Secondo la S.C. alla luce del “giusto processo” il nuovo principio non può essere applicato ai giudizi di data anteriore alla pubblicazione della citata sentenza; che il principio enunciato dalle S.U. è estraneo al dato letterale dell’art. 645 cpc e non trova alcun supporto in esigenze di carattere sistematico; che mentre la norma autorizza ma non impone un termine di comparizione dimidiato è disarmonico ritenere che invece il termine di costituzione debba essere sempre dimezzato; che non esiste un principio in base al quale nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo tutti i termini debbono essere dimezzati; che al fine di valutare la dimidiazione dei termini non è possibile valutare gli artt. 163 bis 2^ comma e 165 cpc per i seguenti motivi:
a) nel processo ordinario la dimidiazione dei termini di comparizione deve essere chiesta specificamente dalla parte interessata che accetta per l’effetto tutti i limiti che ne conseguono;
b) la eventuale tardiva iscrizione a ruolo non comporta l’improcedibilità pregiudicando irrimediabilmente la posizione della parte.
Inoltre, deduce la Corte che l’introduzione in via interpretativa dell’automatica riduzione del termine di costituzione comporta l’aggravio della posizione processuale dell’opponente che già è svantaggiato in virtù della specialità del rito monitorio e che l’interpretazione resa dalla Cassazione a S.U. non è neppure giustificata da esigenze di garanzia della “ragionevole durata del processo”, o del diritto di difesa dell’opposto in quanto sulla durata del processo non incidono i termini di costituzione, ma quelli di comparizione. Alla luce delle predette considerazioni la S.C. ritiene applicabile la riduzione dei termini solo nel caso in cui l’opponente riduca a suo volta i termini di comparizione. Pertanto, qualora la Corte ritenga di confermare detto orientamento, lo stesso non dovrebbe essere applicato ai processi svoltisi in data anteriore, allorchè era consolidata una diversa interpretazione.
In merito alla funzione nomofilattica della Cassazione deduce la Corte che le interpretazioni giurisprudenziali orientano di fatto il comportamento degli operatori del diritto tanto quanto le norme di legge; nel momento in cui la legge formale dà il suo avallo ad una tale tendenza, tramite norme quali il nuovo art. 360 bis n. 1) cpc per cui l’inosservanza dei principi giurisprudenziali può costituire causa di inammissibilità del ricorso in Cassazione, il problema dell’efficacia nel tempo anche delle regole giurisprudenziali non può essere ulteriormente accantonato e trascurato soprattutto nelle materie – quali quella processuale – in cui il principio tempus regit actum svolge un ruolo di insostituibile garanzia.
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