Le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell’Agenzia delle Entrate, ove sono gratuitamente e liberamente consultabili, non costituiscono fonte tipica di prova, ma strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa, sicché, quali nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, sono utilizzabili dal giudice e sono idonee solamente a condurre ad indicazioni di valori di larga massima. Ciò non di meno l’Amministrazione finanziaria può fare ricorso anche a dette quotazioni, ai fini della valutazione del bene immobile per l’applicazione dell’imposta di registro, unitamente ad altri elementi indiziari di giudizio.
Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, sez. V civile, Pres. Chindemi – Rel. De Masi, con la sentenza n. 3197 del 09.02.2018, che si riporta di seguito.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso omissis-2013 proposto da:
A.A. e SOCIETA’ IMMOBILIARE
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 298/2012 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI, depositata il 06/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/01/2018 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato OMISSIS che ha chiesto il rigetto.
Svolgimento del processo
La controversia, promossa dalla SOCIETA’ IMMOBILIARE, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, concerne la impugnazione degli avvisi di rettifica e liquidazione delle maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale, emessi in relazione al contratto intercorso tra le predette parti, registrato il 23/3/2009, con cui veniva trasferita alla società la proprietà di un immobile, avendone l’Ufficio elevato il valore dichiarato.
La Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza n. 298/45/12, depositata il 6/11/2012, respingeva i riuniti appelli dei contribuenti, e così confermava la decisione di primo grado, che aveva parzialmente accolto gli originari ricorsi e ridotto il valore accertato dall’Ufficio, tra l’altro, osservando che il giudice di prime cure aveva motivato la decisione facendo specifico riferimento all’ubicazione dell’immobile, alle sue caratteristiche, non essendo stato ancora realizzato all’epoca del precedente trasferimento il secondo piano dell’edificio, nonchè alle quotazioni O.M.I., e condivisibilmente disatteso i coefficienti di riduzione proposti dal perito di parte; evidenziava altresì come anche la perizia integrativa avesse fatto riferimento a dette quotazioni, evidentemente “ritenendole (…) degne di considerazione“, e come i “coefficienti relativi alla ubicazione, alla vetustà dell’immobile, agli impianti ed alla struttura priva di particolarità di pregio” non fossero in grado di incidere sul valore del bene, tenuto conto delle risultanze contenute nella prima perizia.
I contribuenti ricorrono per ottenere la cassazione della sentenza con quattro motivi, illustrati con memoria, e l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo denunciano il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, artt. 2697 e 2727 c.c., giacchè il Giudice di appello ha ritenuto sufficiente la motivazione dell’avviso impugnato in quanto esso “fa riferimento all’ubicazione, allo stato di manutenzione dell’immobile, alle quotazioni immobiliari presenti nella Banca dati dell’A. del Territorio per il primo semestre 2009”, escludendo una concreta lesione del diritto di difesa dei contribuenti, come dimostrato dalla compiutezza delle censure svolte nei ricorsi originari, e ciò nonostante la genericità del richiamo alle quotazioni O.M.I., neppure allegate, e la mancata specificazione dei parametri di valutazione (stato di conservazione, destinazione dell’immobile, natura dello stesso) applicati nell’atto impositivo.
Con il secondo motivo denunciano il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52 e artt. 2697 e 2727 c.c., giacchè il Giudice di appello ha ritenuto sufficiente la motivazione dell’avviso impugnato senza però considerare che nella determinazione del valore di mercato di un bene concorrono diversi elementi, che si aggiungono alle quotazioni O.M.I., meritevoli di opportuni approfondimenti, e di una verifica in loco.
Con il terzo motivo denunciano il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52 giacchè il Giudice di appello ha ritenuto non provati i presupposti fattuali per l’applicazione dei coefficienti indicati nella perizia di parte, a firma dell’Ing. C., senza considerare che la perizia depositata in primo grado, attestante il valore di Euro 1.000 al mq., ritenuto congruo dalla CTP di Benevento, costituiva soltanto un “punto di partenza” per la valutazione dell’immobile, dovendo trovare applicazione i coefficienti di riduzione indicati nella perizia integrativa depositata in secondo grado, che indicano il valore commerciale del bene di Euro 656,10 al mq., elementi non adeguatamente contrastati dall’Ufficio, ancorchè onerato della prova del valore venale del bene.
Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., giacchè il Giudice di appello, pur riconoscendo che le quotazioni O.M.I. costituiscono semplici presunzioni, omette poi di sviluppare qualsiasi argomentazione circa la valutazione degli ulteriori elementi che rendono congruo il valore attribuito giudizialmente all’immobile, con palese violazione delle regole sull’onere della prova.
I motivi di ricorso, che vanno scrutinati congiuntamente per la loro evidente connessione, sono infondati e non meritano accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
Quanto alle prime due censure, va richiamato il principio secondo cui la motivazione di un avviso di rettifica e di liquidazione ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, e di consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa, e che, pertanto, fermo restando l’onere della prova gravante sull’Amministrazione, è sufficiente l’enunciazione dei criteri astratti in base ai quali è stato determinato il maggior valore, ma non anche gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, presa conoscenza del criterio di valutazione adottato, è in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale (da ultimo, Cass. n. 22148/2017; n. 11560/2016).
La motivazione dell’atto impugnato non si fonda soltanto sullo scostamento del valore dichiarato rispetto a quello normale, determinato sulla scorta delle quotazioni dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI), utilizzate anche dal perito di parte, ma richiama una serie di ulteriori elementi indiziari che ad avviso del Giudice di appello non possono essere reputati meri riferimenti formali, perchè riferibili all’ubicazione ed allo stato di manutenzione dell’immobile, elementi valutati positivamente e che si integrano con quello rappresentato dal valore minimo di mercato desunto dalla suindicata banca dati, riferito al semestre a cui risale la compravendita.
Quanto alle ultime due censure, va osservato che, come dedotto dai contribuenti, nelle cessioni di beni, lo scostamento del valore dichiarato rispetto al valore normale, desunto di valori O.M.I., non può essere assunto come presunzione legale.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “Le quotazioni O.M.I., risultanti dal sito web dell’Agenzia delle Entrate, ove sono gratuitamente e liberamente consultabili, non costituiscono fonte tipica di prova ma strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa, sicchè, quali nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, utilizzabili dal giudice ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 2, sono idonee solamente a “condurre ad indicazioni di valori di larga massima”. (Cass. n. 25707/2015).
Ciò non di meno l’Amministrazione finanziaria può fare ricorso anche a dette quotazioni, ai fini della valutazione del bene immobile, unitamente ad altri elementi indiziari di giudizio, e nel caso di specie i giudici di merito hanno utilizzato tale dato di partenza – per usare l’espressione contenuta nel ricorso per cassazione – nel contempo valorizzando, per un verso, la circostanza che anche nella perizia integrativa si fa riferimento alle quotazioni O.M.I., “tanto che il valore minimo (di mercato) indicato nelle quotazioni (…) viene ridotto con coefficienti relativi alla ubicazione, alla vetustà dell’immobile, agli impianti ed alla struttura privata di particolare pregio“, e disattendendo, per altro verso, la valenza probatoria degli elementi estimativi forniti dai contribuenti con le due perizie di parte, “che nemmeno possono assurgere a prova dell’inattendibilità delle quotazioni dell’O.M.I.“, in quanto basate su indicazioni fattuali non riscontrabili (in tal senso va intesa l’esemplificativa affermazione per cui “ulteriori elementi di prova (…) potevano essere ben forniti a mezzo servizio fotografico”).
Appare allora evidente che gli elementi ricavabili dalle perizie sono stati vagliati, avendo la CTR rilevato una certa difformità tra quanto riportato nella prima perizia (“pag. 2, le rifiniture, i servizi, i rivestimenti, gli infissi e le apparecchiature sono state dichiarate di buona qualità”), e quanto riportato in quella integrativa, e neppure sono state trascurate “le variazioni viarie” che i contribuenti hanno sostenuto essere intervenute negli ultimi anni, senza però fornire precisi riferimenti temporali al riguardo, così come la circostanza ritenuta di rilievo – che, tra il momento in cui l’immobile era pervenuto all’ A. e quello del successivo trasferimento alla società immobiliare, era intervenuto – segnatamente nel 2004 – il “completamento del secondo piano” dell’edificio per cui è causa.
Ne discende che i ricorrenti, sotto le spoglie della violazione di legge, non possono chiedere alla Corte l’espressione di un giudizio sostitutivo che rinnovi il potere di governo del materiale probatorio, attività questa riservata al giudice di merito e perciò in sede di legittimità non consentita.
E’ vero, infatti, che il giudicante non ha fatto mostra di ignorare gli elementi di segno contrario che i contribuenti hanno addotto per confutare il convincimento giudiziale raggiunto in prime cure, ma dando maggiore rilevanza ad altri elementi, ne ha ridotto la significatività ai fini della soluzione della lite, senza che ciò possa costituire ragione di violazione delle norme vanamente invocate in ricorso.
Segue, secondo soccombenza, la condanna al pagamento in solido delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al rimborso delle spese del presente giudizio, liquidate in complessi Euro 7.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2018
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