ISSN 2385-1376
Testo massima
Con sentenza
n. 19108 del 06-11-2012 la Corte di
Cassazione si è pronunciata in merito alla non revocabilità di operazioni
contabili di pari importo effettuate su un conto anticipi e su un conto
ordinario, laddove sia rimasta inalterata la complessiva esposizione debitoria
della società.
La vicenda
trae origine dall’azione revocatoria proposta dall’amministrazione
straordinaria di una società nei confronti della Banca e avente ad oggetto due
operazioni di segno contrario:
Con la prima operazione era stata versata sul conto
anticipi una somma pari al saldo passivo dello stesso conto, con conseguente
azzeramento dello stesso, tramite addebito di pari importo sul conto ordinario;
Con la seconda operazione era stato effettuato un
versamento di pari importo sul conto ordinario, tramite prelievo dal conto
anticipi.
Dette
operazioni erano state ritenute revocabili sia in primo che in secondo grado,
sul presupposto che le stesse avessero da un lato generato un pagamento di
effetti insoluti e dall’altro ridotto il saldo passivo del conto ordinario,
avendo di fatto natura solutoria.
La Suprema
Corte, nell’accogliere il ricorso promosso dall’Amministrazione straordinaria,
evidenzia che la revocatoria dei versamenti in conto corrente presuppone il
pagamento da parte del correntista o del terzo, con conseguente riduzione del
credito della banca, circostanza questa che non si era verificata nella
fattispecie.
Ed infatti,
secondo la Corte, la riduzione del passivo del conto anticipi assume valore di
pagamento solo laddove avvenga a fronte di una provvista, mentre nel caso di
specie la provvista utilizzata era costituita dal trasferimento dell’iscrizione
a debito su altro conto corrente (ordinario).
Tale
circostanza è sufficiente ad escludere la natura solutoria dell’operazione, in
quanto l’accredito effettuato sul conto anticipi era stato operato mediante
addebito sul conto operativo, con la conseguenza che alcuna variazione nel
credito della Banca si era verificata.
Del pari,
nella seconda operazione di accredito sul conto ordinario con prelievo dal
conto anticipi, si è verificata una mera operazione contabile per la quale
alcun vantaggio economico si era prodotto nei confronti della Banca, non
potendosi ritenere che attraverso una annotazione a debito “si possa prelevare una somma da un conto che
presenta un saldo pari a zero per estinguere un’obbligazione”.
Finalmente la Cassazione , al fine di
determinare la natura solutoria, ha dato rilevanza al CRITERIO DELL’EFFETTIVO
SPOSTAMENTO DI RICCHEZZA, con la conseguenza che le mere operazioni contabili
non integrano un pagamento revocabile quando non vi è alcuna concreta RIDUZIONE
DEL PASSIVO.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso 8281-2006 proposto da:
BANCA;
RICORRENTE
contro
DITTA F.LLI BETA S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA;
CONTRORICORRENTE
avverso la sentenza n. 493/2005 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 08/06/2005;
1. Il Tribunale di Brescia, con sentenza del 1992, revocò, su domanda dell’amministrazione straordinaria della F.lli BETA SPA, alcune rimesse eseguite dalla società allora in bonis, sui conti correnti nn. (OMISSIS) (cosiddetto conto operativo) e (OMISSIS) (cosiddetto conto anticipi) aperti presso la BANCA.
2. Detta sentenza è stata in alcune parti modificata dalla Corte d’appello di Brescia, con sentenza in data 8 giugno 2005. Per quel che ancora rileva, la corte territoriale ha accertato che in data 21 dicembre 1990 erano state eseguite due operazioni di segno contrario:
con la prima era stata versata sul conto anticipi una somma di L. 653.000.000, pari al saldo passivo dello stesso conto in quel momento, con addebito sul conto operativo, il cui saldo passivo era conseguentemente salito a L. 1.010.072.372; con la seconda era stato operato un versamento di L. 597.631.146 sul conto operativo, prelevandolo dal conto anticipi, il cui saldo, già azzerato con la precedente operazione, era andato in passivo dello stesso importo.
Secondo la Corte, la prima operazione costituiva pagamento di effetti rimasti insoluti alla scadenza, e la seconda – fatta oggetto di revoca in primo grado – aveva ridotto il passivo del conto operativo e quindi era solutoria, mentre la tesi difensiva della banca, che fosse stato in tal modo corretto un errore di contabilizzazione, non era riscontrata da ulteriori elementi, sicchè non v’era motivo di privilegiare quanto scritto in una lettera piuttosto che nell’estratto conto. Sulla base di queste premesse la corte territoriale ha respinto l’appello della banca, che censurava la disposta revoca della seconda operazione, e in accoglimento per questa parte dell’appello dell’amministrazione straordinaria ha revocato anche la prima.
3. Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 12 gennaio 2006, ricorre la banca, con atto notificato il giorno 8 marzo 2006, per un unico motivo, illustrato anche con memoria.
L’amministrazione straordinaria resiste con controricorso notificato il 13 aprile 2006 e con memoria.
4. Con l’UNICO motivo di ricorso si censura la decisione impugnata, per falsa applicazione dei principi in materia di revocabilità delle operazioni di giroconto, dal momento che nella fattispecie non poteva parlarsi di giroconto nè a favore di conto passivo e neppure di conto attivo, ma di operazione contabile che aveva lasciato inalterata la complessiva esposizione debitoria della società, essendo entrambi i conti passivi, e tali essendo rimasti all’esito delle due operazioni, che erano state preliminari al passaggio dei saldi negativi sull’unico conto in sofferenza.
Il motivo è fondato. La revocatoria dei versamenti in conto corrente bancario ha il suo presupposto di fatto nell’esistenza di un pagamento eseguito dal correntista o da terzi, e accreditato dalla banca, con conseguente riduzione del suo credito nei confronti del correntista. Dalla ricostruzione del fatto, che si legge nella stessa sentenza impugnata, emerge che delle due operazioni revocate, eseguite nella stessa giornata, la prima consistette nell’azzeramento del passivo del conto anticipi, coperto da un corrispondente aggravio del conto operativo, che era peraltro già passivo e privo di affidamento.
La riduzione del passivo del conto anticipi può, in generale, ben avere il valore di un pagamento, laddove esso avvenga a fronte di una provvista; nel caso in esame, invece, la “provvista” utilizzata era costituita dal trasferimento dell’iscrizione a debito su un altro conto corrente. Il meccanismo ordinario, per il quale l’accredito sul conto anticipi (derivante dal pagamento dei titoli) ha effetto solutorio del credito della banca derivante dall’anticipo sugli effetti o sulle fatture versate in precedenza dal cliente, postula che l’accredito medesimo abbia la sua provvista nel pagamento dei titoli da parte del terzo, o – in mancanza – nell’utilizzazione di denaro del cliente, ma nella specie nessuna di queste due ipotesi s’era verificata, perchè il credito esigibile della banca, annullato su un conto passivo, era stato riportato per il medesimo importo a debito del cliente su altro conto passivo e non affidato.
L’operazione aveva pertanto significato meramente contabile, ma non e- stingueva alcun debito del cliente nè riduceva l’esposizione della banca. In questo quadro, l’affermazione del giudice di merito, secondo il quale la banca sarebbe rientrata dalla sua esposizione con una classica operazione di autoliquidazione, e cioè “prelevando direttamente dal conto corrente del cliente il denaro che aveva anticipato e che non era riuscita ad incassare dai terzi”, suppone che un’annotazione a debito su un conto corrente, che secondo lo stesso giudice era certamente passivo e non era affidato, equivalga al pagamento del debito annotato, ed è pertanto manifestamente illogica.
La seconda operazione ripristinava per un importo inferiore il passivo del conto anticipi, ed è descritta così: “dal conto n. (OMISSIS) venne prelevata e girocontata sul conto n. (OMISSIS) la somma di 597.631.146, sicchè il conto n. (OMISSIS) andò in passivo di L. 597.631.146, mentre il conto n. (OMISSIS) diminuì lo scoperto di pari importo, scendendo da un passivo di L. 1.010.072.372 a L. 412.441.226”.
Anche in questo caso si suppone illogicamente che – mediante un’annotazione a debito – si possa prelevare una somma da un conto che presenta un saldo pari a zero per estinguere un’obbligazione. Il giudice di merito respinge poi l’argomento che “lo scoperto del conto n. (OMISSIS) era determinato appunto in L. 597.631.146” osservando che “gli estratti conto attestano un saldo negativo di L. 653.000.000” e che questo dato dovrebbe essere tenuto fermo; e in tal modo non considera che, nella ricostruzione adottata, quel saldo era stato ormai azzerato dall’operazione precedente, e si trattava di spiegare la coincidenza (del resto ammessa dalla stessa corte territoriale nella ricostruzione del fatto sopra riportata) tra la successiva iscrizione a debito sul conto n. (OMISSIS) e quella contestuale a credito di importo identico (dunque, non “scontato”) sul conto n. (OMISSIS).
La sentenza deve essere pertanto cassata in accoglimento del ricorso, e la causa deve essere rinviata alla medesima corte, in altra composizione, per il riesame del punto, anche ai fini del regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità. Nel decidere in coerenza con la ricostruzione dei fatti già accertati, la corte darà del suo convincimento una motivazione rispettosa dei principi elaborati in materia dalla giurisprudenza, ed esente da vizi logici.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello in altra composizione anche per le spese del giudizio di legittimità
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