Procedimento patrocinato dallo Studio Legale Filesi
LA MASSIMA
Avverso la pretesa creditoria di un soggetto terzo al rapporto di leasing ed alla connessa pretesa ritentiva del bene già oggetto del rapporto di locazione finanziaria, previo deposito tempestivo della domanda di rivendicazione, il lessor può chiedere al curatore di procedere alle fasi di inventariazione del bene, ai sensi degli artt. 87, 88 L.F., all’attivo del fallimento, onde escluderne la disponibilità nei confronti del preteso creditore.
L’art. 53 L.F., se pure riconosce ai creditori privilegiati assistiti dal diritto di ritenzione, la possibilità di procedere, pendente la procedura concorsuale, alla vendita del bene, non configura questa facoltà come esplicazione di autotutela in senso proprio, come avviene al di fuori del fallimento, richiedendo l’accertamento del credito nelle forme della insinuazione allo stato passivo ed assoggettando la vendita del bene gravato dal privilegio, alla autorizzazione ed ai criteri direttivi del giudice delegato, a fronte della concorrente legittimazione del curatore; onde il ricavato dalla vendita, quand’anche il bene gravato sia venduto direttamente dal creditore, non viene immediatamente incassato in via autosatisfattiva del medesimo, ma ripartito attraverso il piano di riparto, nel rispetto dell’ordine delle cause di prelazione.
Questi i principi espressi dal Tribunale di Termini Imerese, Dott.ssa Emanuela Piazza, con il decreto del 2 febbraio 2017.
IL CASO
Dichiarato il fallimento del lessee, parte concedente il bene in locazione finanziaria (leasing) veniva a conoscenza che il bene strumentale oggetto del rapporto, un autocarro, era parcheggiato presso i locali di altra società, peraltro in un Comune diverso da quello ove era sorta l’apertura del concorso; il soggetto terzo, reclamava una pretesa ritentiva sul bene, sull’assunto che il soggetto poi fallito (l’utilizzatore in leasing), gli aveva commissionato lavori di riparazione e manutenzione, mai però pagati.
Esperita, come di prassi, la domanda di rivendicazione del bene all’interno della procedura concorsuale da parte del lessor, invocando quindi la riconsegna del mezzo in via principale ed in subordine l’ammissione al passivo per l’importo pari al controvalore finanziario dello stesso alla data del fallimento,( laddove il bene non fosse stato inventariato e/o acquisito alla massa attiva del fallimento), la medesima concedente procedeva agli opportuni contatti epistolari con la curatela del fallimento; in buona sostanza evidenziando all’organo della procedura, proprio al fine di svincolarsi dalle pretese ritentive sul bene da parte di un soggetto terzo, l’opportunità di acquisirlo all’attivo del fallimento, per poi ottenerne la riconsegna, jussu judiciis, nel rispetto del concorso.
La curatela prendeva atto della bontà e correttezza della richieste di intervento, provvedendo, quindi, all’esecuzione di un accesso presso i locali del terzo detentore del bene; quindi, procedendo alla inventariazione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 87 e 88 L.F..
All’interno del verbale, gioverà fin d’ora evidenziarlo, la curatela dava atto della circostanza che era stato inviato a presenziare, con comunicazione di rito, anche l’amministratore della fallita, che però non era presente.
Era invece presente il legale rappresentante della società che gestiva l’officina che aveva eseguito i lavori, il quale dichiarava che il veicolo si trovava presso i propri locali, giacchè la società poi fallita le aveva commissionato la realizzazione di un’attrezzatura scarrabile.
L’autocarro era l’unico bene che trovavasi nel territorio, come da dichiarazione resa ai sensi dell’art. 87, co. 3, L.F., in sede di verbale di inventario fatto presso la sede della società fallita, dal legale rappresentante di essa ultima.
Le chiavi venivano quindi riconsegnate al curatore ed il titolare della officina veniva nominato custode.
All’udienza fissata per l’esame delle domande di rivendicazione, il Giudice delegato prendeva atto delle conclusioni della curatela, la quale informava che il bene oggetto della domanda principale di rivendica era stato rinvenuto presso i locali di altra società ed ivi inventariato, come risultava da verbale ad acta già depositato in Cancelleria, oltre che affidato in custodia all’amministratore e legale rappresentante p.t. della predetta società terza al rapporto di leasing; quindi accoglieva integralmente la domanda di rivendica, con il nulla a provvedere quanto alla subordinata.
Ancora il curatore, rendendo noto al creditore istante in rivendicazione, la circostanza che detto soggetto terzo era stato avvisato dell’intervenuto fallimento del soggetto giuridico che gli aveva commissionato i lavori, ma ciononostante astenendosi dal deposito di una rituale domanda di ammissione al passivo, per gli importi di cui al credito reclamato.
IL COMMENTO
Nella prassi operativa, non di rado si affrontano le questioni afferenti la pretesa ritentiva di un soggetto terzo estraneo al rapporto di locazione finanziaria, tale da consentirgli il richiamo al combinato disposto degli artt. 2756 e 2797 cod. civ, disponendo la prima delle disposizioni codicistiche in commento, che i crediti per le prestazioni e le spese relative alla conservazione o al miglioramento di beni mobili hanno privilegio sui beni stessi, purché questi si trovino presso chi ha eseguito le prestazioni o le spese.
Il privilegio ha effetto anche in pregiudizio dei terzi che hanno diritti sulla cosa, qualora chi ha reso le prestazioni o le spese sia stato in buona fede; la buona fede, identificandosi con l’ignoranza non già del difetto di titolo dell’affidante a trasferire il dominio, ma del difetto di capacità di affidare la cosa per la conservazione o per il miglioramento della stessa.
Qualora infatti il proprietario della cosa, il lessor per intenderci, affidata dal proprio lessee ad un prestatore d’opera perché vi esegua delle riparazioni, ometta di spiegare, nella fase di opposizione alla esecuzione come formulabile ai sensi del comma 2 dell’art. 2797 cod.civ, come mai chi ha consegnato il bene al riparatore si sia trovato a poterne disporre, ben può il Giudice di merito ritenere sussistente (in relazione ad una sua adeguata valutazione delle particolari circostanze di fatto) una praesumptio hominis di sussistenza della buona fede del soggetto che ha eseguito le prestazioni, ai fini del riconoscimento del privilegio per il pagamento del corrispettivo, ai sensi dell’art. 2756, comma 2, c.c.; apparendo cioè ragionevole ritenere, che il soggetto il quale abbia la disponibilità del bene e lo consegni per le riparazioni, sia egli stesso il proprietario o un incaricato dell’incombenza, da parte dell’avente diritto (per tutte cfr Cass civile, sez. III, 22/06/2009, n. 14533).
Il creditore, tornando al richiamo in concreto al 2756 cod. civ., può indi ritenere la cosa soggetta al privilegio, finché non è soddisfatto del suo credito e può anche venderla secondo le norme stabilite per la vendita del pegno [2797 c.c.; 502 c.p.c.; L.F. 53].
La norma si fonda su un presupposto fondamentale: i beni sui quali vengono posti i privilegi devono necessariamente trovarsi presso chi ha affrontato la spesa o compiuto le prestazioni migliorative.
Perchè il privilegio generale posto sui beni in questione possa essere opponibile anche ai terzi estranei, è necessaria la dimostrazione probatoria espressa della bona fides, la quale è ovviamente a carico del creditore medesimo.
Nel caso in cui non abbia ottenuto piena soddisfazione della propria pretesa, il creditore può vantare il cosiddetto diritto di ritenzione nei confronti del bene: un diritto in virtù del quale egli è legittimato alla trattenuta presso di sè della cosa che dovrebbe invece essere di regola restituita al legittimo proprietario.
Si tratta dunque di un metodo finalizzato ad esercitare pressione sul debitore, per indurlo all’adempimento del suo debito.
Nessun dubbio in merito al fatto che la disposizione in esame mira a compensare i creditori che in qualche misura hanno apportato determinati miglioramenti al bene, incrementandone per di più il valore, allo scopo di evitare che altri creditori si avvantaggino di tali utilità.
Dall’altra parte, nessun dubbio neppure in merito al fatto che nei casi in cui la pretesa creditoria venga esercitata dal terzo nei confronti di un soggetto giuridico che ha semplicemente concesso in locazione finanziaria il bene, dette pretese di pagamento siano del tutto illegittime ed infondate, giacchè nota la totale estraneità di una società di leasing ai rapporti di custodia e/o ai rapporti di commissionamento di opere, da parte del lessee utilizzatore del bene, con la conseguenze che i rapporti intrattenuti dal medesimo utilizzatore con detti soggetti terzi dichiarati creditori, sono inter alios ed inopponibili al concedente.
In buona sostanza, riservando la legge al preteso creditore solo il diritto di ritenzione sul bene, esercitabile anche e fino alla richiesta di vendita con incanto dello stesso, nel rispetto delle formalità disposte dal comma 2 dell’art. 2797 c.c. già citato, ma non riservandogli alcuna azione diretta nei confronti del proprietario effettivo del bene, per il pagamento del proprio credito, giusta i motivi sopra illustrati.
Sempre per prassi operativa (e fatte salve ovviamente al lessor, le azioni dirette nei confronti del lessee al fine di vedersi manlevare dalle pretese del terzo creditore, come pure le azioni in opposizione alla vendita coattiva, sull’argomento della mala fede del terzo), riservandosi al lessor la scelta in merito al pressoché abbandono del bene, ma senza nulla dovere al preteso creditore in ordine all’opposizione alla vendita coattiva, opportunamente ricordando che mentre l’opposizione al decreto ingiuntivo dà luogo ad un normale giudizio di merito che si svolge secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645, comma 2, c.p.c.), nel quale il creditore opposto, nella sua posizione sostanziale di attore, può proporre la domanda di accertamento della propria pretesa creditoria e di condanna dell’altra parte al relativo pagamento, tale disciplina non è affatto applicabile alla opposizione che venga proposta avverso la speciale procedura di esecuzione coattiva di cui agli art. 2756 e 2797 c.c.; sia perché l’intimazione di cui all’art. 2797 ha una funzione diversa da quella del decreto ingiuntivo, realizzando l’esercizio dello “ius vendendi” concesso al creditore pignoratizio o al titolare del credito privilegiato relativo a prestazioni e spese di conservazione o di miglioramento di beni mobili con funzione analoga al precetto, sia perché l’opposizione alla procedura coattiva può essere esperito soltanto per questioni attinenti alla regolarità dell’intimazione ed al diritto di procedere alla vendita, oppure al fine di limitare la vendita ad alcune delle cose pignorate; tanto che, per l’opposizione in questione – a differenza di quanto espressamente disposto dall’art. 645, comma 2, c.p.c. per l’opposizione al decreto ingiuntivo – non sono affatto richiamate le norme del procedimento ordinario e la medesima non può far luogo ad un autonomo giudizio di cognizione, nel quale il giudice possa accertare la fondatezza o meno, nel merito, delle contrapposte pretese delle parti e deliberare sulle relative domande.
Ne consegue che la mancata opposizione alla speciale procedura ex art. 2797 cit. non comporta preclusione all’accertamento del titolo del venditore a mezzo di giudizio ordinario di cognizione. Cassazione civile, sez. III, 01/09/1987, n. 7179).
Ma lo scenario appena descritto, cambia nelle ipotesi, come quelle del caso deciso dal Tribunale Siciliano, di fallimento nel frattempo della parte utilizzatrice del bene, in pendenza di una pretesa ritentiva di terzo. In questi diversi casi, infatti, in forza del principio di cui all’art. 51 L.F., non è consentito ai creditori di esercitare qualsiasi azione che si appalesi in contrasto con l’esecuzione generale sul patrimonio del debitore fallito, né tanto meno esercitare l’azione di ritenzione prevista dall’art. 2756 cod. civ., con la conseguenza che il creditore è obbligato a consegnare alla curatela il bene su cui intende esercitare il privilegio ed ottenere il soddisfacimento del credito, secondo le regole previste per la ripartizione dell’attivo e la graduazione dei crediti concorsuali.
Vale cioè in questi casi il richiamo e la applicazione dell’art. 53 L.F., che se pure riconosce ai creditori privilegiati assistiti dal diritto di ritenzione, la possibilità di procedere, pendente la procedura concorsuale, alla vendita del bene, non la configura come esplicazione di autotutela in senso proprio, come avviene al di fuori del fallimento, giacchè richiede l’accertamento del credito nelle forme della insinuazione allo stato passivo e perché assoggetta la vendita del bene gravato dal privilegio, alla autorizzazione ed ai criteri direttivi del giudice delegato, a fronte della concorrente legittimazione del curatore; onde il ricavato dalla vendita, quand’anche il bene gravato sia venduto direttamente dal creditore, non viene immediatamente incassato in via autosatisfattiva del medesimo, ma ripartito attraverso il piano di riparto, nel rispetto dell’ordine delle cause di prelazione (cfr. per tutte Cass. civile, sez. 1, 18/12/2006 n. 27044).
In buona sostanza, nel caso deciso dal Tribunale ed oggi in commento, salvifico è stato l’intervento preventivo del lessor nei confronti della curatela, allorquando, sulla pretesa creditoria di un soggetto terzo al rapporto di leasing e sulla pretesa altrimenti ritentiva sul bene già oggetto del rapporto di locazione finanziaria, previo deposito tempestivo della domanda di rivendicazione, ha chiesto espressamente al curatore di procedere alle fasi di inventariazione del bene, ai sensi degli artt. 87 .88 L.F., all’attivo del fallimento, onde escluderne la disponibilità nei confronti del preteso creditore; esso ultimo creditore, seppure a conoscenza del fallimento del proprio effettivo debitore, (lessee del rapporto di locazione finanziaria), astenendosi, rectius, sottraendosi dal concorso formale; inibito e quindi al preteso terzo creditore, l’esercizio di alcun diritto e/o pretesa, sul bene.
La riconsegna, da ultimo, del bene alla legittima proprietaria, in forza dell’accoglimento della domanda di rivendicazione, facendo venir meno ogni controversia sulla detenzione del bene, tra le parti contendenti, il lessor da un lato ed il preteso creditore, dall’altro.
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