“Può ritenersi sussistente, nella specie, il requisito dell’eventus damni, in termini di perdita per la società poi fallita, della figura di potenziale acquirente dell’immobile che, se acquisito alla massa fallimentare, avrebbe senza dubbio arrecato notevoli vantaggi al ceto creditori. Con la cessione del contratto di leasing, è del tutto preclusa agli organi fallimentari la possibilità di riscattare l’immobile oggetto del rapporto”.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Salerno in persona del Giudice Monocratico dott. Roberto Ricciardi con la sentenza n. 1177 del 9/10 aprile 2018.
Nella fattispecie considerata, la Curatela fallimentare di una società utilizzatrice agiva al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia ex art. 2901 c.c. e art. 66 l fall. dell’atto di cessione di un contratto di leasing per l’acquisizione di un immobile giacchè lesiva delle ragioni del ceto creditorio. Nella fattispecie, la società in bonis, aveva ceduto a titolo gratuito ad una s.r.l. amministrata dal figlio di uno dei soci, un contratto di leasing traslativo prevedente una maxi rata inziale, rate mensili e l’opzione di riscatto del bene oggetto del rapporto. Nel contraddittorio tra le società convenute, il Tribunale ha accolto la domanda fornendo una chiara ricostruzione contenutistica del requisito dell’eventus damni in tema di azione revocatoria ordinaria in sede fallimentare.
Il Tribunale ha accolto nei confini del danno giuridicamente tutelabile una lesione alle ragioni del ceto dei creditori che va oltre al mero depauperamento del patrimonio sociale. L’eventus damni accertato dal Giudice salernitano risiede, invero, nella preclusione per gli organi fallimentari di subentrare nel contratto di leasing a mente dell’art. 72 bis l fall. e di esercitare il diritto di riscatto del bene locato con conseguente accrescimento del patrimonio sociale a vantaggio dei creditori concorsuali.
Nella fattispecie, la deminutio del patrimonio sociale, non si configurerebbe nell’aver privato il patrimonio di un bene – giacchè con il contratto ancora pendente, il bene non era stato ancora acquisito – quanto nell’aver impedito alla Curatela, con il subentro del terzo nella posizione di parte, di valutare la possibilità di riscattare l’immobile concesso in leasing privandola, in concreto, della sua posizione di potenziale acquirente dell’immobile.
Il così tracciato volto dell’eventus damni allarga la nozione di danno ad una lesione della par condicio creditorum, ricollegabile, non solo all’uscita di un bene dalla massa ma anche all’ostacolo frapposto al suo ingresso nell’interesse dei creditori. In particolare, la decisione in commento, con condivisibile argomentazione, riafferma l’assimilabilità del cd. leasing traslativo allo schema negoziale della vendita con riserva della proprietà in cui la concessione in godimento assume solo una funzione strumentale all’acquisto finale. Non a caso, nel contratto in parola, il bene conserva alla scadenza, un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione ed i canoni periodici scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo riscatto della proprietà. Non può tacersi che in tale nozione di danno e sempre nel limite delle allegazioni delle parti in giudizio, rilevante diventa anche l’attività assertiva della controparte circa la concreta e reale utilità che il subentro nel contratto avrebbe potuto portare alla massa. Difatti, la prosecuzione del rapporto da parte del fallimento, sarebbe sicuramente vantaggiosa, nel caso di ragionevoli certezze che, una volta acquistata la proprietà dell’immobile tramite l’esercizio del diritto di opzione, il prezzo pagato per il riscatto dell’immobile sarebbe inferiore al prezzo di vendita. Il curatore fallimentare dovrà valutare non pochi profili al fine di prendere la decisione più appropriata all’interesse dei creditori: dovrà verificare se le parti abbiano effettivamente interesse alla prosecuzione del rapporto, se dal rapporto possano ottenersi risultati soddisfacenti per la massa dei debiti esistenti alla data del fallimento, occorrendo anche considerare il prezzo di riscatto finale, i canoni versati sino a quel momento e se, in concreto, l’esecuzione del contratto sia economicamente sostenibile da parte dell’amministrazione concorsuale.
Alla luce del percorso argomentativo esposto, il Tribunale di Salerno ha superato l’astratta impossibilità di configurare un danno per difetto di titolarità della proprietà sul bene, circoscrivendo la lesione del patrimonio sociale alla perdita della potenzialità dell’acquisto. La vera essenza del contratto di leasing traslativo è, invero, l’acquisizione del bene oggetto del rapporto.
Difatti, se è vero che la locazione traslativa mira all’acquisizione della proprietà del bene oggetto del rapporto, la cessione del contratto trascina con sé il vantaggio dell’operazione economica che ne costituisce la causa del contratto. Non a caso, è proprio tramite l’approntamento di mezzi finanziari per l’attribuzione di una utilitas anche in termini di acquisto del bene (rectius leasing traslativo) a costituirne la ragione economica sociale.
L’impostazione così ricostruita ha trovato la decisiva e definitiva conferma nell’arresto delle Sezioni Unite con la sentenza n. 19785 del 5 Ottobre 2015 nella quale si afferma che nel leasing “alla base, esiste un’operazione di finanziamento tendente a consentire al c.d. utilizzatore il godimento di un bene (transitorio o finalizzato al definitivo acquisto del bene stesso) grazie all’apporto economico di un soggetto abilitato al credito (il c.d. concedente) il quale, con la propria risorsa finanziaria, consente all’utilizzatore di soddisfare un interesse”.
Ebbene, alla pronuncia in commento, va riconosciuto il merito di aver allargato la casistica in tema di danno nella revocatoria in sede fallimentare ponendosi perfettamente in linea con l’orientamento assunto dal Supremo Collegio sin dal 1989, quando, emettendo ben 6 sentenze, individuò due species del genus locazione finanziaria – rectius leasing “di godimento” (leasing tradizionale) e leasing “traslativo” (leasing nuovo), fortificando il già serrato dibattito su quale fosse la causa del leasing. Il riferimento è al cd. “Sestetto Binario” della Corte di Cassazione in tema di locazione finanziaria, composto dalle sentenze n. 5569, 5570, 5571, 5572, 5573, 5574 tutte depositate in cancelleria il 13 Dicembre 1989 e tutte aventi motivazioni assai simili. Questo confermerebbe, nell’ottica della Corte, la originaria volontà delle parti nel leasing di effettuare un trasferimento di proprietà anziché un finanziamento e pertanto tutti i canoni corrisposti non sconterebbero solo il godimento di per sé ma anche, e soprattutto, il prezzo del bene.
Il Tribunale di Salerno con la sentenza n. 1177 del 10.4.2018 ha portato nell’azione revocatoria in sede fallimentare una nozione di danno ampiamente coerente con la Giurisprudenza della Suprema Corte.
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