ISSN 2385-1376
Testo massima
In relazione al rito del lavoro, il difetto di integrità del contraddittorio rappresenta un vizio della vocatio in ius. Orbene, la riassunzione del giudizio in primo grado, dopo che il giudice di appello, in applicazione degli artt.353 e 354 cpc, ne abbia disposto la rimessione al primo giudice dichiarando nulla per difetto di integrità del contraddittorio la sentenza emessa dallo stesso, implica la continuazione del giudizio precedentemente instaurato e non l’instaurazione di un nuovo giudizio. Di talché, restano intatte preclusioni e decadenze cui l’attore sia incorso nel già depositato atto introduttivo di lite. In definitiva, la riassunzione del giudizio ex artt.353 e 354 cpc nel rito del lavoro non è equiparabile all’instaurazione di un nuovo giudizio, con la conseguenza che viene meno la ratio del principio per cui la riassunzione non è di ostacolo alla proposizione di domande nuove.
Testo del provvedimento
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 24202/2007 proposto da:
C.S.;
– ricorrente –
contro
– COMUNE ALFA;
– AGENZIA AUTONOMA PER LA GESTIONE DELL’ALBO DEI SEGRETARI COMUNALI E PROVINCIALI, in persona del legale rappresentante pro tempore,;
– AGENZIA AUTONOMA PER LA GESTIONE DELL’ALBO DEI SEGRETARI COMUNALI E PROVINCIALI, in persona del Direttore Generale;
– controricorrenti –
e contro
M.V.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 100/2007 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 25/05/2007 R.G.N. 181/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 31/01/2013;
udito il P.M. che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 25.5.07 la Corte d’appello di Brescia, in riforma della pronuncia emessa in prime cure dal Tribunale di Mantova, rigettava la domanda con cui la Dott.ssa C.S. chiedeva di essere reintegrata nelle funzioni di segretario comunale del COMUNE ALFA, funzioni che l’attrice aveva svolto in regime di segreteria convenzionata dal 1.7.98 al 31.12.99 presso detta amministrazione territoriale in quanto Comune capo convenzione della convenzione stipulata con il Comune Beta.
Premesso che il rapporto di pubblico impiego del segretario comunale era con l’Agenzia Autonoma per la Gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali (soggetto in contraddittorio del quale si era svolto il processo), la Corte territoriale statuiva che la stabilità L. n. 127 del 1997, ex art.17, comma 70, (ora D.Lgs. n. 267 del 2000, art.99, commi 2 e 3), stabilità legata all’intero mandato del sindaco del Comune, cedeva il passo all’impossibilità di proseguire, visto che, alla scadenza della convenzione in atto con il Comune Beta per la gestione di una segreteria convenzionata, il COMUNE ne aveva stipulata un’altra con il Comune Gamma che, divenendone capofila, aveva il potere di nominare un nuovo segretario comunale, segretario comunale che effettivamente aveva nominato nella persona della Dott.ssa M.V. (anche in contraddittorio della quale si era celebrato il processo).
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Dott.ssa C. affidandosi a tre motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art.378 cpc.
Resistono con separati controricorsi l’Agenzia Autonoma per la Gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali e il COMUNE.
La Dott.ssa M. è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1.1. – Con il PRIMO MOTIVO si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 127 del 1997, art.17, comma 67 e ss., (ora D.Lgs. n. 267 del 2000, art.99, commi 2 e 3) e del D.P.R. n. 465 del 1997, art.15, nonchè vizio di motivazione, per avere l’impugnata sentenza ritenuto che il vincolo di stabilità previsto da tali norme e derivante dalla riconferma della ricorrente nell’incarico di segretario comunale operata dal sindaco del COMUNE all’inizio del suo mandato elettorale possa essere derogato dalla normativa sulla gestione convenzionale dei servizi di segreteria, consentendo – quindi – l’allontanamento del segretario comunale dell’ente non più capofila.
1.2. – Con il SECONDO MOTIVO si deduce vizio di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha escluso la sussistenza dell’elemento psicologico dell’illecito da parte della pubblica amministrazione, nonostante che la nuova convenzione con il Comune Gamma fosse stata stipulata malgrado il parere negativo del responsabile dei servizi amministrativi e degli affari generali del Comune.
1.3. – Con il TERZO MOTIVO si lamenta violazione dell’art.414 cpc, e art.125 disp. att. cpc, nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento danni proposta dalla Dott.ssa C. all’atto della riassunzione del processo dopo che la prima sentenza a lei favorevole, emessa sempre dal Tribunale di Mantova, era stata dichiarata nulla dalla Corte d’appello di Brescia per difetto di integrità del contraddittorio: tale pronuncia viene censurata per essere derivata da una fuorviante lettura di un precedente giurisprudenziale che escludeva la possibilità di proporre domande nuove in caso di riassunzione conseguente alla sospensione del processo per mancato previo tentativo di conciliazione.
2.1. – I tre motivi di doglianza – da esaminarsi congiuntamente perchè connessi – sono da disattendersi perchè il ricorso non investe con specifica censura anche un’altra ratio decidendi adottata dalla Corte territoriale, che ha rigettato la domanda di reintegra nelle funzioni di segretario comunale perchè comunque, nel frattempo, è venuto meno il mandato del sindaco che aveva riconfermato nella carica la Dott.ssa C. e, con esso, il diritto alla stabilità nel rapporto organico; nè il ricorso censura la motivazione dell’impugnata sentenza nella parte in cui segnala che non è più in essere la convenzione tra il COMUNE ALFA e quello di BETA per la gestione di una segreteria convenzionata, il che rende tecnicamente impossibile qualunque reintegra.
E’ pur vero che la dedotta illegittimità del mancato mantenimento nel posto di segretario comunale presso il COMUNE ALFA potrebbe rilevare, se non a fini di reintegra (ormai giuridicamente impossibile, come rilevato dall’impugnata sentenza senza che tale ratio decidendi sia stata oggetto di specifica censura), almeno a fini di risarcimento del danno (e ciò coinvolge il terzo motivo di ricorso): tuttavia nel caso di specie anche la censura relativa alla dichiarata inammissibilità della domanda del risarcimento del danno è a sua volta inammissibile perchè non conferente rispetto alla motivazione adottata dalla Corte territoriale, che non ha affatto escluso la possibilità di proporre domande nuove in caso di riassunzione conseguente alla sospensione del processo per mancato previo tentativo di conciliazione, ma ha asserito che ciò non può avvenire quando si tratti di riassunzione conseguente a dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado (con conseguente rimessione al primo giudice ex art.354 cpc) per difetto di integrità del contraddittorio.
Per di più, nel caso di specie si versa in ipotesi di rito del lavoro, il che rende comunque esatta la pronuncia impugnata, seppure mediante correzione ex art.384 cpc, uc, nei termini che seguono, della motivazione adottata dalla Corte territoriale.
Infatti, premesso che il difetto di integrità del contraddittorio costituisce un vizio della vocatio in ius e non dell’editio actionis, la riassunzione del giudizio in primo grado, dopo che il giudice di appello, in applicazione degli artt.353 e 354 cpc, ne abbia disposto la rimessione al primo giudice dichiarando nulla per difetto di integrità del contraddittorio la sentenza emessa in prime cure, comporta la continuazione del giudizio precedentemente instaurato e non l’instaurazione di un nuovo giudizio.
Ne consegue che restano intatte preclusioni e decadenze cui l’attore sia incorso nel già depositato atto introduttivo di lite, deposito che determina – a differenza di quanto avviene nel rito ordinario – la pendenza della lite (cfr., per una fattispecie analoga, Cass. Sez. lav. 18.5.07 n. 11628, che proprio per la ragione innanzi esposta ha escluso che l’attore che non abbia indicato nell’atto introduttivo i mezzi di prova dei quali intenda avvalersi possa farlo con l’atto di riassunzione).
Dunque, la riassunzione del giudizio ex artt.353 e 354 cpc, nel rito del lavoro (contraddistinto, come s’è detto, da una cesura tra editio actionis e vocatio in ius che, invece, non esiste nel rito ordinario) non è equiparabile all’instaurazione d’un nuovo giudizio, sicchè viene meno la ratio del principio (affermato nel rito ordinario) per cui la riassunzione non è di ostacolo alla proposizione di domande nuove.
Inoltre, il terzo motivo del ricorso della Dott.ssa C. è inammissibile perchè non investe con specifica censura anche un’ulteriore ratio decidendi adottata dalla Corte territoriale, che ha disatteso la domanda di risarcimento del danno – proposta dall’odierna ricorrente sotto il profilo del lucro cessante – evidenziando che, pur a volerla considerare ammissibile, comunque nel caso di specie non si era verificato alcun lucro cessante, vuoi perchè il segretario comunale in disponibilità mantiene il diritto alla conservazione del livello stipendiale, vuoi perchè dopo soli cinque mesi di disponibilità alla Dott.ssa C. è stata attribuita la segreteria convenzionata di terza classe tra i Comuni DELTA, ETA , TETA e KAPPA, di rango superiore a quella tra i ALFA e BETA.
La ricorrente, invece, dopo l’esposizione dei motivi di ricorso, insiste nell’affermare apoditticamente una dequalificazione professionale e un danno emergente per le maggiori spese incontrate per andare a svolgere le supplenze presso i Comuni DELTA, ETA , TETA e KAPPA e per le negative ripercussioni che tale maggiore distanza dalla propria abitazione avrebbe cagionato al suo equilibrio psichico e alla sua famiglia.
E’ appena il caso di ribadire che, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte e autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (giurisprudenza costante: cfr., da ultimo Cass. 3.11.11 n. 22753).
Le considerazioni sopra esposte assorbono la disamina del secondo motivo di ricorso, rendendo irrilevante ogni questione circa la sussistenza dell’elemento psicologico dell’illecito da parte della pubblica amministrazione.
Infine, quanto ai vizi di motivazione denunciati nel primo e nel terzo motivo di ricorso, è appena il caso di aggiungere che, ad ogni modo, essi si collocano all’esterno dell’area dell’art.360 cpc, comma 1, n. 5, in quanto il vizio di motivazione spendibile mediante ricorso per cassazione concerne solo la motivazione in fatto, giacchè quella in diritto può sempre essere corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in cassazione (v. art.384 cpc, uc), senza che la sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire.
Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata sia corretta ancorchè malamente spiegata o non spiegata affatto; se invece risulta erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente suggestiva e ben costruita) la può trasformare in esatta ed il vizio da cui risulterà affetta la pronuncia sarà non già di motivazione, bensì di inosservanza o violazione di legge o falsa od erronea sua applicazione.
3.1. – In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo a favore dell’Agenzia Autonoma per la Gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali e del Comune ALFA, seguono la soccombenza.
Non è dovuta pronuncia sulle spese riguardo all’intimata M., che non ha svolto attività difensiva.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 40,00 per esborsi e in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, per ciascun controricorrente.
Nulla spese per l’intimata M..
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2013
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