] Si legge nelle motivazioni, al punto 15” “è vero, ed anzi ovvio, che è ben possibile e lecito il finanziamento all’impresa in crisi anche da parte di soggetti diversi da istituti che esercitino professionalmente il credito”; salvo poi aggiungere che la legittimità viene obliterata allorquando si riscontri “un contesto di ambigua negoziazione iniziale, tardiva qualificazione giuridica e finale innesto in una vicenda di aggravamento riprovevole del dissesto dell’impresa finanziata”
[9] Cass. 13 luglio 2017, n. 17352; Cass. 16 marzo 2018, n. 6586; Cass. 12 aprile 2018, n. 9079; Cass. 9 maggio 2018, n. 11201; Cass. 11 maggio 2018, n. 11543; Cass. 28 maggio 2018, n. 13285; Cass. 28 maggio 2018, n. 13286; Cass. 24 settembre 2018, n. 22459; Cass. 3 ottobre 2018 n. 24138; Cass. 19 novembre 2018, n. 29745; Cass. 28 giugno 2019, n. 17439; Cass. 27 novembre 2019, n. 31057; Cass. 21 gennaio 2020, n. 1193
[10] La garanzia è inefficace “qualora risulti che la Garanzia Diretta è stata concessa sulla base di dati, notizie o dichiarazioni, mendaci, inesatte o reticenti, se determinanti ai fini dell’ammissibilità all’intervento del Fondo, che il soggetto richiedente avrebbe potuto verificare con la dovuta diligenza professionale”
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