Fa molto discutere l’inaspettato “mutamento di rotta” della Corte di Giustizia UE sulla riduzione dei costi del credito immobiliare ai consumatori, in caso di estinzione anticipata.
Con la sentenza del 9 febbraio 2023 (causa C-555/21, Unicredit Bank Austria) i Giudici di Lussemburgo hanno infatti affermato che:
«L’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, in merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010, deve essere interpretato nel senso che: esso non osta a una normativa nazionale che prevede che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito, in caso di rimborso anticipato del medesimo, includa soltanto gli interessi e i costi dipendenti dalla durata del credito».
All’attento lettore, queste parole torneranno familiari, se non fosse che esse risuonano su frequenze esattamente contrarie a quei principi “Lexitor” (sic!), che hanno acceso il dibattito (ed il contenzioso) degli ultimi tre anni sulla riduzione dei costi del credito ai consumatori.
Perché la Corte di Giustizia UE sia addivenuta a conclusioni diametralmente opposte, con riferimento al credito “immobiliare” ai consumatori, è frutto di un percorso motivazionale tanto condivisibile quanto “straniante”, se si pensa ai fiumi d’inchiostro versati da dottrina e giurisprudenza per esaminare gli impatti della pronuncia del 2019 nel contenzioso “orizzontale” tra banca e cliente.
La differenza è solo di “contesto”, non di “merito”: i Giudici di Lussemburgo, chiamati ad interpretare altra Direttiva (e precisamente, l’articolo 25 paragrafo 2 della Direttiva 2014/14/UE) sono “costretti” a riconoscere che:
«[par. 27] L’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17 è formulato in termini quasi identici a quelli dell’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, sicché occorre ritenere che la sua formulazione non consenta di determinare, da sola, la portata esatta dalla riduzione di cui a tale disposizione. Si deve quindi interpretare quest’ultima alla luce del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte».
L‘approccio «differenziato», allora, deriverebbe dalla specificità della disciplina del credito immobiliare ai consumatori; e tale specificità si coglierebbe in quella che l’avvocato generale aveva evidenziato al paragrafo 69 delle sue conclusioni: «il diritto alla riduzione di cui all’articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2014/17 non è volto a porre il consumatore nella situazione in cui si troverebbe qualora il contratto di credito fosse stato concluso per un periodo più breve, un importo inferiore o, più generalmente, a condizioni diverse. Esso mira, invece, ad adattare tale contratto in funzione delle circostanze del rimborso anticipato».
«Stanti tali condizioni – prosegue la Corte – siffatto diritto non può includere i costi che, indipendentemente dalla durata del contratto, siano posti a carico del consumatore a favore sia del creditore che dei terzi per prestazioni che siano già state eseguite integralmente al momento del rimborso anticipato».
Fin qui, elemento differenziale rispetto alla disciplina generale del credito ai consumatori non si rinviene, sicché la stessa Corte UE è “costretta” a ripercorrere alcuni passaggi della sentenza “Lexitor”:
«[par. 32] Vero è che, nel contesto della direttiva 2008/48, la Corte ha dichiarato che l’effettiva portata del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita, qualora tale riduzione potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi qualificati dal creditore come dipendenti dalla durata del contratto, dato che i costi e la loro ripartizione sono determinati unilateralmente dalla banca e che la fatturazione dei medesimi può includere un certo margine di profitto. Inoltre, limitare la riduzione del costo totale del credito ai soli costi espressamente correlati alla durata del contratto comporterebbe il rischio che al consumatore vengano imposti pagamenti una tantum più elevati al momento della conclusione del contratto di credito, poiché il creditore potrebbe essere tentato di ridurre al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2019, Lexitor, C 383/18, EU:C:2019:702, punti 31 e 32)».
Ancora ripercorrendo la “Lexitor”, i Giudici di Lussemburgo ricordano:
«[par. 33] A tal fine la Corte ha evidenziato che, nell’ambito di detta direttiva, il margine di manovra di cui dispongono gli istituti creditizi nella loro fatturazione e nella loro organizzazione interna rende, in pratica, molto difficile la determinazione, da parte di un consumatore o di un giudice, dei costi oggettivamente correlati alla durata del contratto (v., in tal senso, sentenza dell’11 settembre 2019, Lexitor, C‑383/18, EU:C:2019:702, punto 33)».
Questa la ratio ispiratrice della ‘vecchia’ pronuncia: la riduzione di “tutti i costi” si giustifica in relazione alla difficoltà di determinare quali siano i costi «correlati alla durata del contratto».
Qui, la “vera” differenza – a dire della Corte UE – con il credito immobiliare:
«[par. 34] Al riguardo, occorre tuttavia ricordare che, conformemente all’articolo 14, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2014/17, il creditore o, se del caso, l’intermediario del credito o il rappresentante designato sono tenuti a fornire al consumatore informazioni precontrattuali mediante il PIES di cui all’allegato II a tale direttiva. Tale prospetto prevede una ripartizione delle spese che il consumatore deve pagare in funzione del loro carattere ricorrente o meno».
Basta il modulo “PIES”, allora, per assolvere alla finalità di tutela del consumatore, affinché questi possa distinguere i costi oggettivamente connessi alla durata del contratto:
«[par. 35] Orbene, una siffatta ripartizione regolamentata dei costi posti a carico del consumatore riduce sensibilmente il margine di manovra di cui dispongono gli enti creditizi nella loro fatturazione e nella loro organizzazione interna e consente, sia al consumatore che al giudice nazionale, di verificare se un tipo di costo è oggettivamente connesso alla durata del contratto».
La ricostruzione non convince o, meglio, non convince “l’imbarazzo” della Corte nel voler – a tutti i costi – concentrare i propri sforzi nel “giustificare”, ex post, l’orientamento assunto con la pronuncia “Lexitor”.
L’approccio di Lussemburgo è chiaro: la riduzione del costo del credito deve improntarsi alla trasparenza e ridurre gli abusi del creditore.
Ed, in parte qua, vi è effettivamente una tale distanza “normativa” tra le due Direttive?
Ad avviso di chi scrive, no.
L’odierna pronuncia interpretativa valorizza, quale pressoché unico elemento differenziale, il presidio di trasparenza “PIES”, previsto per il credito immobiliare.
Si è però certi che analogo strumento non sia previsto anche, più in generale, dalla Direttiva 2008/48?
A ben vedere, i presìdi di tutela che, oggi, la Corte richiama per giustificare un approccio differenziato, appaiono strettamente sovrapponibili tra le due discipline, se solo:
- al modello di trasparenza “PIES” si paragoni il modello “IEBCC” (o “SECCI”);
- si valuti il ridotto margine di manovra degli Stati membri, analogo in entrambe le Direttive.
Lanciandosi in un esercizio comparativo tra le norme della Direttiva sul credito immobiliare, oggi valorizzate dalla Corte, con le corrispondenti disposizioni della generale Direttiva sul credito al consumo, si legge:
Direttiva 2008/48/CE Contratti di credito ai consumatori |
Direttiva 2014/17/UE
Contratti di credito “immobiliare” ai consumatori |
Articolo 5
Informazioni precontrattuali 1. Il creditore e, se del caso, l’intermediario del credito, sulla base delle condizioni di credito offerte dal creditore e, se del caso, delle preferenze espresse e delle informazioni fornite dal consumatore, forniscono al consumatore, in tempo utile prima che egli sia vincolato da un contratto o da un’offerta di credito, le informazioni necessarie per raffrontare le varie offerte al fine di prendere una decisione con cognizione di causa in merito alla conclusione di un contratto di credito. Tali informazioni, su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, sono fornite mediante il modulo relativo alle «Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori» riportate nell’allegato II. Si considera che il creditore abbia soddisfatto gli obblighi di informazione di cui al presente paragrafo e all’articolo 3, paragrafi 1 e 2 della direttiva 2002/65/CE se ha fornito le «Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori». Le informazioni di cui trattasi riguardano: […] |
Articolo 14
Informazioni precontrattuali 1. Gli Stati membri provvedono affinché il creditore e, se del caso, l’intermediario del credito o il rappresentante designato forniscano al consumatore le informazioni personalizzate necessarie a confrontare i crediti disponibili sul mercato, valutarne le implicazioni e prendere una decisione informata sull’opportunità di concludere un contratto di credito: a) senza indebito ritardo, dopo che il consumatore ha fornito le informazioni necessarie circa le sue esigenze, la sua situazione finanziaria e le sue preferenze in conformità con l’articolo 20; e b) in tempo utile, prima che il consumatore sia vincolato da un contratto di credito o da un’offerta. 2. Le informazioni personalizzate di cui al paragrafo 1, su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, sono fornite mediante il PIES di cui all’allegato II. |
Art. 22, parr. 3 e 4
3. Gli Stati membri provvedono inoltre affinché le disposizioni adottate per dare esecuzione alla presente direttiva non possano essere eluse attraverso l’impiego di forme particolari di contratti, in particolare includendo prelievi o contratti di credito che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva in contratti di credito la cui natura o finalità consenta di evitare l’applicazione della direttiva stessa. 4. Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché i consumatori non siano privati della tutela accordata dalla presente direttiva a seguito della scelta della legge di uno Stato terzo quale legge applicabile al contratto di credito, se tale contratto presenta uno stretto legame con il territorio di uno o più Stati membri. |
Art. 41, lett. b) Gli Stati membri assicurano che: […] b) le disposizioni adottate per il recepimento della presente direttiva non possano essere eluse in un modo che possa determinare la perdita della protezione concessa ai consumatori dalla presente direttiva attraverso particolari formulazioni dei contratti, in particolare includendo contratti di credito che rientrano nell’ambito di applicazione della presente direttiva in contratti di credito la cui natura o finalità consenta di evitare l’applicazione di tali disposizioni. |
Come si vede, le due discipline sono assolutamente sovrapponibili, sicché mal si spiega il trattamento differenziato oggi offerto dai Giudici di Lussemburgo, se non con una più saggia scelta di resipiscenza.
Se il fine è quello della trasparenza, le Direttive prevedono analoghi strumenti di tutela.
Sul punto, si dirà che l’estensibilità tout court dei nuovi principi al credito ai consumatori non è possibile – a stretto rigore – in quanto le due pronunce hanno ad oggetto l’interpretazione di due differenti direttive.
Ciò è vero, se si ha riguardo meramente alle fonti interpretate, ma l’odierno intervento “correttivo” non potrà non avere una certa influenza anche nel comparto del credito “mobiliare” ai consumatori, con particolare riferimento al contesto “CQS”, maggiormente “colpito” dagli effetti della “Lexitor”.
Anzi, l’odierna pronuncia appare quasi «con imbarazzo» tentare di giustificare “ex post” la “Lexitor”, motivando più sulla vecchia decisione che sulla nuova.
In primis, balza evidente come la stessa CGUE “obliteri” la distinzione tra costi “up-front” e “recurring”, sebbene nel diverso contesto dei mutui immobiliari, dimostrando che non trattasi di una dicotomia desueta.
In altri termini: se, con Lexitor, la Corte aveva affermato che anche i costi “up-front” sono soggetti a riduzione – per evitare gli abusi derivanti da un’opaca imputazione – di certo non aveva inteso anche negare alla radice tale natura giuridica, come qualche interprete aveva frettolosamente ipotizzato.
Se la distinzione “resta in piedi”, si può più agevolmente discutere sulla corretta imputazione dei costi per attività preliminari (penso, in particolare, alle commissioni di intermediazione e, quindi, al tema dei “costi di terzi”, incassati “up-front” da un soggetto diverso dal finanziatore, non confondendosi con l’intero montante dei costi accessori).
Ma vi è di più. Il nuovo arresto dei Giudici di Lussemburgo non può che fungere da chiave di lettura dell’orientamento “Lexitor”, inquadrandolo più correttamente nella sua dimensione “finalistica”.
Ciò che interessa al legislatore comunitario – nel rispetto delle proprie prerogative e della limitata funzione di indirizzo dei legislatori nazionali – è la tutela del consumatore contro gli “abusi” del creditore. Non altro.
Ed allora, il passaggio in cui la Corte di Giustizia UE fa riferimento ai presidi di trasparenza approntati dalla legislazione nazionale sembra quasi “parlare” del sistema normativo italiano, nel quale, oltre alle indicazioni fornite dalla normativa di vigilanza che recepiscono il modello “SECCI”, il consumatore – anche nell’ambito del credito “mobiliare” – trova già una tutela contro gli abusi del creditore – anche ante “Lexitor” – negli istituti della nullità protettiva o della vessatorietà.
Nel contesto giurisprudenziale italiano “ante-Lexitor”, d’altronde, l’opaca esposizione dei costi accessori (in spregio alle indicazioni del modulo “SECCI” – e qui si legga indifferentemente “PIES”) aveva consentito al consumatore di conseguire la riqualificazione dei costi da “up-front” a “recurring”, assicurandogli la medesima tutela della riduzione del costo totale del credito, previa analisi “caso per caso” delle disposizioni contrattuali.
Su tale aspetto, sia consentita una citazione ad un precedente contributo. Questo Centro Studi, presentando innanzi alla Corte Costituzionale un’opinione “Amicus Curiae” – ammessa poi dalla Presidente agli atti del noto giudizio di costituzionalità sul “Decreto Sostegni-bis” – aveva sviluppato la seguente riflessione:
«3.9. L’analisi latamente comparatistica consente di focalizzare l’attenzione sulla circostanza che l’ordinamento italiano – al pari di quelli tedesco ed austriaco – è, nel suo complesso, certamente più attento e favorevole ai diritti del consumatore, rispetto a quello polacco (nel contesto del quale originava il rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo), al punto da poter garantire il raggiungimento del medesimo grado di tutela prefigurato dalla pronuncia “Lexitor”, attraverso altri strumenti rispetto all’opzione aprioristica del rimborso di “tutti i costi”.
3.10. Il riferimento va, in particolare, alla disciplina dell’art. 35, comma 2 del c.d. Codice del Consumo (d.lgs.n.206 del 2005), che aveva consentito – già ante “Lexitor” – di orientare graniticamente la giurisprudenza ordinaria ed arbitrale sul principio che, in assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra costi “up front” e “recurring”, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci dovesse essere preso in considerazione al fine della individuazione della quota parte da rimborsare.
3.11. A ben vedere, tale approccio consentiva – per altra via, ad Ordinamento nazionale previgente – di rispondere alla medesima esigenza avvertita dai Giudici di Lussemburgo: evitare che il soggetto finanziatore potesse riversare sulle spese c.d. fisse anche eventuali costi “ricorrenti”, così da non recargli un ingiusto profitto. Questa la motivazione più profonda della sentenza “Lexitor”, che però non osta all’individuazione di diverse soluzioni “nazionali” che consentano di raggiungere il medesimo scopo, se è vero (come è vero) che la Direttiva vincola lo Stato membro solo avuto riguardo al “risultato”[1].
3.12. Tutto ciò, a tacer del fatto che il Legislatore italiano non ha mai esercitato l’opzione prevista dall’art. 16, paragrafo 4 della Direttiva, non consentendo agli intermediari di ottenere quell’indennizzo maggiore previsto da quest’ultimo articolo, dimostrando di aver approntato altri rimedi per consentire il bilanciamento tra i contrapposti interessi.
3.13. In definitiva, è plausibile che il Legislatore del “Decreto Sostegni bis”, lungi dal voler “deliberatamente” in-adempiere alla Direttiva “CCD”, abbia piuttosto inteso obliterare la “scelta”, compiuta all’indomani dell’emanazione di quest’ultima, di affidare la tutela del consumatore ad un complesso di norme in grado di raggiungere il medesimo “risultato”, tanto caro alla Corte di Giustizia UE».
Ed allora: se l’ordinamento nazionale assicura – sotto il profilo della trasparenza e del controllo dei possibili abusi – lo stesso livello di tutela che la pronuncia “Lexitor” intende realizzare con la riduzione tranciante di “tutti i costi”, si è certi che la decisione “Unicredit Bank Austria” non possa impattare in generale su tutto il comparto del credito ai consumatori?
O forse deve ritenersi che la decisione in commento possa essere in grado di riportare in sintonia il contesto nazionale e quello comunitario, sotto la corretta chiave di lettura, limitando la portata più rigida della “Lexitor” ai soli ordinamenti che non assicurino lo stesso livello di tutela contro gli abusi?
Che ciò possa avvenire attraverso i prossimi approcci del giudice nazionale, ovvero debba passare necessariamente attraverso un nuovo rinvio pregiudiziale ai Giudici di Lussemburgo, solo l’evoluzione giurisprudenziale potrà dirlo.
Certo è che la Corte sembra aver “risvegliato” i “fantasmi” della “Lexitor”…
[1] Esemplificativo, sul punto, un passaggio motivazionale dell’ordinanza ex art. 702 ter del Tribunale di Mantova, in persona del dott. Giorgio Bertola, del 7 luglio 2020: «Quella sentenza [“Lexitor”], emessa a seguito di giudizio pregiudiziale sulla interpretazione di una norma polacca, si limita ad osservare che al cliente, in caso di estinzione anticipata, spetta il rimborso delle spese collegate al finanziamento che siano non solo ricorrenti, ma altresì quelle fisse per evitare che il soggetto finanziatore possa riversare sulle spese fisse anche eventuali costi ricorrenti così da non recargli un ingiusto profitto, ma non appare attagliarsi al sistema normativo italiano che, rispetto a quello polacco, è certamente molto più garantista per il cliente avendo esattamente disciplinato i diritti restitutori in caso di estinzione anticipata, con l’art. 125 sexies TUB». Cfr. sul web in expartecreditoris.it.
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