ISSN 2385-1376
Testo massima
«Nella procedura di liquidazione coatta amministrativa la presentazione, da parte del preteso creditore, di domande ai sensi della Legge fallimentare art.208, o di osservazioni o istanze, ai sensi della Legge Fallimentare, art.207, comporta l’obbligo del commissario liquidatore di provvedere su di esse; ne consegue che, nel caso in cui il credito non sia contemplato, in tutto o in parte, nell’elenco dei crediti ammessi o respinti, il silenzio assume il valore di implicito rigetto, contro il quale, per evitare il formarsi di una preclusione, il creditore deve proporre opposizione allo stato passivo».
Così si è espressa la prima sezione della Corte di Cassazione, con sentenza del 11.11.2013, n.25301, decidendo sul ricorso presentato dal creditore di una società posta in liquidazione coatta amministrativa, che aveva presentato istanza di opposizione allo stato passivo redatto dal commissario liquidatore, non pronunciatosi sulla domanda di ammissione del credito da egli vantato.
Il giudice di prime cure aveva ritenuto inammissibile l’opposizione e la Corte d’Appello di Bari aveva confermato tale sentenza, precisando che il silenzio del commissario «non può assumere valore legale di esclusione e non consente al creditore di proporre opposizione allo stato passivo, ma solo una insinuazione tardiva ai sensi della Legge fallimentare, art.101, richiamato dalla Legge fallimentare art.209», considerata anche la peculiarità della procedura di liquidazione coatta amministrativa, in cui lo stato passivo è il risultato di un “accertamento amministrativo” svolto sulla base delle scritture contabili, pur non essendo preclusa al creditore la facoltà di presentare istanze od osservazioni.
Di diverso avviso è il Giudice di legittimità, che deve preliminarmente soffermarsi su una questione di carattere procedurale: pur avendo il ricorrente errato nella individuazione del motivo di impugnazione della sentenza di merito, deducendo la violazione o falsa applicazione di norme di legge ex art.360, comma 1, n.3 cpc, «risulta chiaramente dal tenore del motivo che il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per avere dichiarato l’inammissibilità della sua opposizione e per non aver pronunciato nel merito». Il ricorso è pertanto ammissibile, benché l’istante avrebbe dovuto far riferimento alla nullità della sentenza o del procedimento di cui al numero 4 dell’art.360, comma 1 cpc, in relazione all’art.112 cpc (“Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato”), in applicazione del principio dettato dalla stessa Corte con sentenza n.17931 del 24.07.2013.
Superato tale ostacolo preliminare, il Collegio rileva l’erroneità della sentenza di merito, che pur aveva richiamato la massima espressa dalla sentenza n.15102/2001 degli ermellini, in base alla quale «la mancata inclusione nel predetto elenco (lo stato passivo, ndr) non configura un provvedimento implicito di rigetto né comporta l’applicabilità dei rimedi previsti per il caso di omessa pronunzia da parte del giudice, ed il creditore non è tenuto a proporre opposizione a stato passivo, ex art. 98 L. Fall., per ottenere l’ammissione al passivo della propria ragione creditoria, ma è legittimato a proporre domanda d’insinuazione tardiva ai sensi dell’art. 101 detta legge».
Tale principio va, infatti, correttamente riferito alla fattispecie allora in esame, cioè quella di un creditore che era rimasto del tutto «estraneo ed indifferente» alla formazione del passivo.
Già in quella pronuncia si precisava, infatti, che se «il commissario ha rifiutato l’ammissione del credito in relazione al quale il creditore ha proposto domanda ovvero ha sollevato osservazioni, evidentemente, il titolare di quella ragione creditoria esclusa in tutto o in parte non potrà che insorgere con il rimedio dell’opposizione, operandosi altrimenti una sorta di preclusione nell’ambito della procedura».
Elemento dirimente tra l’onere di proposizione dell’opposizione allo stato passivo e la facoltà di agire per l’insinuazione tardiva è, dunque, la circostanza della partecipazione o meno del creditore alla formazione dello stato passivo, principio, questo, già acclarato dalla giurisprudenza di legittimità successiva alla citata pronuncia del 2001.
La Corte ha deciso la controversia affermando: «il “silenzio” del commissario liquidatore su una richiesta di ammissione al passivo assume il valore di un implicito rigetto, atteso che tale “silenzio” si colloca in un contesto normativo dal quale discende l’obbligo del commissario di pronunziarsi».
Tanto è confermato dal fatto che il commissario deve tenere conto delle domande, osservazioni e istanze tese ad integrare gli elementi documentali a disposizione della procedura, ed infatti l’elenco depositato deve contenere sia i crediti ammessi che quelli respinti.
A supporto di tale tesi sono stati richiamati anche i principi generali affermati dalla Legge n.241 del 1990 sul procedimento amministrativo, la quale all’art.2 comma 1, prevede che le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso.
Tale richiamo non contraddice il principio affermato in precedenza dalla Corte, che escluderebbe l’applicabilità della Legge 241 alla liquidazione coatta amministrativa, per il criterio della specialità, in quanto l’art.209 Legge Fallimentare non contempla il “silenzio” sulle domande presentate dai creditori, né contiene norme incompatibili con l’obbligo di decisione espressa, anzi si inserisce in un contesto normativo che la richiede.
In applicazione di tali principi, dunque, il Collegio ha cassato la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Bari, annullando la decisione affinché quest’ultima si pronunzi sul merito della domanda non esaminata ed implicitamente rigettata.
Testo del provvedimento
Cass.Civ., sez. prima, sentenza n.25301 del 11.11.2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11033/2008 proposto da:
G.G. (c.f. (OMISSIS));
– ricorrente –
contro
N.B.F. S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA (C.F./P.I. (OMISSIS));
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 68/2008 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 24/01/2008;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 24 gennaio 2008 la Corte di appello di Bari, confermava la sentenza in data 4 marzo 2006, con la quale il Tribunale della stessa città aveva ritenuto inammissibile l’opposizione allo stato passivo della liquidazione coatta amministrativa della s.p.a. N.B.F. proposta da G.G. per la mancata ammissione del suo credito di lire 391.991.727 sul quale il commissario liquidatore, malgrado la domanda formulata in data 30 ottobre 1996, aveva omesso di pronunziarsi nello stato passivo redatto ai sensi dell’art. 209 L. fall. In particolare, la Corte di appello, citando quale precedente la sentenza di questa Corte n. 15102 del 28 novembre 2001, osservava che:
1) nella procedura di liquidazione coatta amministrativa lo stato passivo è il risultato di un accertamento amministrativo svolto dal commissario sulla base delle scritture contabili, pur non essendo esclusa la possibilità per il creditore di avanzare istanze ovvero di presentare osservazioni, se destinatario della comunicazione dell’ammontare del credito risultante dalle scritture contabili e dai documenti dell’impresa;
2) da ciò consegue, in assenza di una specifica disposizione che attribuisca un significato al “silenzio del commissario”, che tale silenzio non può assumere valore legale di esclusione e non consente al creditore di proporre opposizione allo stato passivo, ma solo una insinuazione tardiva ai sensi della L. Fall., art. 101, richiamato dalla L. Fall., art. 209.
G.G. propone ricorso per cassazione, deducendo due motivi.
La N.B.F. s.p.a., in liquidazione coatta amministrativa, succeduta alla liquidazione coatta amministrativa della s.p.a. B.F.M. a seguito di trasferimento del patrimonio, resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 12 d.p.c.c., L. Fall., artt. 98, 99, 101, 208 e 209, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè il vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, lamentando che erroneamente, in presenza di una richiesta di ammissione al passivo, disattesa implicitamente dal commissario liquidatore, la sentenza impugnata aveva ritenuto l’inammissibilità dell’opposizione allo stato passivo ed aveva conseguentemente rigettato l’appello.
Contrariamente a quanto opinato dalla controricorrente liquidazione in sede di memoria ex art. 378 c.p.c., il motivo è ammissibile malgrado l’erroneo riferimento nella sua rubrica all’art. 360 c.p.c., n. 3, anzichè al n. 4 dello stesso articolo.
Invero, le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza 24 luglio 2013, n. 17931, risolvendo un contrasto insorto in seno alle sezioni semplici, hanno affermato il seguente principio: “il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge”.
Tale principio – trasferito al caso in esame, nel quale il motivo, pur rubricato come violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, deduce la violazione delle norme processuali relative alla individuazione del mezzo esperibile per la tutela dei diritti vantati – comporta la necessità di avere riguardo a quanto in effetti richiesto dal ricorrente. Sotto tale profilo risulta chiaramente dal tenore del motivo che il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per avere dichiarato l’inammissibilità della sua opposizione e per non avere pronunciato nel merito.
Tanto premesso, il motivo è fondato. Si deve anzitutto premettere che sebbene la massima tratta dalla sentenza di questa Corte (Cass. 28 novembre 2001, n. 15102), citata nell’impugnata sentenza, affermi incondizionatamente che “la mancata inclusione nel predetto elenco (lo stato passivo, ndr) non configura un provvedimento implicito di rigetto nè comporta l’applicabilità dei rimedi previsti per il caso di omessa pronunzia da parte del giudice, ed il creditore non è tenuto a proporre opposizione a stato passivo, L. Fall., ex art. 98, per ottenere l’ammissione al passivo della propria ragione creditoria, ma è legittimato a proporre domanda d’insinuazione tardiva ai sensi dell’art. 101 detta legge”, più articolato è il principio affermato nella predetta decisione. Nella sua motivazione si legge, infatti, che se “il commissario ha rifiutato l’ammissione del credito in relazione al quale il creditore ha proposto domanda ovvero ha sollevato osservazioni, evidentemente, il titolare di quella ragione creditoria esclusa in tutto o in parte non potrà che insorgere con il rimedio dell’opposizione, operandosi altrimenti una sorta di preclusione nell’ambito della procedura; ma, nei casi, più frequenti, in cui questi non abbia svolto funzione alcuna, neppure meramente partecipativa, nella formazione del passivo, rimanendo ad essa del tutto estraneo ed indifferente, non per ciò solo, la mancata ammissione del suo credito deve essere interpretata come provvedimento di rigetto che lo legittima all’impugnazione anzidetta”.
Ciò che, pertanto, condiziona la necessità o meno di una opposizione allo stato passivo è, secondo la citata sentenza, la partecipazione o meno del creditore alla formazione dello stato passivo. Ne consegue che il “silenzio” del commissario sul credito non assume significato di rigetto soltanto nel caso in cui la relativa pretesa non sia stata avanzata dal creditore con una richiesta di riconoscimento del credito, ai sensi della L. Fall., art. 208, o con osservazioni o istanze, ai sensi della L. Fall., art. 207. In questo senso, del resto si è espressa la successiva giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “al fine di stabilire in concreto quale sia il rimedio di cui dispone il creditore, il cui credito non venga ammesso per intero (come nel caso di mancata ammissione degli interessi), occorre verificare se il creditore stesso abbia proposto domanda di ammissione o anche soltanto formulato le sue osservazioni ai sensi della L. Fall., art. 207: in tal caso, egli non ha altro rimedio che l’opposizione ai sensi della L. Fall., art. 98, perchè il provvedimento di esclusione, assunto anche implicitamente dal commissario, ha valore di rigetto, contro cui, per evitare la preclusione endofallimentare, occorre reagire ai sensi della norma da ultima richiamata” (Cass. 19 febbraio 2003, n. 2476; conff. Cass. 20 febbraio 2004, n. 3397; Cass. 14 ottobre 2010, n. 21241).
A tale orientamento deve darsi seguito poichè il “silenzio” del commissario liquidatore su una richiesta di ammissione al passivo assume il valore di un implicito rigetto, atteso che tale “silenzio” si colloca in un contesto normativo dal quale discende l’obbligo del commissario di pronunziarsi; in questo senso depone, infatti, la funzione di domande, osservazioni e istanze, tese evidentemente ad integrare gli elementi documentali a disposizione della procedura e delle quali, pertanto, il commissario non può non tenere conto, tanto che l’elenco depositato deve comprendere, ai sensi dell’art. 209 l. fall., sia i crediti ammessi che quelli respinti. Nella stessa prospettiva, del resto, si pongono, benché non applicabili ratione temporis, le disposizioni modificative della L. Fall., artt. 207 e 208, dettate dal D.L. n. 179 del 2012, che prevedono a carico del creditore l’onere di indicare un indirizzo di posta elettronica certificata al quale il commissario deve effettuare le successive comunicazioni. Tali disposizioni, infatti, non innovano quanto all’obbligo di provvedere, ma incidono, presupponendo l’esistenza di tale obbligo, sulle modalità di comunicazione.
Ad identiche conclusioni si perviene, infine, alla stregua dei principi generali affermati dalla L. n. 241 del 1990, sul procedimento amministrativo, la quale all’art. 2, comma 1, prevede che le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso. In senso contrario non si può invocare il precedente di questa Corte (Cass. 3 maggio 2005, n. 9163) secondo cui non si applicano alla liquidazione coatta amministrativa i principi stabiliti dalla legge n. 241/1990 in tema di motivazione, poichè prevale la norma speciale, rappresentata dalla L. Fall., art. 209, che non prevede una motivazione a corredo dell’elenco dei crediti ammessi o respinti. L’art. 209 cit., infatti, non prevede in alcun modo il “silenzio” sulle domande presentate dai creditori nè contiene norme incompatibili con la necessità di una decisione espressa ed anzi, come si è detto, si inserisce in un contesto normativo che la richiede.
Resta assorbito il secondo subordinato motivo col quale il ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.; L. Fall., artt. 98, 99, 101 e 209, nonchè il vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale erroneamente aveva affermato di non potere qualificare la domanda proposta come insinuazione tardiva.
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di appello di Bari che si atterrà al seguente principio di diritto: “nella procedura di liquidazione coatta amministrativa la presentazione, da parte del preteso creditore, di domande ai sensi della L. Fall., art. 208, o di osservazioni o istanze, ai sensi della L. Fall., art. 207, comporta l’obbligo del commissario liquidatore di provvedere su di esse; ne consegue che, nel caso in cui il credito non sia contemplato, in tutto o in parte, nell’elenco dei crediti ammessi o respinti, il silenzio assume il valore di implicito rigetto, contro il quale, per evitare il formarsi di una preclusione, il creditore deve proporre opposizione allo stato passivo”.
PQM
accoglie il primo motivo e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Bari in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2013
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Numero Protocolo Interno : 657/2013